Quelli di noi che per vivere fanno arte
e cultura prosperano su una comunicazione libera e aperta. Quindi cosa dovremmo
fare quando vediamo la cultura diventare parte di un’agenda politica? “La
musica unisce”, afferma Michael Rice, concorrente britannico di Eurovision.
Cosa succede quando uno stato potente usa l’arte come propaganda per distrarre
dal suo comportamento immorale e illegale? Tutti i partecipanti al concorso
canoro Eurovision di quest’anno dovrebbero capire che è questo ciò che sta
accadendo.
Emittenti europee, inclusa la BBC, vanno
avanti con i piani per tenere il concorso a Tel Aviv a maggio, come se
trasmettere uno spettacolo di intrattenimento estremamente costoso da uno stato
di apartheid attivamente repressivo non fosse affatto un problema. Eurovision,
afferma l’European Broadcasting Union, è un evento “non politico”. È
impossibile conciliare ciò che l’EBU sta dicendo con la realtà. Israele è uno
stato che considera la cultura uno strumento politico: il suo primo ministro,
Benjamin Netanyahu, ha elogiato Netta Barzilai, vincitrice israeliana di Eurovision
2018, come una che ha fatto “un lavoro di relazioni eccezionali all’estero”.
Poi c’è la guerra di Israele contro i
palestinesi e la loro cultura. A marzo e aprile dello scorso anno, i cecchini
israeliani hanno preso di mira e ucciso giornalisti che stavano filmando le
proteste pacifiche a Gaza. Ad agosto i suoi jet F16 hanno distrutto il Said
al-Mishal Center di Gaza, un luogo di musica, teatro e danza. Agli artisti
palestinesi, attori e musicisti, viene regolarmente negato da parte delle
autorità di occupazione israeliane il permesso di viaggiare, o, come nel caso
della poetessa Dareen Tatour, sono imprigionati per “incitamento al
terrorismo”. Nel frattempo la ministra israeliana della cultura accusa le
organizzazioni culturali israeliane dissidenti di sovversione e minaccia di
tagliare i finanziamenti a meno che non modifichino i loro programmi per
soddisfare i gusti del governo. Nel 2017, ad esempio, il festival teatrale di
Acri ha ritirato un’opera teatrale sui prigionieri palestinesi di Israele piuttosto
che affrontare la vendetta finanziaria della ministra; da allora gallerie e
festival cinematografici sono stati minacciati allo stesso modo.
Queste minacce alla produzione culturale
sono parte di uno schema più ampio che mina l’affermazione che Eurovision 2019
incarnerà valori di inclusione, diversità e amicizia. Il codice etico dell’EBU
promuove Eurovision come uno spazio sicuro, in cui ” diritti umani, libertà di
espressione, democrazia, diversità culturale, tolleranza e solidarietà” possono
prosperare. Se questa è davvero l’intenzione, avere Israele come ospite è
assurdo: anche l’indagine più sommaria mostrerebbe alle emittenti che questi
principi lì da tempo sono stati abbandonati.
Reporters Without Borders osserva che
giornalisti israeliani sono soggetti a “censura militare” – obblighi di
riservatezza. E per quanto riguarda ‘l’inclusione’ – una miriade di restrizioni
israeliane sul movimento dei palestinesi faranno in modo che quasi tutti siano
esclusi dai festeggiamenti di Eurovision.
L’anno scorso l’acclamato attore-regista
teatrale israeliano, Itay Tiran, ha lasciato Israele per sollecitare il
sostegno internazionale al crescente movimento di Boicottaggio, Disinvestimento
e Sanzioni (BDS), richiesto dalla società civile palestinese; e decine di
migliaia di persone in tutta Europa, fan e musicisti, hanno comunicato che
porteranno avanti una campagna perché i loro paesi non partecipino dagli eventi
di Tel Aviv. Comprendo la gioia di Rice per essere stato selezionato come
rappresentante della Gran Bretagna per Eurovision. Ma quando ritiene che “non
spetta a me dire” se il trattamento israeliano dei palestinesi significa che
Eurovision dovrebbe essere trasferita, penso che stia sottovalutando il suo
potere. Potrebbe contribuire a garantire che Eurovision 2019 venga ricordato
come un’occasione di protesta morale, non un altro episodio di imbiancatura
culturale.
Brian Eno è un musicista, compositore, produttore e artista
visivo. È un sostenitore di Artists for Palestine UK
(Traduzione: Simonetta Lambertini-invictapalestina.org
Fonte:
https://www.theguardian.com/commentisfree/2019/feb/18/israel-eurovision-propaganda-oppression-palestinians?CMP=share_btn_fb&fbclid=IwAR1c7dB-NDClhKKJoPZgNax2WYc4t6dsM396CTiYevf2zk6D16pCYVOadx4)
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