Nei racconti della Silicon Valley scritti da sé medesima, tutti disponibili in rete o in libreria, si legge di un capitalismo eccezionale, guidato da uomini fuori dal comune. E di un ambiente di lavoro magnifico, dove l’alienazione è pregata di accomodarsi fuori della porta. Ma i volti sempre sorridenti, gli spazi condivisi e gli edifici a emissione zero nascondono due zone d’ombra. La prima è l’estrattivismo nei confronti di persone e territori. Nel 2023 in Kenya, per fare solo uno dei tanti esempi possibili, OpenAI fa ripulire i suoi modelli d’intelligenza artificiale a migliaia di “schiavi del clic”, impiegati in turni massacranti a meno di due dollari l’ora. L’estrazione forzosa di risorse opera anche sull’ambiente. Mentre enormi quantità d’acqua ed energia vengono consumate nei centri di calcolo necessari all’intelligenza artificiale, le cryptomonete, oggetto dell’amore maniacale dei tecno-capitalisti, bruciano nel solo 2023 tanta energia quanto l’intera Australia nello stesso periodo di tempo. La seconda zona oscura è la composizione demografica della dirigenza. Le donne rappresentano il 50,9% della popolazione totale degli Stati Uniti, gli ispanici il 19,5% e gli afroamericani il 13%. Nella Silicon Valley i tre gruppi occupano, rispettivamente, l’8,8%, l’1,6% e meno dell’1% di tutte le posizioni direttive.
La Silicon
Valley non è solo un posto dove persone, tecnologia e ricchezza sono
straordinarie. È anche il luogo dove questa eccezionalità viene trasformata in
buona novella. Peter
Thiel, fondatore di PayPal e Palantir, è il tecno-capitalista più impegnato nel
diffondere il Vangelo che sale dalla valle. Lo fa con esemplare chiarezza in un
saggio del 2009, The Education of a Libertarian, in cui rivendica
per sé, in quanto capitalista, una libertà assoluta. Essere liberi è la
precondizione per raggiungere obiettivi più alti: sfuggire agli apparati
fiscali, sconfiggere il collettivismo, battere l’ideologia dell’inevitabilità
della morte. Ma Thiel aggiunge: “Non credo più che la libertà e la
democrazia siano compatibili”. Non sopporta, in altri termini, che in
democrazia esistano regole valide per tutti, poveri cristi o ricchi a palate
che siano.
L’ideologia
della libertà assoluta del capitalista si accorda alla perfezione con il
secondo punto dell’ideologia di Thiel, il capitalismo come sistema che non
conosce limiti. Il
nemico numero uno del capitale senza confini è l’ambientalismo, più
pericoloso perfino della Sharia e del comunismo. Il simbolo di un possibile
futuro autoritario diventa così Greta Thunberg, secondo Thiel l’Anticristo del
nostro tempo. È l’idea stessa di bene comune, su cui si basa
l’ambientalismo, a farne il primo nemico del capitalismo. Quest’ultimo non può
tollerare l’esistenza di ricchezze che non appartengono agli individui ma alle
comunità che vivono sui territori. Nel caso dell’aria che respiriamo e
dell’acqua dei mari e dei fiumi, è la collettività di tutte e tutti noi
abitanti della Terra ad esserne proprietaria. Nel suo odio per l’ambientalismo,
Thiel si muove nel solco di Ayn Rand (1905-1982), teorica del capitalismo
assoluto: il legame sociale è schiavitù perché l’unico rapporto possibile fra
l’individuo e il mondo è la proprietà. Ma se possono esistere solo proprietari
isolati, il principio dell’ambiente come casa comune, che nessun privato ha il
diritto di possedere, non può che innervosire gli ideologi della libertà totale
del capitalismo.
Nel contesto
appena delineato, la Silicon Valley fa propria l’auto-rappresentazione
dei capitalisti come la migliore classe dirigente possibile, perché frutto di
una selezione naturale. È un’idea con una tradizione lunga oltre un
secolo. Andrew Carnegie, il più importante industriale dell’acciaio negli Stati
Uniti di fine Ottocento, la spiega così: “Anche se la legge [della
competizione] può a volte risultare dura per l’individuo, rappresenta la cosa
migliore per la razza perché assicura la sopravvivenza dei migliori in ogni
settore”. I dirigenti prodotti dal capitalismo sono i più capaci perché escono
vincenti dalla corsa al possesso di beni e denaro: il migliore non è
Van Gogh, ma il mercante che riesce a venderne i quadri. In quanto
superiori a tutti nell’accumulare ricchezza, i capitalisti non ne sbagliano
una. A sentire Alex Karp, amministratore delegato di Palantir, “Se qualcuno fa
un sacco di soldi con qualcosa, allora deve aver ragione”.
Posizioni
come quelle appena descritte spiegano il sostegno a Donald Trump da parte di
Silicon Valley in occasione
delle elezioni presidenziali dello scorso novembre. Il passaggio al trumpismo
dei tecno-capitalisti consente la pratica del capitalismo alla Thiel, libero da
qualsiasi limite. Se la crescita del capitale oggi si scontra col riscaldamento
del pianeta, Silicon Valley non può che riconoscersi con entusiasmo nel
negazionismo climatico della presente amministrazione repubblicana. In secondo
luogo, schierandosi con Trump, Silicon Valley salda il suo elitismo, fondato
sul dominio della tecnologia, con quello basato sul genere e/o il colore della
pelle, con il sessismo e il razzismo, in perfetta coerenza con la composizione
demografica della sua dirigenza. Il tecno-capitalismo si arruola così nel
conflitto del secolo, la guerra del Nord contro il Sud, combattuta nelle
banlieux parigine come nei campi di concentramento per immigrati, nei quartieri
ispanici delle metropoli statunitensi come nelle strade di Gaza.
Un’oligarchia
di ultraricchi cafoni, quella che noleggia Venezia per un matrimonio, pretende
di dominare il mondo. Ma non può agire da classe dirigente perché è incapace di
affrontare i problemi della collettività. Salta allora sul carro del fascismo.
Starà alla
nostra Resistenza impedire che il presente stato delle cose si cristallizzi in
un mondo neofeudale, con un’aristocrazia di tecno-miliardari esenti dal fisco
al comando, un clero di informatici a gestire il sapere e una massa di servi a
tenere in piedi la baracca.
Nessun commento:
Posta un commento