lunedì 4 febbraio 2019

IL LIMITE E IL CONFINE (confini di stato e limiti della decenza) - Gian Luigi Deiana




i due termini, limite e confine, funzionano praticamente da sinonimi nel cinquanta per cento dei casi; nell’altro cinquanta per cento invece no, e anche se non ci si fa caso la distinzione è importante: infatti il concetto di confine predomina nel riferimento spaziale, inteso in particolare come confine di proprietà, confine di territorio, confine di stato: cioè il confine di ciò che è mio e che non è tuo, come per esempio il confine tra l’italia e la francia; il concetto di limite predomina invece nella sfera morale, inteso in particolare come limite della condotta, limite della legge, limite dell’etica: cioè il limite che mi è dettato da un imperativo umano di auspicata universalità, come per esempio il limite sull’esercizio della violenza, sulla guerra, sulla pena ecc.
se stiamo a questa primaria e indispensabile distinzione, dovremmo poter ragionare su cosa viene prima, se l’osservanza dei confini o l’osservanza dei limiti; tutte le questioni concernenti la priorità dei diritti umani fondamentali e la salvaguardia dei confini proprietari o territoriali, se solo ci si dispone a ragionare con la necessaria attenzione, si riducono a questo;
è di assoluta evidenza che i diritti di natura vengono prima dei diritti di storia: i primi qualificano gli esseri umani come uguali, i secondi li posizionano come differenti; la contraddizione diventa profonda quando contrappone il diritto individuale a muoversi e il diritto statuale a impedirlo: non è un caso che la questione migratoria, da sempre, abbia rappresentato la massima e ricorrente espressione di questa contraddizione, e che la chiusura statuale dei confini abbia costantemente sopraffatto l’imperativo morale all’apertura; peggio, chi capita nella rete non viene semplicemente rigettato in mare, viene piuttosto esibito come ostaggio in modo che altri in attesa di là non seguano la sua via, e che in forza dello spettacolo si levi di qua la rabbia della folla;
è in questo modo che il vanto del confine di stato (un simulacro che spesso rende prigioniero chi vi è dentro prima che chi viene da fuori) finisce inevitabilmente per gettare la consapevolezza morale al di fuori del limite riconosciuto, nelle terre ignote del delitto senza giudice;
è vero che anche il diritto migratorio deve osservare dei vincoli, come quando si è al semaforo o si va in ascensore: ma questa è una questione di misura dimensionata al problema, e purtroppo proprio qui si finisce per affondare: in quanto la parte avvantaggiata nella differenza tra soggetti umani rifugge dal compito di pensare e sperimentare misure dimensionate al problema, e ne rifugge in quanto l’adozione di misure reali disturberebbe le dinamiche costituite e blindate che danno luogo alla differenza stessa; la retorica medesima della “accoglienza” nasconde questa implicita condizione: la mano che accoglie sta sopra e quella che riceve sta sotto;
lo scudo conclamato e comunque sempre sbeffeggiato del diritto umanitario si riferisce oggi in europa alla convenzione dei diritti umani, datata al 1951 e partorita dalla morte di settanta milioni di persone nella seconda guerra mondiale, e all’accordo di dublino, datato al 1990 e avente come oggetto i rifugiati e gli apolidi intesi come casi individuali; da allora niente di nuovo sul fronte occidentale; ma nè la convenzione del 1951 nè l’accordo del 1990 potevano minimamente prevedere la dimensione di massa che i processi migratori avrebbero assunto con la cosiddetta globalizzazione; e dunque lo scudo della tutela umanitaria si rivela di fatto l’arma totale levata proprio contro chi si azzarda a migrare e nel suo “espatrio” dovrebbe essere tutelato;
viene quasi da ridere se si pensa che i differenti che stanno sopra alimentano la loro crescita con l’acquisto di certificati verdi dei differenti che stanno sotto: i certificati verdi sono quelle misure che fissano i limiti di emissione di anidride carbonica e quindi i limiti del consumo di energia e della produzione industriale: “limiti”, appunto, non confini perché l’avvelenamento dell’atmosfera non riconosce le frontiere a terra; e così tutti i paesi dell’opulenta e tronfia unione europea non solo vomitano in cielo gli ingredienti della catastrofe climatica ormai prossima a venire, ma comprano dai paesi poveri del continente africano proprio le dosi di consumo energetico necessarie a questi paesi per avviare la propria industria e per aiutarsi realmente a casa loro; è così che la tossicomania della “crescita” raccatta quotidianamente dai poveri la propria overdose fondamentale;
e allora, se davvero vogliamo giocare al traffico di esseri umani, perché non stabilire una misura di scambio tra diritto alla migrazione e mercato dei certificati verdi? cosa c’è davvero di più pericoloso e più sporco? oppure, se proprio vogliamo giocare a definire “limiti” alla propensione al movimento connaturata alla vita umana, non sarebbe il caso di cominciare a frenare proprio l’accelerazione esponenziale della mobilità veicolare, automobilistica, aerea e navale, che viene prodotta nei paesi ricchi, esportata monopolisticamente anche in quelli poveri ma che sta soffocando tutti? ma questo è solo un esempio del rifiuto di comprendere che la ruota gira e che sta girando in fretta: di fatto si può già prevedere che città grandi e piccole muteranno con il crescere del livello dei mari, e che nuove vie migratorie finiranno per muovere i nostri figli;
e dunque, se la dimensione è questa, allora salvini? salvini, come orban o come altri governi nell’est, entra in scena quando il liberale padrone di casa è andato a lavarsene le mani: dopo le convivialità arrivano sempre i cani arrabbiati, e gli sciacalli: gli uni per la frustrazione, gli altri per il potere

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