La comunicazione del generale Del Sette
all’ufficiale che arrestò Riina e coordinava le inchieste del Noe: niente più
funzioni di polizia giudiziaria. Salta il 4 agosto dopo l'intercettazione
Adinolfi (Gdf)-Renzi pubblicata il 10 luglio
Astutamente nascosta nelle pieghe più
calde dell’estate una lettera del Comando generale dei carabinieri datata 4
agosto spazza via il colonnello Sergio
De Caprio, nome in codice Ultimo,
dalla guida operativa dei suoi duecento uomini del Noe,
addestrati a perseguire reati ambientali, ma anche straordinari segugi capaci
di scovare tangenti, abusi, traffici di denari e di influenza. Uomini che
stanno nel cuore delle più clamorose inchieste di questi ultimi anni
sull’eterna sciagura italiana, la corruzione.
La lettera che liquida Ultimo è perentoria.
La firma il generale Tullio
Del Sette, il numero uno dell’Arma. Stabilisce
che da metà agosto il colonnello De Caprio non svolgerà più funzioni di polizia
giudiziaria, manterrà il grado di vicecomandante del Noe, ma senza compiti
operativi. Motivo? Non specificato, normale avvicendamento. Anzi: “Cambiamento
strategico nell’organizzazione dei reparti”. Cioè? Frazionare quello che fino
ad ora era unificato: il comando delle operazioni.
Curiosa l’urgenza. Curioso il metodo.
Curioso il momento, vista la quantità di scandali e corruzioni che il persino
presidente della Repubblica Sergio
Mattarella ha definito “il germe distruttivo della
società civile”.
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Scontata la reazione di De Caprio che in
data 18 agosto, prende commiato dai suoi reparti con una lettera avvelenata
contro i “servi sciocchi” che abusando “delle attribuzioni conferite”
prevaricano “e calpestano le persone che avrebbero il dovere di aiutare e
sostenere”. Lettera destinata non a chiudere il caso, ma a spalancarlo in
pubblico.
Eventualità non nuova nella storia
dell’ex capitano Ultimo, quasi mai in sintonia con le alte gerarchie dell’Arma
che non lo hanno mai amato. Colpa del suo spirito indipendente, della sua
velocità all’iniziativa individuale. Di quella permanente difesa dei suoi
uomini e dei suoi metodi di indagine da entrare in collisione con i doveri
dell’obbedienza e della disciplina. Già in altre occasioni hanno provato a
trasformarlo in un ingranaggio che gira a vuoto. Fin dai tempi remoti
dell’arresto di Totò
Riina – gennaio 1993 – che gli valse non una
medaglia, ma la condanna a morte di Cosa nostra, poi un ordine di servizio che
lo estrometteva dai Reparti operativi, poi un processo per “la mancata
perquisizione del covo” da cui uscì assolto insieme con il suo comandante di
allora, il generale Mario
Mori. Per non dire di quando provarono a
metterlo al caldo tra i banchi della Scuola ufficiali, a privarlo della scorta
– anno 2009 – riassegnatagli dopo la rivolta dei suoi uomini che si erano
raddoppiati i turni per proteggerlo.
Ripescato dal ministero dell’Ambiente,
messo a capo del Noe, Sergio De Caprio ha trasformato i Nuclei operativi
ecologici a sua immagine, macinando indagini, rivelazioni. Oltre a molti e
sorprendenti arresti, da quelli di Finmeccanica ai più recenti per gli appalti
de L’Aquila.
L’elenco è lungo come un film. Si
comincia dai conti di Francesco
Belsito, quello degli investimenti della Lega
Nord in Tanzania e dei diamanti, il tesoriere del Carroccio che a forza di
dissipare milioni di euro come spiccioli, ha liquidato l’intero cerchio magico
di Umberto Bossi. Poi Finmeccanica. Con il clamoroso arresto di Giuseppe Orsi, l’amministratore delegato del gruppo e di Bruno Spagnolini di Agusta, indagati per una tangente di 51 milioni di
euro pagata a politici indiani per una commessa di 12 elicotteri. E ancora.
L’arresto di Luigi
Bisignani indagato per i suoi traffici di
informazioni segrete e appalti per la P4, coinvolti gli gnomi della finanza e
della politica, spioni, e quel capolavoro di Alfonso Papa, deputato Pdl, che aveva un debole per i Rolex
rubati.
Poi le ore di confessioni di Ettore Gotti Tedeschi il potente banchiere dello Ior, interrogato sulle
operazioni più riservate della banca vaticana dietro le quali i magistrati
ipotizzavano il reato di riciclaggio. Le indagini sul tesoro di Massimo Ciancimino seguito fino in Romania; quelle su una banda di
narcotrafficanti a Pescara, e persino quelle recentissime su Roberto Maroni, il presidente di Regione Lombardia, accusato di
abuso di ufficio per aver fatto assumere due sue collaboratrici grazie a un
concorso appositamente truccato. Per finire con le inchieste sulla Cpl
Concordia, la ricca cooperativa rossa che incassava appalti in mezza Italia,
distribuiva consulenze, teneva in conto spese il sindaco pd di Ischia, Giosi Ferrandino, e per sovrappiù comprava vino e libri da un amico
speciale, l’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema. Inchieste in cui compaiono anche due sensibilissime
intercettazioni, tutte pubblicate in esclusiva dal Fatto lo scorso 10 luglio.
La prima – 11 gennaio 2014 – è quella
tra Renzi e il generale della Gdf Adinolfi,
nella quali l’allora soltanto leader del Pd svelava l’intenzione di fare le
scarpe a Enrico
Letta per spodestarlo da Palazzo Chigi. La
seconda – 5 febbraio 2014 – è quella relativa a un pranzo tra lo stesso
Adinolfi, Nardella (allora vicesindaco di Firenze), Maurizio Casasco (presidente dei medici sportivi) eVincenzo Fortunato (il
superburocrate già capo di gabinetto del ministero dell’economia) in cui si
faceva riferimento a ricatti attorno al presidente Napolitano per i presunti “altarini” del figlio Giulio. Tutto vanificato ora per il “cambiamento strategico
nell’organizzazione dei reparti”. Motivazione d’alta sintassi burocratica che a
stento coprirà gli applausi della variopinta folla degli indagati (di destra,
di centro, di sinistra) e la loro gratitudine per questa inaspettata via
d’uscita che riapre le loro carriere, mentre chiude quella di Sergio De Caprio.
Eventualità non del tutto scontata,
visto il malumore che in queste ore serpeggia dentro l’Arma, e vista la
reazione (furente e non del tutto silenziosa) dell’interessato che trapela
dalla lettera inviata ai suoi uomini, una dichiarazione di guerra, travestita
da addio.
Da
il Fatto Quotidiano del 21 agosto 2015
da
qui
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