giovedì 6 agosto 2015

Gender a scuola: come educare alla diversità? - Amelia de Angelis

Vengono definiti “Gender Studies” e sono sempre più largamente utilizzati per dar vita ad una sorta di strategia del terrore tra le famiglie, diffondendo paure e destabilizzandole. Benché adottati in diversi paesi europei, sono infatti fortemente osteggiati in Italia dalle gerarchie ecclesiastiche, in primis, e da diverse associazioni di genitori, in particolare per il paventato pericolo di indottrinamento degli alunni a scuola.
Nati in America negli anni Settanta, gli studi di genere sono espressione di un approccio pluri ed interdisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell’identità culturale e sono fortemente collegati alle problematiche della condizione femminile e dei soggetti minoritari. Secondo tale approccio, alla tradizionale distinzione degli individui in base al sesso (dato determinato dal corredo genetico), si affianca la distinzione in base al genere (dato determinato culturalmente). Non più quindi solo maschile e femminile: alle due tradizionali categorie si sono andate ad aggiungere le diverse varianti previste dall’acronimo LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali), usato per descrivere le persone che presentano un orientamento non etero-sessuale. Dagli anni Novanta in poi l’acronimo è stato sempre più largamente impiegato ed oggi è entrato nell’uso corrente in particolare nei paesi anglofoni, insieme all’idea che veicola, al punto che negli Stati Uniti oltre 6 milioni di persone si sono definite appartenenti ad una delle oltre sessanta tipologie di non-conforming gender inserite come opzioni sulla piattaforma Facebook a stelle e strisce. Proprio a partire dagli anni ’90, tra l’altro, la teoria del gender è entrata in documenti ufficiali di importanti istituzioni internazionali come l’organizzazione Mondiale della Sanità.
Per la Chiesa, tuttavia, essa rappresenta molto più che una spina nel fianco visto che sta sempre più configurandosi come terreno di scontro ideologico con lo Stato (il Papa  l’ha addirittura definita  una “colonizzazione ideologica”). Nell’interpretazione cattolica, questa “varietà” di generi non avrebbe alcun fondamento scientifico, anzi, confonderebbe patologie con la normalità fisiologica ed aprirebbe la strada a nuove e pericolose interpretazioni della famiglia. Per avere un’idea della forte opposizione del mondo cattolico, basta leggere il documento Appunto su Linee guida UNAR (l’Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica, che è stato istituito con il decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215, di recepimento della direttiva comunitaria n. 2000/43 CE) per “Educare alla diversità”, redatto dall’Osservatorio normativo sul sito www.chiesacattolica.it. Per gli oppositori, l’ombra della teoria gender si allunga infatti sulle nostre scuole poiché- come previsto nel documento UNAR “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015)”, elaborato all’interno del programma promosso dal Consiglio d’Europa “Combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e l’identità di genere”, cui l’Italia ha aderito-la scuola rappresenta una delle aree di intervento prioritario. Infatti, tra gli obiettivi operativi nell’ambito educativo, rientrano la formazione e la sensibilizzazione di tutti gli attori della comunità scolastica sulle tematiche LGBT, la prevenzione e il contrasto alle violenze legate all’identità di genere e all’orientamento sessuale e la promozione della conoscenza delle nuove realtà familiari.
Per "Avvenire", il quotidiano della CEI, il problema gender “rischia di deflagrare in una battaglia ideologica e rendere la convivenza sociale peggiore per tutti”. Intanto, in un dossier dedicato alla spinosa questione, si invitano le famiglie ad informarsi, prima dell’iscrizione dei propri figli a scuola, sui contenuti del POF in merito, in particolare riguardo i progetti e le attività eventualmente dedicate. Così sollecitata,  sta sorgendo pertanto una forte contestazione che vede associazioni e gruppi cattolici attivarsi per promuovere come possono azioni di contrasto, anche all’interno del Parlamento. Solo qualche giorno fa la ministra Giannini è stata chiamata a rispondere ad un’interrogazione parlamentare della Lega Nord, sul rischio che il comma 16 dell’art. 1 della neo approvata legge di riforma della scuola possa porre le basi per un’apertura alla teoria gender. Tra i casi riportati dalla cronaca recente che già danno misura dei conflitti che potranno scatenarsi all’interno delle istituzioni scolastiche, quello della dirigente dell’istituto “Via Micheli” di Roma:  lo scorso giugno la preside aveva inviato una lettera ai genitori degli alunni in cui affermava che nell’allora ddl di riforma della scuola era contemplata anche la masturbazione infantile precoce nell’ambito dell’educazione di genere e invitava le famiglie a  documentarsi sulla tematica attraverso il sito web dell’associazione Difendiamo i nostri figli, dichiaratamente contro l’ideologia gender. Una posizione da cui ovviamente il Miur aveva subito preso le distanze, convocando la dirigente e ordinandole l’immediato ritiro della comunicazione.
Ben più raccapricciante, però, la notizia riportata da “Il fatto quotidiano” lo scorso novembre che la Curia di Milano avesse inviato una lettera ai 6102 insegnanti di religione cattolica chiedendo loro di segnalare i colleghi e i progetti che trattavano temi connessi all’omosessualità e all’identità di genere: l’intenzione era quella di sguinzagliare, in pratica, un piccolo esercito (evidentemente considerato appartenente alla diocesi non al Miur come di fatto è), al fine di spiare all’interno delle classi.
Ma come è possibile non comprendere che l’educazione alla parità tra i sessi nonché la prevenzione alla violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione sono obiettivi educativi imprescindibili nella formazione degli studenti e di cittadini responsabili? Come non considerarli utili strumenti di prevenzione della creazione di pericolosi stereotipi di genere che possono condurre a bullismo, omofobia e altre forme di violenza?
Per certi versi, come è stato osservato, una teoria del gender in realtà non esiste: sarebbe solo una costruzione teorica volta ad ostacolare l’idea di una scuola inclusiva, capace di accogliere e valorizzare le diversità, di difendere in tal modo i diritti delle minoranze.        
Non è oggi poi così raro che bambini di famiglie arcobaleno - quelli, per intenderci, con due papà o due mamme- vengano inseriti in una classe. Questa è una possibilità concreta con la quale ogni docente deve essere pronto a confrontarsi, a prescindere dalle sue personali opinioni in merito alle tipologie familiari “atipiche”. E la scuola pubblica, rispettosa delle differenze e tesa al superamento del pregiudizio,deve poter essere “per tutti” ambiente sicuro e friendly, spazio in cui è possibile far confrontare i ragazzi serenamente sulle relazioni, sulle differenze di genere, sulla necessità e sui modi di risolvere i conflitti.
A meno che, quindi, non si contempli la possibilità di tagliar fuori chi non rappresenta la famiglia tradizionale, semplicemente volgendo lo sguardo altrove, non si può non vedere la realtà, non si può ignorare ciò che sta di fatto accadendo in molti paesi europei. E questo è forse un “brutto nodo” che si prefigura, un nodo che il nuovo corso della politica scolastica non contribuirà a sciogliere: presidi e scuole schierate pro e contro, scuole che accolgono e scuole che respingono, disegnate ad hoc in base alle caratteristiche del contesto culturale territoriale. Speriamo sinceramente che ciò non accada.

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