Ogni giorno analizzano due o tre casi a
testa. Per ore, ascoltano storie di persone arrivate dall’altra parte del
mondo, per sfuggire da guerre, fame o persecuzioni. Decidono del loro destino,
applicando le leggi e le conoscenze imposte al loro ruolo. Sono i membri delle
20 commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione
internazionale.
Da quando è entrato in vigore il decreto sicurezza, a ottobre 2018, possono concederne
soltanto due tipi: lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria. “Il
Salvini” (come viene chiamato in gergo il decreto) ha eliminato la terza, la
protezione umanitaria.
“Dall’entrata in vigore del decreto i
rigetti sono aumentati molto, sono circa i 3/4 dei casi”, racconta a TPI un membro di una
commissione. E la contraddizione che stupisce è che tra i più penalizzati, c’è
proprio chi è più integrato.
“L’umanitaria si dava in base a un
ragionamento ‘di bilanciamento’. Si valutavano le condizioni oggettive e
soggettive del richiedente, sia nel Paese d’origine sia in Italia. Quindi
valutando soprattutto il livello di integrazione qui”, spiega il commissario.
Mentre lo status di rifugiato e la
protezione sussidiaria si concedono nei casi di persecuzioni (il primo) o
rischio di condanna a morte, maltrattamenti inumani o conflitti armati nel
Paese d’origine (il secondo), la protezione umanitaria veniva data nelle
situazioni in cui la vita, la libertà o i diritti di una persona fossero a
rischio.
“Facciamo l’esempio di un cristiano
copto egiziano che si sta integrando in Italia e che ha un lavoro e una casa.
Se tornasse in Egitto potrebbe non essere sottoposto a una vera e propria
persecuzione (caso in cui riceverebbe lo status di rifugiato), ma a diverse
forme di discriminazione e a una situazione in generale non favorevole. In
questo caso, il ‘bilanciamento’ penderebbe per farlo rimanere in Italia. Ma, ad
oggi, per noi sarebbe un rigetto perché non potremmo più concedergli
un’umanitaria”.
Delle migliaia di richieste di
protezione presentate ogni mese, la stragrande maggioranza si risolve in
rifiuti. Un numero aumentato dall’entrata in vigore del “Salvini”. Stando ai
dati del Viminale, nel dicembre 2018 ci sono state 2.753 richieste di asilo
presentate in Italia. Di queste l’82 per cento si sono tradotte in domande
respinte, il 10 per cento in status, il 5 per cento in sussidiarie e il 3 per
cento in umanitarie.
A settembre dello scorso anno, invece,
prima del decreto Salvini, sulle 3.298 richieste arrivate il totale dei rigetti
è stato del 72 per cento e le protezioni umanitarie concesse sono state il 17
per cento (il 7 per cento per l’asilo e il 4 per la sussidiaria).
Ma chi c’è tra quel 14 per cento in meno
di umanitarie rilasciate? “Personalmente mi sono capitati molti casi di persone
che ho dovuto rigettare ma per cui in precedenza avrei proposto l’umanitaria.
Me ne ricordo diversi che hanno una forte integrazione in Italia e una
situazione poco stabile nel Paese d’origine. Non al punto di poterla
considerare un conflitto armato (perché è necessario che si rispettino precisi
requisiti), ma comunque di sicuro fortemente instabile. Come ad esempio nel
caso di alcuni Paesi del Sud America. Oppure persone che sono qui da molti anni
e hanno qui figli minorenni, nati e cresciuti in Italia. Prima si concedeva
l’umanitaria al genitore nell’interesse del bambino che va a scuola, ha i suoi
amici e la sua vita qui. Al momento però non è più possibile e per noi è una
domanda respinta”.
Quindi se ad oggi si presenta una mamma
con un bimbo di 10 anni, nato qui e cresciuto qui, per la commissione sarà un
rigetto? “Si. L’unica cosa che si può fare è ‘segnalare’ al Questore,
attraverso gli atti, la presenza del minore. In quel caso sarà lui a decidere o
il Tribunale, quando il genitore farà ricorso”.
Oltre alle commissioni, infatti, sia il
Questore che il Tribunale giocano un ruolo in queste vicende. Al Questore
spetta la competenza sulle forme di permessi inserite dal decreto cosiddette
“speciali”, ad esempio quelle per cure mediche. Sarà lui a decidere a riguardo,
complicando un quadro in cui spetterebbe alla Commissione pronunciarsi in
merito.
In più, nei casi di ricorsi, sarà il
Tribunale a poter cambiare la decisione, come è già accaduto in questi mesi. Un
primo caso arrivato in Cassazione ha stabilito, ad esempio, che le regole
restrittive del decreto sicurezza non dovrebbero essere applicate a chi ha
fatto domanda prima della sua entrata in vigore.
Ad oggi, ci sono persone che hanno fatto
richiesta di asilo diverso tempo fa ma tutte le commissioni sono molto in
ritardo nell’esame delle domande. Così queste persone ora rischiano di non
vedersi riconosciuta la protezione umanitaria perché nel frattempo sono
cambiate le regole.
“Nei casi di rigetto ci sono volte in
cui ti dispiace molto. Perché ti rendi conto che sono persone che hanno fatto
quello che avremmo fatto tutti, scappando dalla povertà ad esempio”, racconta
il membro della Commissione.
“Una volta ho ascoltato la storia di una
ragazza il cui padre è totalmente invalido e lei è dovuta partire perché non
riusciva a comprargli ciò di cui aveva bisogno, persino i pannoloni. Voleva
prendersi cura di lui. Il suo motivo, che è economico, non ha nulla a che fare
con la protezione internazionale però ti fa tenerezza quando scoppia a piangere
e ti dice che le manca il papà. Lì capisci che nessuno lascia il suo Paese se non
è costretto. Ma noi dobbiamo applicare la legge, anche se in alcune situazioni
ti dispiace”.
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