venerdì 15 febbraio 2019

Riconoscersi tra persone - Mauro Biani



(Una conversazione con Mauro Biani, a cura di Gianluca Carmosino)

Mauro Biani racconta il mondo con le mani. Vignettista, illustratore, tra i più noti e apprezzati autori di satira, ma anche scultore. Ogni giorno osserva, disegna, crea con una passione, una tenerezza e un’indignazione inusitate per questi tempi incattiviti e di pensiero unico. I suoi lavori dispongono nello stato d’animo ideale per imparare a dare le spalle ai potenti e a lasciare libera l’immaginazione: quando tutto sembra grigio e immutabile, sembra suggerire Mauro, capire e immaginare è la sola via d’uscita, disegnare e colorare è già un modo per creare mondi nuovi e mettere al centro le persone. Chissà, forse le sue mani hanno imparato a coltivare tenerezza e passione anche attraverso i percorsi di educatore per ragazzi con disabilità e di educatore scout, nei quali le mani si sono abituate ad aprirsi, ad accarezzare, a sostenere, a costruire, a chiedere e a donare. Di sicuro ciò che Mauro illustra è spesso illuminante, semplice, preciso e ricco di speranza.
Attualmente è vignettista su carta per il manifesto, L’Espresso e Azione nonviolenta, a volte anche per il Courrier International e Der Spiegel. Su web le sue vignette rimbalzano ogni giorno da www.maurobiani.it, spesso le invia spontaneamente anche a uno spazio di comunicazione indipendente come Comune. Alcuni editori hanno raccolto i suoi lavori: tra i suoi libri ricordiamo in particolare Tracce migranti, nato da un progetto di autoproduzione non-profit dell’associazione culturale Altrinformazione, distribuito da il manifesto e arricchito dagli interventi di Franco Pittau e Giusi Nicolini (www.altrinformazione.net): “Un libro che racconta l’immigrazione e il suo rovescio, l’altro da noi e noi, il sogno di vivere e la paura di morire. I muri eretti contro un’umanità in cammino e l’eterno desiderio di superarli…” (Biani, 2015). Se c’è un’urgenza nell’epoca dei diritti globali negati, dice Mauro Biani in questa intervista, è prima di tutto “riconoscersi tra persone”, in tanti modi, inclusa l’arte di disegnare, “riconoscere all’altro la sua dignità di persona”.

Vignette, disegni ma anche sculture fanno parte della tua vita quotidiana. Miguel Benasayag in Oltre le passioni tristi sostiene che la creazione artistica è uno strumento indispensabile per trasformare la società perché mette in discussione la tristezza, di cui le tirannie hanno bisogno per insediare le loro oppressioni (Benasayag, 2016). Cosa ne pensi?
Disegnare e scolpire sono per me prima di tutto riflessione, rielaborazione di pensieri e sentimenti, ma anche espressione. Sono appunti di “urgenze”, che mi piace mettere in comune. Più che la tristezza direi possono aiutare a mettere in discussione la rassegnazione. In effetti, è tristissima anche la comicità obbligatoria del quotidiano carrozzone ridanciano, quello social come quello mainstream.
In un’epoca di sovraccarico di informazioni e di immagini da consumare velocemente le vignette possono aiutare ad apprendere e a memorizzare? Oppure sono destinate a favorire altri processi? Una matita può contribuire a cristallizzare sentimenti e a immaginare mondi nuovi?
La vignetta è come molte altre forme espressive: può essere banale e generare banalità, può essere persino reazionaria pubblicizzando e rinforzando il potere del momento, con la possibilità di nascondersi dietro la comicità o la satira, oppure può essere rivoluzionaria, quando tenta di cambiare il punto di vista del luogo comune. E può anche tentare di dare voce ai senza voce.

Disegnare vignette può essere un mezzo per com-unicare, in cui determinante è, come ricorda l’origine latina di questa parola, il cum, il fare insieme?
Per me la vignetta è anche e soprattutto il consolidamento di un dialogo, di un rapporto, di un canale di comunicazione con chi legge, con chi “condivide” le mie vignette sui social network o chi le cerca sulla carta stampata. E so che non è mai un dialogo monodirezionale: tutto ciò che prende forma nel disegno nasce sempre da una riflessione condivisa, da una critica rimuginata, da un entusiasmo che non è soltanto mio.
La satira, non solo quella espressa attraverso le illustrazioni, si nutre prima di tutto di ironia. A leggere analisi e dati delle ultime edizioni delRapporto Diritti globali si rischia di pensare però che coltivare ironia oggi sia un vezzo…
Come accennavo prima, anche l’ironia amara, a volte amarissima, è uno strumento. Per prima cosa, deve essere chiaro l’obiettivo dell’ironia, del tentativo di svelamento delle contraddizioni. Ecco, in realtà, io cerco soprattutto queste: le contraddizioni, che, a volte, sfociano in rabbia e anche in una ironia naturale, esistenziale.
Quanto hanno influito nel tuo modo di raccontare il mondo la tua esperienza di educatore per ragazzi con disabilità mentali ma anche quella passata di educatore scout?
Molto. Innanzitutto, io penso che tutto sia “educativo” o diseducativo…, e che chi si confronta e lavora con l’informazione, ma anche con la satira, non può non porsi il problema di quello che sta comunicando facendo finta che esista solo una libertà espressiva, a prescindere. Poi, quando penso ai ragazzi del Centro, riassumerei il loro insegnamento con “il Me è nudo”, che supera il classico “il Re è nudo” della nota fiaba (Andersen-Piumini, 2011). Nella loro “nudità” insegnano che chi si “spoglia” per primo, naturalmente, costringe sovrastrutture e poteri vari a specchiarsi in quella nudità, a ritrovarsi nudi di fronte alla nudità dell’umanità altrui.
Ti invitano a intervenire spesso in convegni, festival, dibattiti ma hai ammesso che dici di sì prima di tutto agli incontri nelle scuole: quali tipo di reazione tra i ragazzi incontri nel momento in cui proponi approfondimenti e riflessioni su temi sociali, a cominciare dalle migrazioni?
Viviamo un tempo nel quale l’educazione è un argomento molto importante, molto sensibile per tutti. Spesso con gli “adulti” tutto può apparire come un esercizio di stile. Invece, nel confronto coi ragazzi, con gli adolescenti si parte spesso dall’analisi persino tecnica della vignetta, e di come si può veicolare efficacemente il messaggio. Che è il cuore degli incontri e si sviluppano non di rado discussioni molto interessanti.
Era il 2012, Daniele Sepe ti chiama per il suo Canzoniere Illustrato (Sepe, 2012). Raccontaci di quale canzone ti dovevi occupare e di come sono andare le cose.
Una canzone Rom sapevamo tutti – compreso Daniele, naturalmente – che parlasse di amore contrastato. Ma sapevamo soltanto questo, non avendo trovato ancora un traduttore, mentre già la ascoltavo e la disegnavo. Alla fine lo trovarono e scoprimmo, e ancora ci ridiamo, che la storia ricalcava quasi esattamente il fumetto che mi ero immaginato. Potere della musica, una bellissima esperienza.
Uno dei temi più approfonditi nel Rapporto Diritti globali 2018 e in quello del 2019 è la “criminalizzazione dei poveri”. Come tentare di ribaltare questa narrazione?
Insisto: educando-ci a vicenda, tra poveri e meno poveri, partecipando alle occasioni di confronto, parlando delle ingiustizie e delle cause delle ingiustizie. Il “povero” deve difendersi, attaccando con le armi della cultura e della formazione i mestatori delle paure, dell’odio… Poveri di tutto il mondo nun se famo fregà, uniamoci, perlomeno nelle riflessioni.
A volte hai dedicato alcune vignette a Genova 2001 per fare memoria della feroce violenza con cui quel movimento fu represso. Quali sono stati i semi che quel movimento di movimenti è riuscito comunque a seminare?
Io credo che, mi autocito una vignetta, “Avevamo ragione su tutto, ma avevamo solo quello”. Quel movimento ha seminato l’ostinazione della ricerca, della comprensione dell’ingiustizia, della possibilità reale di creare mondi diversi. Soltanto che, come un bimbo, tra un rimprovero e l’altro dell’adulto, c’è il rischio di non crescere ed essere distratti da un cambiamento reale, concentrandosi su un cambiamento che non cambia, che lascia le cose ben salde in mano ai pochi “eletti”. Il Movimento Cinque stelle per me rappresenta abbastanza bene, purtroppo, questo equivoco, questo cambiamento che non cambia nulla in profondità.

Ti ostini a far rimbalzare spesso il pacifismo e la nonviolenza nei tuoi “racconti”. Sembrano però orizzonti ancora troppo di nicchia, a livello politico ma anche nella società, non credi?
No. O meglio, penso che io do un piccolo contributo al racconto della Nonviolenza come una opzione reale, praticabile. È importante che la satira dica anche questo. Il cinismo d’emblée, d’accatto, che spesso è di gran moda, in realtà molto spesso rappresenta quella “politica reazionaria” per cui alla fine è tutto immutabile, e persino gli strumenti e il sistema sono ineludibili, che ce la pigliamo a fare?
Se ragioniamo del tempo che viviamo, nel quale tutto è mercificato, a cosa pensi prima di tutto?
Penso all’utile e all’inutile. In un momento storico dove conta solo l’utile o la ricerca persino disperata del fare di conto, l’inutile bellezza, l’inutile amore mi appaiono ancora di più vitali. Non servono ad altro, soltanto alla vita.
“Ciascuno cresce solo se sognato” è un verso di una poesia di Danilo Dolci a cui sei molto affezionato (Dolci, 1974). Cosa può significare oggi per noi?
Per me significa riconoscersi tra persone. Riconoscere all’altro la sua dignità di persona. Io ti vedo e sono visto. E se sono visto ci sono, Io Sono. Noi siamo.


Bigliografia
Biani Mauro, 2015, Tracce migranti, Altrinformazione / il manifesto
Benasayag Miguel, 2016, Oltre le passioni tristi, Feltrinelli, Milano
Andersen-Piumuni, 2011, Il vestito nuovo dell’imperatore, Edizioni EL / Einaudi per ragazzi, Milano
Sepe Daniele, 2012, Canzoniere illustrato, album musicale (www.danielesepe.com)
Dolci Danilo, 1974, Poema umano, Nuovi Coralli / Einaudi, Milano

Questo articolo è stato pubblicato anche nel Rapporto sui Diritti Globali 2018 (Ediesse), con il titolo completo Educarsi e riconoscersi per realizzare giustizia e cambiamento


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