martedì 26 febbraio 2019

Italexit dalla Libia, al-Sisi pigliatutto - Alberto Negri


Possiamo cominciare a fare «ciaone» alla Libia, nonostante gli intensi sforzi di dialogo con il generale Khalifa Haftar del nostro ambasciatore Giuseppe Grimaldi Buccino. Dal vertice euro-arabo di Sharm el Sheik è emerso che: 1) al generale al-Sisi è stato assegnato il ruolo di «guardiano» del sud e della Libia, un po’ come a Erdogan per i rifugiati dalla Siria.
2) l’Eliseo ha in programma due vertici con Haftar e Sarraj negli Emirati e a Parigi. A questo aggiungiamo il punto 3) Haftar, alleato della Francia, della Russia e dell’Egitto, vanta il controllo del giacimento Eni di El Feel. In Libia, in poche parole, non tocchiamo palla.
Sepolte le primavere arabe – ma non le ragioni profonde dell’insurrezione sunnita – il generale egiziano golpista Abdel Fattah al-Sisi, braccio armato dell’Arabia saudita, alleato di Israele in Sinai e in Libia sponsor del generale Haftar, è stato il vincitore di questo vertice e anche dell’incontro con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte che ha dovuto prendere atto del ruolo preminente di al-Sisi sulla questione libica ed è stato preso in giro ancora una volta sul caso di Giulio Regeni: giustizia – lo avevamo capito sin dall’inizio della vicenda, quando Conte era ancora un perfetto sconosciuto – non sarà mai fatta. Almeno se questi sono i rapporti di forza e persiste la totale assenza da parte europea e americana di ogni solidarietà sul caso Regeni.
Ma l’Italia la lezione non l’impara mai: i nostri alleati sono anche i nostri più accesi concorrenti. «Regeni per l’Italia è una ferita aperta», ha detto Conte ad al-Sisi, ma lui dal generale non riesce a ottenere neppure un cerotto.
E poi anche per noi gli affari sono affari e non si può irritare troppo al-Sisi, referente del mega-giacimento offshore di gas dell’Eni a Zohr e soprattutto pretoriano dei Saud e del principe assassino Mohammed bin Salman, un cliente della nostra industria bellica già sbilanciata per le forniture di armamenti di Fincantieri e Leonardo, con il Qatar, la monarchia degli Al Thani e di Al Jazeera fortemente invisa e boicottata sia da Riyadh che dal Cairo per il suo appoggio ai Fratelli Musulmani.
Il Qatar era presente a Sharm con una delegazione di basso livello perché l’invito ufficiale al vertice non è arrivato neppure direttamente ma attraverso l’ambasciata greca a Doha. Segnali inequivocabili: sauditi ed egiziani con il generale Haftar vogliono far fuori la Fratellanza anche a Tripoli di Libia, se possibile, e poi forse si tornerà a parlare con i suoi sponsor, il Qatar e la Turchia.
Pur senza dirlo esplicitamente, l’Europa si prepara a riconoscere ad al-Sisi il ruolo di gendarme meridionale e custode dei flussi dei migranti dall’Africa e dal Sudan, dove il presidente Omar al Bashir ha appena proclamato lo stato d’emergenza e dato nuovi poteri alle forze armate per soffocare le manifestazioni dell’opposizione. Come scriveva Chiara Cruciati sul manifesto siamo al trionfo della militarizzazione. E se Erdogan viene pagato dalla Ue per tenersi tre milioni di profughi siriani, al-Sisi verrà ricompensato con l’espansione della sua influenza sulla Libia di Haftar.
La Francia sembra d’accordo. E sta facendo pressioni sull’inviato dell’Onu Ghassam Salamé per organizzare a breve due vertici tra Haftar e Sarraj – il vulnerabile leader tripolino sponsorizzato dall’Italia – prima ad Abu Dhabi e poi a Parigi. Per i francesi Haftar è una sorta di «De Gaulle libico» ma non trascurano neppure i rapporti con il clan di Gheddafi e con il figlio del colonnello, Seif al Islam.
Insomma ci stanno scavalcando da tutti i lati. Haftar ora controlla l’importante giacimento libico El Feel, operato da Eni assieme alla Compagnia petrolifera nazionale libica (Noc), un’operazione avvenuta nell’ambito della campagna di conquista del sud-ovest con cui si era già impadronito dei pozzi di Sharara, i più importanti della Libia. Le recenti avanzate stanno cambiando rapidamente le relazioni di potere in Libia e forse la Francia si prepara a trattare una sorta di resa o di armistizio con il governo Sarraj.
«Haftar per Tripoli è diventato una minaccia esistenziale», sostiene l’Istituto tedesco per gli affari internazionali e di sicurezza (Swp). Ce ne accorgeremo, forse, anche noi.

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