mercoledì 20 febbraio 2019

Come Israele manipola la lotta contro l’antisemitismo - Dominique Vidal, Bertrand Heilbronn




Ciò che interessa al governo israeliano e a molti dei suoi sostenitori non è la lotta del tutto giustificata contro l’antisemitismo, come dimostra il flirtare di Benyamin Netanyahu con forze di estrema destra in Europa. Si tratta soprattutto di snaturare questa lotta per screditare la solidarietà con i palestinesi, come dimostra il dibattito sulla definizione di antisemitismo.

Il 6 dicembre 2018 il Consiglio giustizia e affari interni dell’Unione Europea (UE) ha adottato senza dibattito, una dichiarazione sulla lotta contro l’antisemitismo e la protezione delle comunità ebraiche in Europa. Lodevole intenzione, a parte il fatto che… L’articolo 2 di questa dichiarazione invita gli Stati membri ad adottare la definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA). Durante la presidenza austriaca dell’UE, da luglio a dicembre 2018, Israele e la potente lobby filo-israeliana in gran segreto si sono attivati e senza risparmiare sforzi per raggiungere questo risultato. Cos’è dunque questa “definizione IHRA” che Israele e i suoi incondizionati sostenitori vogliono imporre?
Nel 2015, all’indomani della micidiale offensiva israeliana contro la popolazione di Gaza, pesantemente condannata dall’opinione pubblica mondiale, la lobby israeliana rilanciò un’offensiva già fallita negli anni 2000 che puntava a promuovere una definizione di antisemitismo che incorpori anche la critica di Israele. Il suo obiettivo: l’IHRA, un organismo intergovernativo che raggruppa 31 stati in cui la lobby filo-israeliana dispone di un collegamento. Nel maggio 2016, l’IHRA ha adottato la sua “definizione” di antisemitismo:
“L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei, che può essere espressa dall’odio nei confronti degli ebrei. Le manifestazioni retoriche e fisiche dell’antisemitismo sono dirette contro persone ebree o non ebree e/o loro proprietà, contro le istituzioni della comunità ebraica o i luoghi religiosi. (traduzione dell’Association France-Palestine solidarité (AFPS)”
➞ “Manifestazioni [di antisemitismo] potrebbero includere il targeting dello stato di Israele, concepito come una collettività ebraica” anche se con la riserva che “la critica di Israele simile a quella messa a confronto con qualsiasi altro paese non può essere considerata antisemita”. Ma cosa può significare “simile” quando le realtà sono completamente specifiche o per associazioni dedite alla difesa dei diritti del popolo palestinese?
➞ “Accusare i cittadini ebrei di essere più fedeli a Israele (…) che agli interessi della propria nazione”. “I” o “dei” … Non avremmo quindi più il diritto di dire che il Consiglio di Rappresentanza delle istituzioni ebraiche in Francia (CRIF) è diventato un annesso all’ambasciata israeliana?
➞ “Negare al popolo ebraico il diritto all’autodeterminazione, ad esempio sostenendo che l’esistenza dello Stato di Israele è un’impresa razzista.” La nuova legge fondamentale di Israele riserva il diritto all’autodeterminazione al solo “popolo ebraico”. Non avremo più il diritto di combatterla?
➞ “Dimostrare un doppio standard esigendo un comportamento [dello Stato di Israele] che non sia previsto o richiesto a nessun altro paese democratico.” Le situazioni sono diverse, quale sarebbe il criterio?

UNO STRUMENTO DI PROPAGANDA E INTIMIDAZIONE
In breve, ecco una definizione povera di contenuti, ma “non giuridicamente vincolante”, comunque associata a esempi molto discutibili che non sono stati adottati tuttavia dall’IHRA … Visto da lontano, tutto questo ha poco senso e potrebbe non essere così grave? Questo sarebbe dimenticare che non abbiamo a che fare con uno strumento di costrizione legale, ma con uno strumento di propaganda e intimidazione. Ciò che conta per i sostenitori senza riserve della politica israeliana, non è avere ragione sul piano giuridico, è instillare il dubbio e la paura di essere considerato antisemita, provocare discussioni a non finire, bloccare qualsiasi iniziativa … e rovinare la reputazione di chiunque non si pieghi.
L’esempio del Regno Unito, che ha adottato la definizione IHRA alla fine del 2016, lo dimostra. Sulla base di una semplice dichiarazione governativa, la lobby ha esercitato pressioni perché la maggior parte delle università, municipalità e partiti politici adottasse questa definizione. E le conseguenze non si sono fatte attendere. Numerosi incontri pubblici sono stati cancellati nelle università, un docente è stato oggetto di un inchiesta senza alcun fondamento, una personalità laburista è stata espulsa dal partito… L’associazione britannica Free Speech on Israel ha selezionato e documentato otto casi particolarmente caratteristici nell’anno 2017.
La campagna più scandalosa della lobby pro-Israele in Inghilterra è stata diretta contro Jeremy Corbyn: di fronte alle accuse infondate di antisemitismo di cui il suo leader è stato l’obiettivo, la pressione per l’adozione della “definizione IHRA” ed esempi correlati è stata tale che alla fine il comitato esecutivo del Partito laburista ha ceduto.
Ad oggi, otto Stati europei hanno adottato la “definizione IHRA” dell’antisemitismo: Romania, Austria, Germania, Bulgaria, Slovacchia, Italia, Regno Unito nonché, al di fuori dell’UE , la Macedonia. I danni, già visibili nel Regno Unito e in Germania, devono ancora arrivare in molti di questi paesi.
Questa operazione non è la prima sostenuta dal CRIF. Segue il tentativo incompiuto di criminalizzazione della campagna di Boicottaggio-Disinvestimento-Sanzioni(BDS). Perché nessuna legge in Francia proibisce di boicottare uno Stato la cui politica viola sia il diritto internazionale che i diritti umani. Altrimenti, infatti, gli organizzatori del boicottaggio del regime di apartheid sudafricano sarebbero stati perseguiti, mentre nessuno lo fu all’epoca.

UNA STRATEGIA DI IMPUNITÀ

Su centinaia di azioni di boicottaggio, pochissime sono andate a processo. Una di queste, a Colmar, è stata per di più oggetto di una sentenza della Corte di cassazione, che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha potuto tuttavia ritoccare. Tanto che, da parte sua, l’Alta rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, ha chiaramente precisato: “L’Unione europea si batte tenacemente per la tutela della libertà di espressione e della libertà di associazione, in linea con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, applicabile al territorio degli Stati membri dell’UE, anche per quanto riguarda le azioni BDS.”
In queste campagne contro il BDS come per l’adozione della “definizione” dell’IHRA, la manovra è cucita con filo bianco: si tratta di mettere a tacere ogni critica alla politica israeliana. Questo perché i leader israeliani rimangono profondamente isolati, innanzi tutto in seno alle Nazioni Unite. Lo Stato di Palestina è entrato a far parte dell’Unesco (2011), poi dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (2012) e anche della Corte penale internazionale (CPI) nel 2015. Un simbolo: all’epoca dell’ultimo voto dell’Assemblea Generale sul “diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, incluso il suo diritto a uno Stato indipendente”, il 17 dicembre 2018, 172 Stati hanno votato a favore e 6 contro (tra cui Israele, gli Stati Uniti e il Canada, ma anche le Isole Marshall, gli Stati Federati di Micronesia e Nauru).
E questo isolamento non rischia di ridursi. La destra e l’estrema destra al potere a Tel Aviv sono infatti impegnate in un inquietante processo di radicalizzazione. Approfittando del sostegno dell’amministrazione Trump e della loro alleanza con l’Arabia Saudita contro l’Iran, vogliono passare dalla colonizzazione, che accelerano, all’annessione, che diverse leggi stanno preparando. In definitiva, se saranno riconfermate il prossimo 9 aprile, seppelliranno la soluzione chiamata “dei due stati” a favore di uno solo, in cui i palestinesi assorbiti con le loro terre non avranno alcun diritto politico, a cominciare dal diritto di voto. La legge fondamentale adottata il 19 luglio 2018 nella Knesset simboleggia questa ufficializzazione dell’apartheid all’israeliana. Quella del 1992 definiva Israele come uno “Stato ebraico e democratico”: la nuova è intitolata “Stato nazione del popolo ebraico”. E precisa: “Il diritto di esercitare l’autodeterminazione nazionale in seno allo Stato di Israele appartiene al solo popolo ebraico.” In breve, nega esplicitamente la Dichiarazione di Indipendenza che, il 14 maggio 1948, prometteva che il nuovo Stato “garantirà una completa uguaglianza dei diritti sociali e politici a tutti i suoi cittadini, senza distinzione di credo, razza o sesso”.
Anche le alleanze che legano Benyamin Netanyahu a populisti e neofascisti, specialmente in Europa, sono a dir poco scioccanti. Come accettare che un Primo Ministro di questo paese, che così spesso fa riferimento alla Shoah per giustificare la sua politica, flirti con leader che lodano collaboratori dei nazisti, come Viktor Orbán, o pretendono di vietare che se ne parli, come Jaroslaw Kazcynski, o si ammantano di fascismo con sottintesi piuttosto scoperti, come Matteo Salvini?
Non c’è dubbio che questa fuga in avanti scaverà un po’ più il fossato tra Israele e l’opinione pubblica mondiale. Ne sono una prova gli ultimi sondaggi condotti in Francia. Secondo un sondaggio dello SFOP, il 57% degli intervistati ha una “cattiva immagine di Israele”, il 69% una “cattiva immagine del sionismo” e il 71% pensa che “Israele abbia una pesante responsabilità nell’assenza di negoziati con i palestinesi.” E non ci si dica che sono antisemiti! Con il titolo “Un antisionismo che non si trasforma in antisemitismo”, un altro sondaggio, condotto da IPSOS, mostra che le persone più critiche nei confronti della politica di Israele sono anche le più solidali con gli ebrei di fronte all’antisemitismo.
Una ragione in più per la Francia per resistere finalmente al ricatto contro l’antisemitismo. Quando si critica l’UE, non dobbiamo mai dimenticare che i veri responsabili sono gli Stati, in particolare in seno al Consiglio dell’Unione. I rappresentanti francesi vi erano perfettamente armati e avvertiti. La Commissione nazionale consultiva per i diritti umani (CNCDH) era stata particolarmente chiara nella sua relazione annuale sul razzismo pubblicata nel maggio 2018. La sua opinione era contraria all’adozione della definizione dell’IHRA per due ragioni: definire ogni tipo di razzismo è contrario alla tradizione giuridica francese e, pur rimanendo vigili, dobbiamo fare attenzione a qualsiasi strumentalizzazione della lotta contro l’antisemitismo.
Tuttavia, l’articolo 2 della dichiarazione del Consiglio giustizia e affari interni dell’UE è passato. È interessante a questo punto ricordare la sua completa redazione:
“INVITA GLI STATI MEMBRI che non l’hanno ancora fatto ad approvare la definizione operativa non giuridicamente vincolante dell’antisemitismo utilizzata dall’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) come utile strumento di orientamento nell’istruzione e nella formazione, in particolare per le forze dell’ordine, come parte degli sforzi per procedere in modo più efficiente ed efficace per la rilevazione di attacchi antisemiti e per le indagini che li riguardano.”
Ammiriamo a tal proposito la manipolazione della traduzione francese (“working definition” tradotta in “definizione operativa”) e l’invito agli Stati membri a formare la loro polizia su testi che sono al di fuori della legge, mentre la regola, per le dichiarazioni del consiglio, è quella dell’unanimità e del consenso. Come hanno potuto i rappresentanti del governo francese lasciar fare? E’ questo un effetto dell’intervista rilasciata al CRIF dalla ministra della Giustizia, Nicole Belloubet, alcuni giorni prima della decisione?
Il consenso è stato raggiunto solo rimuovendo il riferimento ai famosi “esempi”. In effetti, l’articolo 2 non fa riferimento agli esempi. Ma non dice che sono esclusi; funzionari della Commissione europea si sono immediatamente infilati nella breccia. Infine, l’ambasciatore francese presso l’UE ha ufficialmente ricordato al comitato di rappresentanti permanenti che il consenso sull’articolo 2 non includeva gli esempi. Si è trattato di un’utile precisazione, che è stata assunta dalle autorità francesi e l’AFPS ne ha fatto parte, ma non è stata ancora ripresa dalla comunicazione ufficiale delle stesse autorità francesi …
La strumentalizzazione della lotta contro l’antisemitismo al servizio dell’impunità di uno Stato terzo che viola ogni giorno il diritto internazionale è una questione molto seria che può minare profondamente la nostra democrazia. Di fronte a questo, l’atteggiamento dell’esecutivo francese è ancora in tono sommesso e non permette di combattere seriamente questo pericolo: nel luglio 2017, Emmanuel Macron ha lanciato alla presenza di Benyamin Netanyahu l’amalgama gravissimo di antisemitismo e antisionismo. Non l’ha più rifatto, ma non è tornato pubblicamente sulle sue dichiarazioni. Più recentemente, il CRIF ha ufficialmente chiesto al governo francese di legiferare contro il boicottaggio e adottare la definizione di antisemitismo dell’IHRA. Il governo non ha dato seguito, ma non ha ufficialmente rilasciato annuncio formale del suo rifiuto. È tempo di dire chiaramente che la Francia non accetta che lo Stato di Israele intervenga nei suoi affari interni.

DOMINIQUE VIDAL
Giornalista e storico, autore di Antisionisme = antisémitisme ? (Libertalia, febbraio 2018)

BERTRAND HEILBRONN Presidente dell’Association France-Palestine Solidarité (AFPS).

(Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org


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