giovedì 28 febbraio 2019

Non si deve permettere a Israele di usare Eurovision come strumento di propaganda - Brian Eno



Quelli di noi che per vivere fanno arte e cultura prosperano su una comunicazione libera e aperta. Quindi cosa dovremmo fare quando vediamo la cultura diventare parte di un’agenda politica? “La musica unisce”, afferma Michael Rice, concorrente britannico di Eurovision. Cosa succede quando uno stato potente usa l’arte come propaganda per distrarre dal suo comportamento immorale e illegale? Tutti i partecipanti al concorso canoro Eurovision di quest’anno dovrebbero capire che è questo ciò che sta accadendo.
Emittenti europee, inclusa la BBC, vanno avanti con i piani per tenere il concorso a Tel Aviv a maggio, come se trasmettere uno spettacolo di intrattenimento estremamente costoso da uno stato di apartheid attivamente repressivo non fosse affatto un problema. Eurovision, afferma l’European Broadcasting Union, è un evento “non politico”. È impossibile conciliare ciò che l’EBU sta dicendo con la realtà. Israele è uno stato che considera la cultura uno strumento politico: il suo primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha elogiato Netta Barzilai, vincitrice israeliana di Eurovision 2018, come una che ha fatto “un lavoro di relazioni eccezionali all’estero”.
Poi c’è la guerra di Israele contro i palestinesi e la loro cultura. A marzo e aprile dello scorso anno, i cecchini israeliani hanno preso di mira e ucciso giornalisti che stavano filmando le proteste pacifiche a Gaza. Ad agosto i suoi jet F16 hanno distrutto il Said al-Mishal Center di Gaza, un luogo di musica, teatro e danza. Agli artisti palestinesi, attori e musicisti, viene regolarmente negato da parte delle autorità di occupazione israeliane il permesso di viaggiare, o, come nel caso della poetessa Dareen Tatour, sono imprigionati per “incitamento al terrorismo”. Nel frattempo la ministra israeliana della cultura accusa le organizzazioni culturali israeliane dissidenti di sovversione e minaccia di tagliare i finanziamenti a meno che non modifichino i loro programmi per soddisfare i gusti del governo. Nel 2017, ad esempio, il festival teatrale di Acri ha ritirato un’opera teatrale sui prigionieri palestinesi di Israele piuttosto che affrontare la vendetta finanziaria della ministra; da allora gallerie e festival cinematografici sono stati minacciati allo stesso modo.
Queste minacce alla produzione culturale sono parte di uno schema più ampio che mina l’affermazione che Eurovision 2019 incarnerà valori di inclusione, diversità e amicizia. Il codice etico dell’EBU promuove Eurovision come uno spazio sicuro, in cui ” diritti umani, libertà di espressione, democrazia, diversità culturale, tolleranza e solidarietà” possono prosperare. Se questa è davvero l’intenzione, avere Israele come ospite è assurdo: anche l’indagine più sommaria mostrerebbe alle emittenti che questi principi lì da tempo sono stati abbandonati.
Reporters Without Borders osserva che giornalisti israeliani sono soggetti a “censura militare” – obblighi di riservatezza. E per quanto riguarda ‘l’inclusione’ – una miriade di restrizioni israeliane sul movimento dei palestinesi faranno in modo che quasi tutti siano esclusi dai festeggiamenti di Eurovision.
L’anno scorso l’acclamato attore-regista teatrale israeliano, Itay Tiran, ha lasciato Israele per sollecitare il sostegno internazionale al crescente movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), richiesto dalla società civile palestinese; e decine di migliaia di persone in tutta Europa, fan e musicisti, hanno comunicato che porteranno avanti una campagna perché i loro paesi non partecipino dagli eventi di Tel Aviv. Comprendo la gioia di Rice per essere stato selezionato come rappresentante della Gran Bretagna per Eurovision. Ma quando ritiene che “non spetta a me dire” se il trattamento israeliano dei palestinesi significa che Eurovision dovrebbe essere trasferita, penso che stia sottovalutando il suo potere. Potrebbe contribuire a garantire che Eurovision 2019 venga ricordato come un’occasione di protesta morale, non un altro episodio di imbiancatura culturale.

Brian Eno è un musicista, compositore, produttore e artista visivo. È un sostenitore di Artists for Palestine UK

(Traduzione: Simonetta Lambertini-invictapalestina.org
Fonte: https://www.theguardian.com/commentisfree/2019/feb/18/israel-eurovision-propaganda-oppression-palestinians?CMP=share_btn_fb&fbclid=IwAR1c7dB-NDClhKKJoPZgNax2WYc4t6dsM396CTiYevf2zk6D16pCYVOadx4)


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