(Una
conversazione con Mauro Biani, a cura di Gianluca Carmosino)
Mauro Biani racconta il mondo con le mani.
Vignettista, illustratore, tra i più noti e apprezzati autori di satira, ma
anche scultore. Ogni giorno osserva, disegna, crea con una passione, una
tenerezza e un’indignazione inusitate per questi tempi incattiviti e di
pensiero unico. I suoi
lavori dispongono nello stato d’animo ideale per imparare a dare le spalle ai
potenti e a lasciare libera l’immaginazione: quando tutto sembra grigio e
immutabile, sembra suggerire Mauro, capire e immaginare è la sola via d’uscita,
disegnare e colorare è già un modo per creare mondi nuovi e mettere al centro
le persone. Chissà, forse le sue mani hanno imparato a coltivare tenerezza e
passione anche attraverso i percorsi di educatore per ragazzi con disabilità e
di educatore scout, nei quali le mani si sono abituate ad aprirsi, ad
accarezzare, a sostenere, a costruire, a chiedere e a donare. Di sicuro ciò che
Mauro illustra è spesso illuminante, semplice, preciso e ricco di speranza.
Attualmente
è vignettista su carta per il manifesto, L’Espresso e Azione nonviolenta, a
volte anche per il Courrier International e Der Spiegel. Su web le sue vignette rimbalzano ogni
giorno da www.maurobiani.it,
spesso le invia spontaneamente anche a uno spazio di comunicazione indipendente
come Comune.
Alcuni editori hanno raccolto i suoi lavori: tra i suoi libri ricordiamo in
particolare Tracce migranti, nato da un
progetto di autoproduzione non-profit dell’associazione culturale
Altrinformazione, distribuito da il manifesto e arricchito dagli interventi di
Franco Pittau e Giusi Nicolini (www.altrinformazione.net): “Un libro che
racconta l’immigrazione e il suo rovescio, l’altro da noi e noi, il sogno di
vivere e la paura di morire. I muri eretti contro un’umanità in cammino e
l’eterno desiderio di superarli…” (Biani, 2015). Se c’è un’urgenza nell’epoca
dei diritti globali negati, dice Mauro Biani in questa intervista, è prima di
tutto “riconoscersi tra persone”, in tanti modi, inclusa l’arte di disegnare, “riconoscere all’altro la sua dignità di
persona”.
Vignette, disegni ma anche sculture fanno parte
della tua vita quotidiana. Miguel Benasayag in Oltre le passioni tristi sostiene
che la creazione artistica è uno strumento indispensabile per trasformare la
società perché mette in discussione la tristezza, di cui le tirannie hanno
bisogno per insediare le loro oppressioni (Benasayag, 2016). Cosa ne pensi?
Disegnare e
scolpire sono per me prima di tutto riflessione, rielaborazione di pensieri e
sentimenti, ma anche espressione. Sono appunti di “urgenze”, che mi piace
mettere in comune. Più che la tristezza direi possono aiutare a mettere in discussione la rassegnazione.
In effetti, è tristissima anche la comicità obbligatoria del quotidiano
carrozzone ridanciano, quello social come quello mainstream.
In un’epoca di sovraccarico di informazioni e di
immagini da consumare velocemente le vignette possono aiutare ad apprendere e a
memorizzare? Oppure sono destinate a favorire altri processi? Una matita può
contribuire a cristallizzare sentimenti e a immaginare mondi nuovi?
La vignetta
è come molte altre forme espressive: può essere banale e generare banalità, può
essere persino reazionaria pubblicizzando e rinforzando il potere del momento,
con la possibilità di nascondersi dietro la comicità o la satira, oppure può
essere rivoluzionaria, quando tenta di cambiare il
punto di vista del luogo comune. E può anche tentare di dare voce ai senza voce.
Disegnare vignette può essere un mezzo per
com-unicare, in cui determinante è, come ricorda l’origine latina di questa
parola, il cum, il fare insieme?
Per me la
vignetta è anche e soprattutto il consolidamento di un dialogo, di un rapporto,
di un canale di comunicazione con chi legge, con chi “condivide” le mie
vignette sui social network o chi le cerca sulla carta stampata. E so che non è
mai un dialogo monodirezionale: tutto
ciò che prende forma nel disegno nasce sempre da una riflessione condivisa, da
una critica rimuginata, da un entusiasmo che non è soltanto mio.
La satira, non solo quella espressa attraverso le
illustrazioni, si nutre prima di tutto di ironia. A leggere analisi e dati
delle ultime edizioni delRapporto
Diritti globali si
rischia di pensare però che coltivare ironia oggi sia un vezzo…
Come
accennavo prima, anche l’ironia amara, a volte amarissima, è uno strumento. Per
prima cosa, deve essere chiaro l’obiettivo dell’ironia, del tentativo di
svelamento delle contraddizioni. Ecco, in realtà, io cerco soprattutto
queste: le contraddizioni, che, a volte,
sfociano in rabbia e anche in una ironia naturale, esistenziale.
Quanto hanno influito nel tuo modo di raccontare il
mondo la tua esperienza di educatore per ragazzi con disabilità mentali ma
anche quella passata di educatore scout?
Molto.
Innanzitutto, io penso che tutto sia “educativo” o
diseducativo…, e che chi si confronta e lavora con l’informazione,
ma anche con la satira, non può non porsi il problema di quello che sta
comunicando facendo finta che esista solo una libertà espressiva, a
prescindere. Poi, quando penso ai ragazzi del Centro, riassumerei il loro
insegnamento con “il Me è nudo”, che supera il classico “il Re è nudo” della
nota fiaba (Andersen-Piumini, 2011). Nella loro “nudità” insegnano che chi si
“spoglia” per primo, naturalmente, costringe sovrastrutture e poteri vari a
specchiarsi in quella nudità, a ritrovarsi nudi di fronte alla nudità
dell’umanità altrui.
Ti invitano a intervenire spesso in convegni,
festival, dibattiti ma hai ammesso che dici di sì prima di tutto agli incontri
nelle scuole: quali tipo di reazione tra i ragazzi incontri nel momento in cui
proponi approfondimenti e riflessioni su temi sociali, a cominciare dalle
migrazioni?
Viviamo un
tempo nel quale l’educazione è un argomento molto importante, molto sensibile
per tutti. Spesso con gli “adulti” tutto può apparire come un esercizio di
stile. Invece, nel confronto coi ragazzi, con gli adolescenti si parte spesso
dall’analisi persino tecnica della vignetta, e di come si può veicolare
efficacemente il messaggio. Che è il cuore degli incontri e si sviluppano non
di rado discussioni molto interessanti.
Era il 2012, Daniele Sepe ti chiama per il suo Canzoniere
Illustrato (Sepe, 2012). Raccontaci di quale canzone ti dovevi
occupare e di come sono andare le cose.
Una canzone Rom sapevamo tutti – compreso Daniele, naturalmente
– che parlasse di amore contrastato. Ma sapevamo soltanto questo, non avendo
trovato ancora un traduttore, mentre già la ascoltavo e la disegnavo. Alla fine
lo trovarono e scoprimmo, e ancora ci ridiamo, che la storia ricalcava quasi
esattamente il fumetto che mi ero immaginato. Potere della musica, una
bellissima esperienza.
Uno dei temi più approfonditi nel Rapporto
Diritti globali 2018 e in quello del 2019 è la “criminalizzazione dei
poveri”. Come tentare di ribaltare questa narrazione?
Insisto:
educando-ci a vicenda, tra poveri e meno poveri, partecipando alle occasioni
di confronto, parlando delle
ingiustizie e delle cause delle ingiustizie. Il “povero” deve difendersi,
attaccando con le armi della cultura e della formazione i mestatori delle
paure, dell’odio… Poveri di tutto il
mondo nun se famo fregà, uniamoci, perlomeno nelle riflessioni.
A volte hai dedicato alcune vignette a Genova 2001
per fare memoria della feroce violenza con cui quel movimento fu represso.
Quali sono stati i semi che quel movimento di movimenti è riuscito comunque a
seminare?
Io credo
che, mi autocito una vignetta, “Avevamo
ragione su tutto, ma avevamo solo quello”. Quel movimento ha seminato l’ostinazione della
ricerca, della comprensione dell’ingiustizia, della possibilità reale di creare
mondi diversi. Soltanto che, come un bimbo, tra un rimprovero e l’altro
dell’adulto, c’è il rischio di non crescere ed essere distratti da un
cambiamento reale, concentrandosi su un cambiamento che non cambia, che lascia
le cose ben salde in mano ai pochi “eletti”. Il Movimento Cinque stelle per me
rappresenta abbastanza bene, purtroppo, questo equivoco, questo cambiamento che
non cambia nulla in profondità.
Ti ostini a far rimbalzare spesso il pacifismo e la
nonviolenza nei tuoi “racconti”. Sembrano però orizzonti ancora troppo di
nicchia, a livello politico ma anche nella società, non credi?
No. O
meglio, penso che io do un piccolo contributo al racconto della Nonviolenza
come una opzione reale, praticabile. È
importante che la satira dica anche questo. Il cinismo d’emblée, d’accatto, che
spesso è di gran moda, in realtà molto spesso rappresenta quella “politica
reazionaria” per cui alla fine è tutto immutabile, e persino gli strumenti e il
sistema sono ineludibili, che ce la pigliamo a fare?
Se ragioniamo del tempo che viviamo, nel quale tutto
è mercificato, a cosa pensi prima di tutto?
Penso
all’utile e all’inutile. In un momento
storico dove conta solo l’utile o la ricerca persino disperata del fare di
conto, l’inutile bellezza, l’inutile amore mi appaiono ancora di più vitali.
Non servono ad altro, soltanto alla vita.
“Ciascuno cresce solo se sognato” è un verso di una
poesia di Danilo Dolci a cui sei molto affezionato (Dolci, 1974). Cosa può
significare oggi per noi?
Per me
significa riconoscersi tra persone. Riconoscere all’altro la sua dignità di
persona. Io ti vedo e sono visto. E se sono visto ci sono, Io Sono. Noi siamo.
Bigliografia
Biani Mauro,
2015, Tracce migranti, Altrinformazione / il manifesto
Benasayag
Miguel, 2016, Oltre le passioni tristi, Feltrinelli,
Milano
Andersen-Piumuni,
2011, Il vestito nuovo dell’imperatore, Edizioni EL / Einaudi
per ragazzi, Milano
Sepe
Daniele, 2012, Canzoniere illustrato, album musicale
(www.danielesepe.com)
Dolci
Danilo, 1974, Poema umano, Nuovi Coralli / Einaudi, Milano
Questo
articolo è stato pubblicato anche nel Rapporto
sui Diritti Globali 2018 (Ediesse), con il titolo
completo Educarsi e riconoscersi per realizzare giustizia e cambiamento
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