Le università controllate, la distruzione del welfare per finanziare politiche securitarie e sgravi ai ricchi, il sostegno a Israele nel massacro in Palestina
Quasi 700
giorni di genocidio a Gaza e lo strazio continua. Solo un paio di settimane fa,
con un largo voto bipartisan, il Senato americano ha ancora una volta affossato
il tentativo di fermare la vendita di bombe e fucili a Israele per un valore di
675 milioni di dollari. Una cifra ridicola, simbolica rispetto a quanto
annualmente gli Stati Uniti spendono per rifornire di armi quel Paese, che
testimonia la complicità della classe politica statunitense con il massacro in
corso. Intanto le università statunitensi si preparano a riaprire in un clima
culturale che sembra aver ormai superato per intensità repressiva persino
quello del maccartismo: molte oggi appaiono come ghetti militarizzati,
con check point elettronici e sorveglianza costante sui
docenti.
Rashid
Khalidi, professore
emerito alla Columbia e titolare della cattedra Edward Said, ha recentemente
rinunciato al suo insegnamento. In una lettera aperta al presidente
dell’università, ha denunciato l’impossibilità di insegnare liberamente la
storia del Medio Oriente dopo che l’ateneo ha firmato un accordo con
l’amministrazione Trump, adottando la definizione IHRA di antisemitismo:
volutamente ambigua, confonde critica politica e odio razziale. Non è un caso
isolato. Columbia è il baricentro simbolico delle Ivy League: università
d’élite che oggi si rivelano per ciò che sono sempre state, istituzioni
governate come corporation, dove gli studenti si indebitano per
essere indottrinati dal sapere dominante. Trump non fa altro che mostrare
questa realtà nella sua forma più cruda. Antonio Gramsci l’aveva già compreso:
l’università è parte integrante dell’apparato del potere statale, essenziale
nella costruzione del consenso per un ordine socio-economico fondamentalmente
antidemocratico. Se un tempo la maschera era quella del pluralismo, oggi il
volto è apertamente autoritario.
Abbiamo
quindi un compito urgente: squarciare il velo dell’ideologia liberale, analizzando
con lucidità le radici economiche di questo mondo capovolto, dove il valore
d’uso della vita è subordinato al valore monetario. Non vi è metafora più
potente: bambini scheletro, amputati, trucidati… e il titolo in borsa di
Leonardo S.p.A. che schizza a +274% da ottobre 2023. L’intera economia globale
è coinvolta. Nel suo rapporto all’Onu del luglio 2025, Francesca Albanese
denuncia una fitta rete di facilitatori che alimentano l’industria bellica:
studi legali, società di consulenza, trafficanti d’armi, agenti, broker. Una
rete tentacolare che trasforma la distruzione della vita palestinese in
dividendi record per giganti come Alphabet, Amazon, Microsoft, Vanguard,
BlackRock e le grandi multinazionali del petrolio e delle materie prime.
Il caso
palestinese non è un’eccezione, è una chiave di lettura. È la metafora della
nostra economia: un sistema che può sopravvivere solo attraverso austerità e
militarismo. La spesa sociale è una minaccia per l’ordine di classe: dare
risorse ai cittadini significa ridurre la dipendenza dal mercato e aprire
varchi per costruire alternative economiche. La spesa militare, invece, non
apre conflitti redistributivi, non politicizza l’economia e serve anche a
risolvere un problema cronico: la sovrapproduzione. Le aziende producono più
beni di quanti i salariati possano acquistare, ma la domanda statale per armi e
controllo sociale garantisce nuovi mercati, nuovi investimenti, nuova
“crescita”.
Lo conferma
l’ultima manovra firmata Trump: il “One Big Beautiful Bill”, approvato
il 4 luglio, rappresenta l’aritmetica perfetta dell’austerità. Quasi 200
miliardi di dollari tagliati all’assistenza alimentare – che lasceranno due
milioni di statunitensi senza cibo – serviranno a finanziare centri di
detenzione, sorveglianza di frontiera e tecnologia bellica. Oltre 1.000
miliardi verranno tagliati da Medicaid, causando la perdita di copertura
sanitaria per 16 milioni di persone, ma chi guadagna più di mezzo milione
l’anno riceverà sgravi fiscali per 168 miliardi. E invece di ridurre il debito,
la legge lo aumenterà di oltre 3.000 miliardi in 10 anni. Altro che prudenza
economica! L’austerità è un meccanismo di controllo, pensato per piegare le
aspirazioni collettive e garantire l’obbedienza sociale. Povertà,
disoccupazione e disuguaglianza non sono “effetti collaterali”: sono strumenti
con cui il sistema si preserva. Basti pensare che oggi, negli Usa, il Paese più
ricco del mondo, il 44% dei lavoratori americani a tempo pieno non guadagna
abbastanza per soddisfare i propri bisogni fondamentali e oltre la metà della
popolazione vive senza sicurezza economica. L’ordine del capitale non potrebbe
reggersi senza il duetto inscindibile tra militarismo e austerità. Trump, con
la sua brutalità, ci fa un favore: ci costringe a vedere ciò che la retorica
liberale ha sempre nascosto. Tocca a noi ora decidere cosa fare di questa
consapevolezza.
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