Sarà un anno a marzo che in Ciad è in
corso una delle più grandi repressioni della libertà di espressione. Lunghi
mesi di blocco di Internet e quindi
di Facebook, Whatsapp, Messenger. Ma anche il sito della BBC è interdetto. Il
perché è ovvio: bloccare il dissenso e le voci non conformi alle decisioni e al
volere del Governo. Bloccare voci che vanno verso l’esterno, ma anche quelle
che sono critiche nei confronti di ciò che accade nel Paese.
Eppure, ai tempi di Internet e delle
comunicazioni virtuali nulla
è più possibile che aggirare l’ostacolo. Soprattutto per le giovani
generazioni, i Millennial,
che anche in Ciad imparano a usare smartphone e tastiere ancor prima di andare
a scuola. Soprattutto nelle aree urbane. Certo, su quasi 15 milioni di abitanti quei 400.000 utenti di Internet (così
come risulta dalle ultime stime) sembrerebbero poca cosa. Eppure danno
fastidio. Ma loro una risposta alla censura l’hanno trovata da tempo.
Uno dei sistemi più utilizzati per
superare le barriere imposte dal presidente Idriss Déby è la VPN (Virtual Private Network – Rete privata virtuale) una semplice app da scaricare,
che in sostanza consente di camuffare il proprio indirizzo IP bypassando dunque
blocchi imposti ad alcuni siti Internet, e di navigare senza essere
controllati. “Ci siamo abituati ormai” afferma
a Voci Globali una giovane ciadiana amministratrice di alcune
pagine Facebook a carattere socio-politico. “È da tempo che il Governo
ci mette sotto pressione in questo modo. Qui praticamente tutti usiamo la
VPN”.
Questo grande Paese dell’Africa centrale
è retto da un solo uomo dal 1990,
da quando cioè lui, Idriss Déby,
salì al potere attraverso un colpo di Stato che destituì il dittatore Hissène
Habré. A proposito di dittature… Déby ha sempre vinto le elezioni che si sono
succedute durante gli anni. Risultati spesso contestati, senza contare la solita modifica costituzionale (scenario
comune ad altri Paesi africani) che – nel 2004 – abolì il limite di due mandati
consentendo ulteriori candidature (e vittorie) a Déby. E senza contare neanche
i putschche hanno provato negli anni a deporlo.
Déby ha forti
legami con la Francia ma non solo. La comunità internazionale sembra ben contenta di averlo
come “guardiano” in quella zona dell’Africa centrale che funge un po’ da
cuscinetto tra aree delicate e in profonda crisi sociale e di sicurezza,
soprattutto a causa della presenza dei gruppi estremisti. Déby fa comodo
all’estero, ma nel suo Paese vorrebbero da tempo un cambiamento di rotta.
E da tempo opposizione, attivisti e dissidenti cercano
di farglielo capire. Dura è stata, nel marzo 2018, la reazione dei ciadiani
all’annuncio dell’ennesima riforma pensata in modo da assicurare all’attuale
presidente il “comando” fino al 2033. Dèby oggi ha 66 anni, resterebbe dunque
al potere almeno fino ai suoi 80 anni. Tenendo così ben alta la tendenza alla gerontocrazia delle istituzioni africane (che
conta così poche eccezioni).
A quella reazione e a una serie di proteste e scioperi, derivati
anche dalla crisi e dall’austerity imposta dal Governo a causa del calo del
prezzo del petrolio le cui esportazioni tengono su le sorti economiche del
Paese, il presidente ha risposto tagliando Internet, e negli ultimi sei mesi –
dicono ciadiani con cui abbiamo parlato – la
situazione è andata peggiorando. Una situazione che non è sfuggita a
Organizzazioni che si occupano di monitorare la censura della Rete e di fornire
assistenza a Paesi e cittadini vessati dalle Istituzioni.
Allerta #Ciad @facebook @WhatsApp,
@Viber, @BBCWorld sono censurati secondo le analisi condotte da
@Open@Observatory e dalla società civile ciadiana. @airteltchad e @tigocha
dovrebbero spiegarci perché obbediscono agli ordini della censura. #Keepiton
#BringbackourInternet
Impossibile, in ogni caso, tenere a
freno il dissenso, come pure la comunicazione, anche quella più semplice che
avviene tra amici su Whatsapp. Le difficoltà semmai sono nella scarsa
connessione. Va ricordato che, in ogni caso, il
Ciad ha uno dei più bassi livelli di penetrazione di Internet, solo il
5%, secondo dati forniti dalla World
Bank fermi al 2016. Il Ciad, il cui territorio è in gran parte
desertico, ha inoltre un alto tasso di povertà e nell’Indice di sviluppo umano, su 189 Paesi si trova al 186esimo
posto.
Ma niente ferma attivisti e cittadini
tutti, che possono contare sul sostegno di Internet senza
Frontiere.
Già qualche tempo fa in una lettera aperta inviata
all’allora Primo Ministro e al Dicastero delle Poste e Telecomunicazioni – e
firmata anche da altre associazioni e gruppi a difesa dei diritti umani – ISF
ricordava il contenuto della Risoluzione del
Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite. Secondo tale documento –
approvato nel 2016 – i diritti umani vanno
applicati anche nel campo del virtuale, l’accesso a Internet è un diritto
fondamentale e l’uso della Rete come spazio di comunicazione ed
espressione libera non può essere limitato da divieti.
La Risoluzione aveva lo scopo di
richiamare tutti quei leader e capi di Stato africani che nel corso di questi
anni hanno preteso la chiusura dei social e di Internet, nel corso di tornate
elettorali o di proteste di piazza. Una tendenza che sembra aumentare in certi
Paesi e sempre in vista di consultazioni elettorali o quando le proteste dei
cittadini diventano ingestibili (se non con l’uso della forza). In quest’ultimo
periodo Camerun, Etiopia, Repubblica Democratica del Congo, Togo, ma anche Somalia, Sierra Leone e Sud Sudan, sono i Paesi che hanno
subito il maggior numero di giorni (mesi) di interruzione delle comunicazioni
Internet.
Ovvio che questo atteggiamento censorio
oltre a limitare le libertà fondamentali mina l’economia del Paese.
Basti pensare a quanto ci perdono le compagnie telefoniche, il commercio
estero, gli imprenditori, la finanza.
La battaglia di Internet Senza Frontiere continua ed è andata
anche oltre con l’avvio di una campagna di raccolta fondi.
Soldi che serviranno ad aiutare giornalisti, attivisti, imprenditori, ma anche
semplici cittadini ad installare una VPN e a collegarsi in Rete. Se la
penetrazione di Internet in Ciad è tra le più basse al mondo, in compenso i costi per navigare sono altissimi,
l’equivalente di 10 euro per 1 giga.
Qualche giorno fa la Francia ha effettuato dei
bombardamenti nel Nord-Est del Paese per fermare – così è stato
detto – l’avanzata di colonna armata di ribelli dell’UFR (Unione delle Forze di
Resistenza) provenienti dalla Libia e diretti nella capitale N’Djamena.
Le reazioni dei cittadini non sono
mancate, per la maggior parte hanno condannato l’intervento della Francia,
presenza considerata da tempo un’”ingerenza”.
Sia politica che militare. Ad esprimere giudizi fermi e critici soprattutto i
giovani e i partiti di opposizione.
Dove? Su Twitter, su Facebook.
Nonostante le censure. Nonostante i controlli.
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