venerdì 8 febbraio 2019

Il dovere di prendere posizione - Alessandro Ghebreigziabiher



Prendete posizione, dicono.
Anzi, no, esigono.
Perché è un dovere, farlo, altrimenti si è complici.
Anche a distanza.
Soprattutto a quanto mai interessata distanza.
Dice, ma non vedi gli altri?
Stati Uniti per primi, già, sempre per primi, qualora occorra, è ovvio, ma anche la Germania, il Regno Unito la Spagna e la Francia hanno chiarito pubblicamente da che parte stanno.
Orsù, quindi, prendete posizione tra il truce dittatore Nicolás Maduro e la nascente stella democraticamente eletta, ovvero, Juan Guaidó.

È il mondo a chiederlo, perché le sorti di quest’ultimo dipendono da chi sta con chi.
È urgente rispondere in merito alla questione venezuelana, non si può eludere l’invito.
D’altra parte, vi avranno di sicuro domandato di fare altrettanto con la Turchia di Erdogan, il cui regime calpesta quotidianamente i diritti umani dei suoi cittadini.
Prendete posizione, vi avranno di sicuro consigliato, prendete posizione sulla Corea del Nord e il suo dittatore Kim Jong-un, il cui trattamento degli eventuali oppositori assume contorni a dir poco inquietanti.
Naturalmente, vista la vicinanza geografica, avrete già preso distanze inversamente proporzionali dall’attuale governo in Polonia del partito di Andrzej Duda, accusato tra le altre cose di promulgare leggi illiberali e pericolose dal punto di vista giudiziario. Prendete posizione, cribbio, come avrete già fatto in relazione all’operato di Viktor Orban, che ha praticamente trasformato il governo d’Ungheria in una struttura autocrate che controlla tutto il sistema affaristico.
Inutile dire che, ancora prima della diatriba tra Maduro e Guaidó, vi avranno chiesto di esprimervi su Aleksandr Lukašenko, che del tutto indisturbato è a capo dalla Bielorussia da venticinque anni…
Lo so, è scontato.
Vi sarete già schierati intorno alla leadership tutt’altro che democratica di Putin in Russia, e quella di Ramzan Kadyrov, in Ceceniaimplicato in casi di tortura e omicidio.
Quante volte vi avranno già detto di prendere posizione su Gurbanguly Berdimuhamedow, ennesimo dittatore del Turkmenistan e Nursultan Nazarbaev, il cosiddetto “leader della nazione” del Kazakistan.
Non mi sorprendo certo al pensiero di vedervi indignati di fronte alla deriva autoritaria di Emomali Rahmon, in Tagikistan, e la mancanza di libertà di stampa nell’Azerbaigian di Ilham Aliyev.
Prendete posizione è un monito che giungerà incessante a piè sospinto alle vostre sensibili orecchie, sulle elezioni farsa di Hun Sen, in Cambogia come sulla dittatura di Prayut Chan-o-cha, che dal 2014 governa la Thailandia grazie a un colpo di stato.
Immagino, anzi, do per certo che avrete sottoscritto centinaia di petizioni critiche del governo di Hassanal Bolkiah, il sultano del Brunei che regna su quest’ultimo come se fosse roba sua, e mostrato il vostro sentito dissenso nei confronti del sanguinario presidente delle Filippine Rodrigo Duterte.
Chi è che non ha espresso ferma condanna di quel Teodoro Obiang, il quale ha iniziato il suo regime dittatoriale nella Guinea Equatoriale nell’agosto del 1979, ovvero 40 anni fa?
Ecco perché prendere posizione sul Venezuela è un obbligo impellente, morale quanto politico.
Mica c’entra il petrolio, dai, su, siamo seri.
Cioè, c’entra eccome, c’entra sempre, ma la popolazione sta soffrendo questo stato di cose, giusto?
E quando le popolazioni del mondo soffrono questo stato di cose, i paesi e i cittadini responsabili.
Prendono posizione.
Sempre…

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