giovedì 14 febbraio 2019

PALESTINA, MINORENNI UCCISI IN NOME DEL PROFETA GEREMIA – Patrizia Cecconi



Un bambino e un adolescente, Hassan Shalabi e Hamza Eshtewi, di 14 e 17 anni, hanno finito ieri la loro vita al border illegale di Gaza nel 46° venerdì della “Grande marcia del ritorno.”
Uccisi perché chiedevano il rispetto del Diritto internazionale, il rispetto di Quelle Risoluzioni ONU che Israele si ostina a calpestare screditando giorno dopo giorno la stessa Organizzazione delle Nazioni Unite.
Uccisi perché Israele irride da sempre l’ONU.
Lo disse pubblicamente alcuni anni fa Gershon Mesika, il Presidente del Consiglio Regionale di “Giudea e Samaria”, cioè della Cisgiordania ostinatamente negata, anche nel nome, alla Palestina. Nessuno si scandalizzò. L’ONU non rispose.
Gershon Mesika venne in Italia invitato dall’eurodeputato leghista Fiorello Provera – allora vice presidente del Parlamento europeo e fiero sostenitore dei coloni – e dichiarò che Israele “e tutti gli ebrei” dovevano rispettare le indicazioni del profeta Geremia e non certo la legge dei “gentili”, cioè della gente “non ebrea” comprese le istituzioni sovranazionali.
Il suo discorso pubblico risale al luglio del 2012 e non scandalizzò né il Parlamento europeo né quello italiano, né i sindaci e gli assessori con cui era venuto a stringere accordi per scambi commerciali, anzi venne accolto con tutti gli onori! Sì, perché per Israele si può sempre fare un’eccezione e quindi un suo rappresentante (sebbene fuorilegge in quanto colono) può dichiarare quello che per altri sarebbe un insulto al
Diritto, senza subire riprovazioni né sanzioni. Il pesante velo dell’orrendo olocausto copre tutto. E i risultati di questa acquiescente tolleranza sono sempre più drammatici.
Questi sanguinosi venerdì nella Striscia di Gaza lo riconfermano: i palestinesi vengono feriti e uccisi impunemente mentre chiedono il rispetto delle Risoluzioni ONU, perché l’ONU non conta niente!
Vengono uccisi senza rimorsi né sanzioni perché Israele deve dar conto al profeta Geremia e non al Diritto internazionale. Israele È ed HA IL DIRITTO DI ESSERE un Paese fuorilegge.
Un Paese orrendamente macchiato di sangue palestinese, di furti e di crimini quotidiani senza che questo gli tolga il beneficio di essere definito democratico e il riconoscimento di “vittima” ogni volta che il popolo sotto occupazione tenti una risposta. Che sia pacifica o armata non fa differenza.
“Noi obbediamo al profeta Geremia” disse ripetutamente e pubblicamente il leader dei coloni, ed è vero, perché se obbedissero al Diritto internazionale i palestinesi di Gaza non sarebbero assediati e i palestinesi TUTTI potrebbero tornare alle loro terre come vorrebbe la Risoluzione 194 delle N. U.
Invece i palestinesi seguono a chiedere quello che gli sarebbe già dovuto e vengono anche feriti e uccisi prr questi.
Il piccolo Hassan Shalabi è stato freddato da un proiettile che lo ha colpito per uccidere, come il giovane Hamza Eshtewi, colpito al collo.

L’infermiere che gli stava vicino ha testimoniato, sconvolto, che il ragazzo è stato colpito a sangue freddo, probabilmente senz’altro motivo che quello di soddisfare il capriccio e l’odio di un assassino in divisa militare. Non pagherà per questo, perché il leader dei coloni aveva ragione: il Diritto umano dei “gentili” non può confliggere col dettato dei profeti biblici.
Un giorno questo fuorilegge istituzionale illuminato dalla narrazione biblica decise di uccidere, investendola deliberatamente con la sua auto, una ragazzina palestinese nei pressi del check point di Hawara, vicino Nablus. Come dice il giornalista di Haaretz Gideon Levy, per Israele il sangue palestinese è la merce più economica che ci sia e quindi una ragazzina in più, una ragazzina in meno, non sconvolge nessuno. Neanche se ne ricorda il nome!
Però Gershon Mesika un giorno fu arrestato e destituito dalla sua carica, la più importante nell’amministrazione delle colonie. La legge israeliana non perdona. Ma fu arrestato per corruzione, non facciamoci troppe illusioni. Si scoprì che aveva frodato circa 10 milioni di shekels. Non fu arrestato per l’assassinio deliberato di una piccola palestinese, il suo sangue non ha valore, i 10 milioni di shekels frodati sì.
Per questa stessa logica non ci saranno killer arrestati per aver ucciso Hamza e Hassan né gli altri circa 260 martiri della grande marcia né tutti gli altri martiri in tutta la Palestina. Anzi, probabilmente quegli assassini avranno medaglie e promozioni!
Ma arriverà il giorno in cui a questo Stato al di sopra della Legge verrà chiesto il conto, e quel giorno non basterà il velo dell’olocausto a nasconderne le responsabilità criminali.
In ogni casa palestinese c’è la foto di almeno un martire, generalmente grande come un poster e con la forza evocativa di una presenza viva. Se dopo 70 anni di crimini, con una disparità di forze impressionante
e nonostante le rivalità interne e l’indebolimento del tessuto sociale la resistenza palestinese non ha ceduto, Israele dovrebbe riuscire finalmente a capire che quel sangue “di così poco valore” che bagna continuamente la terra di Palestina non spegne le rivendicazioni di libertà e giustizia, ma anzi le alimenta.
Mentre scriviamo, da questa parte del Mediterraneo, dall’altra parte, nelle case di Hamza e Hassan mentre si preparano i funerali dei due ragazzi, sono già pronti i poster che li ritraggono vivi e li ricorderanno per sempre martiri, perché i palestinesi che lottano per la libertà hanno ben chiara la differenza tra vittima e martire e i martiri sono una sconfitta per Israele, anche se lo capirà solo quando sarà costretto a rispettare la legalità internazionale e non le profezie di Geremia.


Nessun commento:

Posta un commento