Ciò che interessa al
governo israeliano e a molti dei suoi sostenitori non è la lotta del tutto
giustificata contro l’antisemitismo, come dimostra il flirtare di Benyamin
Netanyahu con forze di estrema destra in Europa. Si tratta soprattutto di
snaturare questa lotta per screditare la solidarietà con i palestinesi, come
dimostra il dibattito sulla definizione di antisemitismo.
Il 6 dicembre 2018 il
Consiglio giustizia e affari interni dell’Unione Europea (UE) ha adottato senza
dibattito, una dichiarazione sulla lotta contro l’antisemitismo e la protezione
delle comunità ebraiche in Europa. Lodevole intenzione, a parte il fatto che…
L’articolo 2 di questa dichiarazione invita gli Stati membri ad adottare la
definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance
(IHRA). Durante la presidenza austriaca dell’UE, da luglio a dicembre 2018,
Israele e la potente lobby filo-israeliana in gran segreto si sono attivati e
senza risparmiare sforzi per raggiungere questo risultato. Cos’è dunque questa
“definizione IHRA” che Israele e i suoi incondizionati sostenitori vogliono
imporre?
Nel 2015, all’indomani
della micidiale offensiva israeliana contro la popolazione di Gaza,
pesantemente condannata dall’opinione pubblica mondiale, la lobby israeliana
rilanciò un’offensiva già fallita negli anni 2000 che puntava a promuovere una
definizione di antisemitismo che incorpori anche la critica di Israele. Il suo
obiettivo: l’IHRA, un organismo intergovernativo che raggruppa 31 stati in cui
la lobby filo-israeliana dispone di un collegamento. Nel maggio 2016, l’IHRA ha
adottato la sua “definizione” di antisemitismo:
“L’antisemitismo è una
certa percezione degli ebrei, che può essere espressa dall’odio nei confronti
degli ebrei. Le manifestazioni retoriche e fisiche dell’antisemitismo sono
dirette contro persone ebree o non ebree e/o loro proprietà, contro le
istituzioni della comunità ebraica o i luoghi religiosi. (traduzione
dell’Association France-Palestine solidarité (AFPS)”
➞ “Manifestazioni [di antisemitismo] potrebbero
includere il targeting dello stato di Israele, concepito come una collettività
ebraica” anche se con la riserva che “la critica di Israele simile a quella
messa a confronto con qualsiasi altro paese non può essere considerata
antisemita”. Ma cosa può significare “simile” quando le realtà sono
completamente specifiche o per associazioni dedite alla difesa dei diritti del
popolo palestinese?
➞ “Accusare i cittadini ebrei di essere più fedeli a
Israele (…) che agli interessi della propria nazione”. “I” o “dei” … Non
avremmo quindi più il diritto di dire che il Consiglio di Rappresentanza delle
istituzioni ebraiche in Francia (CRIF) è diventato un annesso all’ambasciata
israeliana?
➞ “Negare al popolo ebraico il diritto
all’autodeterminazione, ad esempio sostenendo che l’esistenza dello Stato di
Israele è un’impresa razzista.” La nuova legge fondamentale di Israele riserva
il diritto all’autodeterminazione al solo “popolo ebraico”. Non avremo più il
diritto di combatterla?
➞ “Dimostrare un doppio standard esigendo un
comportamento [dello Stato di Israele] che non sia previsto o richiesto a
nessun altro paese democratico.” Le situazioni sono diverse, quale sarebbe il
criterio?
UNO STRUMENTO DI
PROPAGANDA E INTIMIDAZIONE
In breve, ecco una
definizione povera di contenuti, ma “non giuridicamente vincolante”, comunque
associata a esempi molto discutibili che non sono stati adottati tuttavia
dall’IHRA … Visto da lontano, tutto questo ha poco senso e potrebbe non essere
così grave? Questo sarebbe dimenticare che non abbiamo a che fare con uno
strumento di costrizione legale, ma con uno strumento di propaganda e
intimidazione. Ciò che conta per i sostenitori senza riserve della politica israeliana,
non è avere ragione sul piano giuridico, è instillare il dubbio e la paura di
essere considerato antisemita, provocare discussioni a non finire, bloccare
qualsiasi iniziativa … e rovinare la reputazione di chiunque non si pieghi.
L’esempio del Regno
Unito, che ha adottato la definizione IHRA alla fine del 2016, lo dimostra.
Sulla base di una semplice dichiarazione governativa, la lobby ha esercitato
pressioni perché la maggior parte delle università, municipalità e partiti
politici adottasse questa definizione. E le conseguenze non si sono fatte
attendere. Numerosi incontri pubblici sono stati cancellati nelle università,
un docente è stato oggetto di un inchiesta senza alcun fondamento, una
personalità laburista è stata espulsa dal partito… L’associazione britannica
Free Speech on Israel ha selezionato e documentato otto casi particolarmente
caratteristici nell’anno 2017.
La campagna più
scandalosa della lobby pro-Israele in Inghilterra è stata diretta contro Jeremy
Corbyn: di fronte alle accuse infondate di antisemitismo di cui il suo leader è
stato l’obiettivo, la pressione per l’adozione della “definizione IHRA” ed
esempi correlati è stata tale che alla fine il comitato esecutivo del Partito
laburista ha ceduto.
Ad oggi, otto Stati
europei hanno adottato la “definizione IHRA” dell’antisemitismo: Romania,
Austria, Germania, Bulgaria, Slovacchia, Italia, Regno Unito nonché, al di
fuori dell’UE , la Macedonia. I danni, già visibili nel Regno Unito e in
Germania, devono ancora arrivare in molti di questi paesi.
Questa operazione non
è la prima sostenuta dal CRIF. Segue il tentativo incompiuto di
criminalizzazione della campagna di Boicottaggio-Disinvestimento-Sanzioni(BDS).
Perché nessuna legge in Francia proibisce di boicottare uno Stato la cui
politica viola sia il diritto internazionale che i diritti umani. Altrimenti,
infatti, gli organizzatori del boicottaggio del regime di apartheid sudafricano
sarebbero stati perseguiti, mentre nessuno lo fu all’epoca.
UNA STRATEGIA DI
IMPUNITÀ
Su centinaia di azioni
di boicottaggio, pochissime sono andate a processo. Una di queste, a Colmar, è
stata per di più oggetto di una sentenza della Corte di cassazione, che la
Corte europea dei diritti dell’uomo ha potuto tuttavia ritoccare. Tanto che, da
parte sua, l’Alta rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di
sicurezza, Federica Mogherini, ha chiaramente precisato: “L’Unione europea si
batte tenacemente per la tutela della libertà di espressione e della libertà di
associazione, in linea con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea, applicabile al territorio degli Stati membri dell’UE, anche per quanto
riguarda le azioni BDS.”
In queste campagne
contro il BDS come per l’adozione della “definizione” dell’IHRA, la manovra è
cucita con filo bianco: si tratta di mettere a tacere ogni critica alla
politica israeliana. Questo perché i leader israeliani rimangono profondamente
isolati, innanzi tutto in seno alle Nazioni Unite. Lo Stato di Palestina è
entrato a far parte dell’Unesco (2011), poi dell’Assemblea generale delle
Nazioni Unite (2012) e anche della Corte penale internazionale (CPI) nel 2015.
Un simbolo: all’epoca dell’ultimo voto dell’Assemblea Generale sul “diritto
all’autodeterminazione del popolo palestinese, incluso il suo diritto a uno
Stato indipendente”, il 17 dicembre 2018, 172 Stati hanno votato a favore e 6
contro (tra cui Israele, gli Stati Uniti e il Canada, ma anche le Isole
Marshall, gli Stati Federati di Micronesia e Nauru).
E questo isolamento
non rischia di ridursi. La destra e l’estrema destra al potere a Tel Aviv sono
infatti impegnate in un inquietante processo di radicalizzazione. Approfittando
del sostegno dell’amministrazione Trump e della loro alleanza con l’Arabia
Saudita contro l’Iran, vogliono passare dalla colonizzazione, che accelerano,
all’annessione, che diverse leggi stanno preparando. In definitiva, se saranno
riconfermate il prossimo 9 aprile, seppelliranno la soluzione chiamata “dei due
stati” a favore di uno solo, in cui i palestinesi assorbiti con le loro terre
non avranno alcun diritto politico, a cominciare dal diritto di voto. La legge
fondamentale adottata il 19 luglio 2018 nella Knesset simboleggia questa
ufficializzazione dell’apartheid all’israeliana. Quella del 1992 definiva
Israele come uno “Stato ebraico e democratico”: la nuova è intitolata “Stato
nazione del popolo ebraico”. E precisa: “Il diritto di esercitare
l’autodeterminazione nazionale in seno allo Stato di Israele appartiene al solo
popolo ebraico.” In breve, nega esplicitamente la Dichiarazione di Indipendenza
che, il 14 maggio 1948, prometteva che il nuovo Stato “garantirà una completa
uguaglianza dei diritti sociali e politici a tutti i suoi cittadini, senza
distinzione di credo, razza o sesso”.
Anche le alleanze che
legano Benyamin Netanyahu a populisti e neofascisti, specialmente in Europa,
sono a dir poco scioccanti. Come accettare che un Primo Ministro di questo
paese, che così spesso fa riferimento alla Shoah per giustificare la sua
politica, flirti con leader che lodano collaboratori dei nazisti, come Viktor
Orbán, o pretendono di vietare che se ne parli, come Jaroslaw Kazcynski, o si
ammantano di fascismo con sottintesi piuttosto scoperti, come Matteo Salvini?
Non c’è dubbio che
questa fuga in avanti scaverà un po’ più il fossato tra Israele e l’opinione
pubblica mondiale. Ne sono una prova gli ultimi sondaggi condotti in Francia.
Secondo un sondaggio dello SFOP, il 57% degli intervistati ha una “cattiva
immagine di Israele”, il 69% una “cattiva immagine del sionismo” e il 71% pensa
che “Israele abbia una pesante responsabilità nell’assenza di negoziati con i
palestinesi.” E non ci si dica che sono antisemiti! Con il titolo “Un
antisionismo che non si trasforma in antisemitismo”, un altro sondaggio,
condotto da IPSOS, mostra che le persone più critiche nei confronti della
politica di Israele sono anche le più solidali con gli ebrei di fronte
all’antisemitismo.
Una ragione in più per
la Francia per resistere finalmente al ricatto contro l’antisemitismo. Quando
si critica l’UE, non dobbiamo mai dimenticare che i veri responsabili sono gli
Stati, in particolare in seno al Consiglio dell’Unione. I rappresentanti
francesi vi erano perfettamente armati e avvertiti. La Commissione nazionale
consultiva per i diritti umani (CNCDH) era stata particolarmente chiara nella
sua relazione annuale sul razzismo pubblicata nel maggio 2018. La sua opinione
era contraria all’adozione della definizione dell’IHRA per due ragioni:
definire ogni tipo di razzismo è contrario alla tradizione giuridica francese
e, pur rimanendo vigili, dobbiamo fare attenzione a qualsiasi
strumentalizzazione della lotta contro l’antisemitismo.
Tuttavia, l’articolo 2
della dichiarazione del Consiglio giustizia e affari interni dell’UE è passato.
È interessante a questo punto ricordare la sua completa redazione:
“INVITA GLI STATI
MEMBRI che non l’hanno ancora fatto ad approvare la definizione operativa non
giuridicamente vincolante dell’antisemitismo utilizzata dall’International
Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) come utile strumento di orientamento
nell’istruzione e nella formazione, in particolare per le forze dell’ordine,
come parte degli sforzi per procedere in modo più efficiente ed efficace per la
rilevazione di attacchi antisemiti e per le indagini che li riguardano.”
Ammiriamo a tal
proposito la manipolazione della traduzione francese (“working definition”
tradotta in “definizione operativa”) e l’invito agli Stati membri a formare la
loro polizia su testi che sono al di fuori della legge, mentre la regola, per
le dichiarazioni del consiglio, è quella dell’unanimità e del consenso. Come
hanno potuto i rappresentanti del governo francese lasciar fare? E’ questo un
effetto dell’intervista rilasciata al CRIF dalla ministra della Giustizia,
Nicole Belloubet, alcuni giorni prima della decisione?
Il consenso è stato
raggiunto solo rimuovendo il riferimento ai famosi “esempi”. In effetti,
l’articolo 2 non fa riferimento agli esempi. Ma non dice che sono esclusi;
funzionari della Commissione europea si sono immediatamente infilati nella
breccia. Infine, l’ambasciatore francese presso l’UE ha ufficialmente ricordato
al comitato di rappresentanti permanenti che il consenso sull’articolo 2 non
includeva gli esempi. Si è trattato di un’utile precisazione, che è stata
assunta dalle autorità francesi e l’AFPS ne ha fatto parte, ma non è stata
ancora ripresa dalla comunicazione ufficiale delle stesse autorità francesi …
La strumentalizzazione
della lotta contro l’antisemitismo al servizio dell’impunità di uno Stato terzo
che viola ogni giorno il diritto internazionale è una questione molto seria che
può minare profondamente la nostra democrazia. Di fronte a questo,
l’atteggiamento dell’esecutivo francese è ancora in tono sommesso e non
permette di combattere seriamente questo pericolo: nel luglio 2017, Emmanuel
Macron ha lanciato alla presenza di Benyamin Netanyahu l’amalgama gravissimo di
antisemitismo e antisionismo. Non l’ha più rifatto, ma non è tornato
pubblicamente sulle sue dichiarazioni. Più recentemente, il CRIF ha
ufficialmente chiesto al governo francese di legiferare contro il boicottaggio
e adottare la definizione di antisemitismo dell’IHRA. Il governo non ha dato
seguito, ma non ha ufficialmente rilasciato annuncio formale del suo rifiuto. È
tempo di dire chiaramente che la Francia non accetta che lo Stato di Israele
intervenga nei suoi affari interni.
DOMINIQUE VIDAL
Giornalista e storico,
autore di Antisionisme = antisémitisme ? (Libertalia, febbraio 2018)
BERTRAND HEILBRONN
Presidente dell’Association France-Palestine Solidarité (AFPS).
(Traduzione: Simonetta
Lambertini – invictapalestina.org
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