La ong Tax Justice network ha aggiornato il suo
Financial Secrecy Index, che valuta il grado di complicità degli Stati nell'aiutare
individui e società a nascondere capitali. L'Italia tra i Paesi che rifiutano
di applicare la Convenzione sulla reciproca assistenza amministrativa quando a
chiederla è uno Stato extra Ue
Gli Stati
Uniti restano al primo posto, davanti alla Svizzera e
a Singapore, nella classifica dei Paesi che più favoriscono l’occultamento
di capitali illeciti e l’evasione fiscale. La Germania sale
al sesto dal settimo del 2022, piazzandosi prima dei Paesi Bassi, e la Francia scala
nove posizioni ed è ventunesima, subito dietro le isole Cayman e la Gran
Bretagna. Nel complesso oltre la metà dei Paesi Ue usa scappatoie
giuridiche che consentono agli evasori di nascondere
denaro all’interno dei loro confini e rendono più facile la circolazione di denaro
sporco. La ong Tax Justice network ha aggiornato il
suo Financial Secrecy Index, che a partire dal 2009 valuta il grado
di complicità degli Stati nell’aiutare individui e società a
nascondere fondi. E a differenza di quasi tutte le liste nere dei paradisi
fiscali misura l’effettivo ruolo di ogni giurisdizione nell’offrire a
chi lo chiede un “servizio” di segretezza finanziaria. I risultati dimostrano,
secondo l’organizzazione, la necessità di sostenere i negoziati in corso alle Nazioni Unite per
arrivare a una riforma della tassazione globale più equa e partecipata di
quella negoziata da 140 Paesi in sede Ocse.
Gli Usa si
confermano appunto il principale fornitore globale di opacità
finanziaria, con il 25% della quota mondiale e un “punteggio di segretezza” che
peggiora passando da 67,4 a 68,6 su 100. Non solo: in parallelo il Polity
project del Center for Systemic Peace, in seguito al ritorno alla Casa
Bianca di Donald Trump, ha declassato il Paese da democrazia ad
“anocrazia”, una forma di governo che presenta in parte caratteristiche proprie
della democrazia ma in parte somiglia a una dittatura. Washington
ha infatti già smantellato strumenti cruciali per la trasparenza fiscale come i
poteri dell’Internal revenue service, spiega l’analisi, e minacciato
la sovranità fiscale di altri Paesi rinnegando l’accordo sulla tassazione minima
delle multinazionali e minacciando pesanti contromisure nei confronti di chi ha adottato
misure mirate a far pagare qualcosa a Big tech.
Intanto
l’Unione Europea è un vero e proprio “dottor Jekyll e mister Hyde”, accusa il
Network. Si propone come “leader nella trasparenza fiscale” ma quel
primato vale solo sulla carta, visto che gli Stati dell’Ue offrono il 21%
della segretezza finanziaria globale (è la quota regionale cresciuta
di più) e il 56% fa resistenza quando si tratta di applicare
la Convenzione sulla reciproca assistenza amministrativa, strumento
fiscale attraverso cui i Paesi possono aiutarsi nella riscossione delle imposte
dovute da evasori fiscali accertati quando il patrimonio non tassato viene
nascosto all’estero. Ai Paesi extra Ue quell’assistenza viene spesso negata,
mentre tra Paesi membri è obbligatoria: un doppio standard strettamente legato
al fatto che “solo una ristretta cerchia di Paesi ricchi, inclusi i Paesi
dell’Ue, ha avuto voce in capitolo nella progettazione dello strumento”. L’Italia è
tra i Paesi che hanno negato cooperazione, in buona compagnia
visto che la lista comprende anche Austria, Cipro, Germania, Croazia, Irlanda,
Lussemburgo, Lettonia, Malta, Polonia, Portogallo, Slovenia e Slovacchia.
“Molti Stati
Ue applicano regole severe solo ai propri cittadini, mentre offrono rifugio ai
capitali illeciti provenienti da fuori Europa”, commenta Moran Harari,
vicedirettrice delle politiche di Tax Justice network. Che ricorda come la Ue
stia continuando nel frattempo a ostacolare il processo di riforma delle regole
fiscali internazionali in corso all’Onu con l’alibi che il sistema non ha
bisogno di aggiustamenti. “I nostri dati dimostrano che il sistema è rotto
eccome, e che i Paesi dell’Ue hanno avuto un ruolo significativo nel romperlo”.
La ong ha
calcolato che gli abusi fiscali di multinazionali e individui facoltosi
comportano per gli Stati la rinuncia a 492 miliardi di dollari di
gettito l’anno: poco meno di 348 per effetto dello spostamento
di profitti all’estero per pagare meno imposte e 145 come conseguenza
dell’occultamento di ricchezza offshore. La convenzione Onu punta a ribaltare
la situazione. La Ue si è astenuta mentre otto Paesi si
oppongono. In testa gli Usa, con loro Regno
Unito, Giappone, Corea del Sud, Israele, Canada, Australia, Nuova Zelanda e
Argentina.
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