Leggo di una lista di sessanta (60) “intellettuali sardi” a
sostegno del candidato presidente del centrosinistra italiano in Sardegna.
La cosa non è nuova, ma ha il sapore di
un escamotage fuori tempo massimo e anche piuttosto sgradevole.
Naturalmente non sono mancate critiche,
sberleffi, prese di distanza.
Qualcuno può darsi ci sia rimasto male
perché non compreso nella lista. Altri ci sono rimasti male perché nella lista
hanno trovato nomi che avrebbero preferito – per varie ragioni – non trovarci.
A me vengono in mente domande, più che
altro.
Per esempio: cosa pensano di ottenere i
firmatari con questa entrata in scena?
O anche: cosa intendiamo per
intellettuale e per intellettuale sardo/a in particolare?
Al primo quesito non è così facile
rispondere come sembra.
C’è da supporre che intendano offrire
alla debolissima candidatura di Massimo Zedda un sostegno che ai loro occhi
potrebbe essere rilevante.
Ma la candidatura è debole di suo, per
ragioni oggettive: pochezza politica dell’aspirante presidente, impresentabilità
di troppi candidati al seguito, inconsistenza del programma, debolezza
intrinseca di una compagine che si presenta come erede del fallimentare mandato
di Francesco Pigliaru (altro salvatore della patria, a suo tempo).
Inoltre, in un momento storico di odio
per gli intellettuali (e per quelli schierati col PD e soci in particolare),
questa mossa assume tutti i connotati di un autogol.
Appellarsi al pericolo rappresentato
dalle “destre” fa abbastanza specie, in una compagine che è collocata a destra
essa stessa.
Il centrosinistra italiano, in generale
ma a maggior ragione in Sardegna, è una destra a tutti gli effetti: per valori
difesi, per appartenenza di classe, per obiettivi, per linguaggio.
È una destra borghese, ipocrita,
padronale, vagamente liberale per alcuni aspetti, ma profondamente reazionaria
sul piano sociale e culturale.
È una delle tre destre di matrice italiana con cui abbiamo a
che fare.
Ad esse si sommano le destre
propriamente sarde, in questa tornata elettorale ben rappresentate nell’ambito
indipendentista.
Ambito indipendentista che però, nella
sua varietà, ha almeno il vantaggio di non rappresentare centri di potere
esterni e di dover rispondere di sé solo ai sardi (il discorso andrebbe
approfondito, questa è una semplificazione, prendetelo come tale).
Inoltre l’ambito indipendentista è
l’unico ambito in cui siano presenti valori e obiettivi di sinistra connessi alla
realtà materiale e storica della Sardegna, e non ancorati a pure istanza
astratte (come invece è per la sinistra italiana autonoma, anch’essa un po’
velleitariamente candidata alle prossime elezioni).
In questo quadro, un gruppo di
auto-proclamati intellettuali che fa da supporter al candidato del PD e delle
sue liste satellite cosa rappresenta?
Rappresenta la resa allo status quo,
l’incapacità e/o la mancata volontà di comprendere la realtà sarda
contemporanea, la strenua difesa di un ambiente politico-culturale in cui ci si
è ritagliati una confortevole rete di relazioni che garantiscono lavoro, spazi
di visibilità, reddito, successo sociale.
Tutte cose legittime, per carità, ma che
col bene generale dell’isola hanno poco a che fare.
Se tutti i firmatari fossero davvero
così preoccupati per le sorti della Sardegna mi aspetterei una loro presenza
costante, puntuale e disinteressata in tutte le vertenze e le questioni aperte.
Invece per lo più, con qualche sporadica
eccezione, si tratta di persone che mancano totalmente all’appello tra una
campagna elettorale all’altra.
Cosa ce ne facciamo dunque di tanto
improvviso trasporto per la sorte della Sardegna?
Direi proprio nulla.
Il loro intervento non basterà certo a
ribaltare le sorti di un voto che sembrano scontate, quanto all’esito
principale.
O addirittura convincerà qualche
indeciso a votare precisamente contro la loro opinione.
Qui arriviamo alla seconda domanda: se
costoro sono intellettuali, chi è un intellettuale?
A ben guardare, ciò che può guadagnare a
qualcuno la qualifica di intellettuale è fondamentalmente una funzione sociale
riconosciuta.
L’intellettuale è colui o colei che usa
il proprio intelletto per elaborare idee e socializzare il frutto delle sue
riflessioni, che mette le proprie doti intellettuali a disposizione dei vari
problemi della vita associata.
Più ancora del grado di istruzione e
delle professione svolta, è questa componente di socializzazione che identifica
gli intellettuali come tali.
Certo, si può sempre rimandare alla
definizione di intellettuale data da Gramsci. La tralascio qui per non farla troppo lunga,
ma è rilevante, sia ben chiaro, e ha a che fare con questo discorso.
Assumiamo quindi la definizione classica
di intellettuale, quella che ha preso piede negli ultimi due secoli, senza
metterla in discussione.
Oggi tale funzione si è modificata
secondo la disponibilità e la natura dei mezzi di comunicazione.
Spesso si sovrappone a quella di opinion maker e addirittura a
quella, recentissima, di influencer.
Tuttavia questa sovrapposizione è impropria
o non del tutto precisa.
Molti opinion maker attuali,
e a maggior ragione molti inluencer, non sono
intellettuali. Tuttavia ci sono intellettuali che sono opinion maker e/o influencer.
L’impatto sociale e culturale generale
della funzione intellettuale ha comunque il suo peso.
Se non intervieni mai nei dibattiti
pubblici, se il tuo nome e la tua voce non costituiscono in alcun modo un punto
di riferimento riconosciuto almeno per una parte dell’opinione pubblica, per
una categoria sociale, per un ambito culturale, puoi anche svolgere una
professione intellettuale ma non sei un/a
intellettuale.
Ma in questo caso non basta capire di
cosa parliamo quando parliamo genericamente di intellettuali. C’è un aggettivo
che si aggiunge e denota più specificamente tale categoria: “sardo/a”.
Chi è oggi un/a intellettuale sardo/a?
Be’, se vale la definizione di
intellettuale assunta fin qui, si tratta di un personaggio che con una certa
credibilità riconosciuta intervenga nel dibattito pubblico sardo, fornendo
elaborazioni, sintesi, spunti di riflessione, strumenti critici in relazione
alle varie questioni sul tappeto.
Deve essere in connessione con la realtà
sarda. Conoscerla, parteciparvi, prendere parola.
Ebbene, quasi nessuno dei sessanta
volenterosi dell’elenco summenzionato può essere ricondotto, nemmeno
indirettamente, a tale definizione specifica.
Il paradosso è che fuori da quell’elenco
ci sono intellettuali sardi/e che dichiaratamente o implicitamente sosterranno
la stessa parte politica. Non si capisce con quale criterio siano stati
esclusi.
E, ancora più significativamente, ci
sono molti intellettuali sardi/e che in quell’elenco non vorrebbero affatto
esserci, per proprie convinzioni politiche, e che pure sono intellettuali
sardi/e a buon diritto.
Il che per altro non vuol affatto dire
che parteggino per l’aggregazione sardo-leghista. Tutt’altro.
Come la mettiamo dunque? Facciamo un
appello agli/alle intellettuali sardi/e che non appoggiano il centrosinistra
italiano e nemmeno il centrodestra?
E il centrodestra sardo-leghista cosa
aspetta a dotarsi di uno stuolo di auto-proclamati intellettuali a proprio
sostegno?
Per stare al gioco, sarei curioso di
vedere un appello di intellettuali sardi/e che invitassero a non votare i
partiti italiani. Sarebbe un esperimento interessante.
O proverei a elencare i personaggi
celebri della cultura e della politica sarda di ogni tempo che con tutta
probabilità non avrebbero affatto aderito all’appello pro centrosinistra
italiano (mi sa che qualcuno l’ha fatto, sui social, suscitando inevitabili
discussioni).
Non che servirebbe a qualcosa, immagino,
ma se non altro forse toglieremmo qualche illusione a qualcuno e ne verrebbe
fuori un quadro diverso da quello propagandato dai mass media (troppo spesso
compiacenti).
Cosa resta di questa faccenda, al
dunque? Direi molto poco.
Ciascuno è libero di avere propensioni
politiche proprie e di esprimerle pubblicamente, naturalmente.
Niente da dire da chi fa pubblica
professione di appartenenza politica. Dopo tutto, odiamo gli indifferenti, no?
E non entrano in discussione le qualità
personali, le capacità professionali e la sfera privata dei firmatari.
Quel che disturba – ribadisco – è
l’auto-proclamazione tautologica e la presunzione di esclusività annessa alla
propria scelta.
E soprattutto l’ipocrisia di una scelta
obiettivamente conservatrice e vagamente anti-sarda spacciata per l’unica
scelta possibile “di sinistra” e in nome degli interessi generali dell’isola.
Questi sono gli aspetti suscettibili di
pubblica critica, proprio in quanto attinenti alla sfera pubblica. E per se
stessi opinabili.
Lungi dal doverci fare il sangue amaro
per così poco, la cosa più importante è non lasciare la parola pubblica in
esclusiva ai predicatori di subalternità.
Anche a dispetto dalla disparità di
mezzi.
C’è una necessità storica che ci
richiama tutti a rigore, serietà e generosità.
La vita non si esaurisce in una
elezione. I problemi da affrontare sono ancora tutti lì, purtroppo, e ci
resteranno ancora per un pezzo.
Chi vuol avere il ruolo di intellettuale
in Sardegna, con consapevolezza e a ragion veduta, ha tutto l’agio di meritarlo
nei fatti, mettendoci del proprio e rischiando in prima persona, anche senza
fare appelli di voto.
Mi aspetto anzi che tanta urgenza di
esprimere la propria posizione politica non si fermi lì, ma diventi stimolo a
una più assidua, partecipe, informata e consapevole presenza nel dibattito
pubblico sardo.
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