Se vogliamo avere contezza delle contraddizioni delle oligarchie illiberali bisogna concentrarsi sul pensiero progressista e stanare l’ipocrisia che lo domina. Sono colpita da come i media più ascoltati riescano a continuare a sabotare i deboli tentativi di mediazione che Mosca e Washington potrebbero raggiungere sull’Ucraina e presentarsi, insieme alle classi dirigenti europee, come i detentori di una morale basata su Rule of Law e diritti umani. Era chiaro ai più che la difesa di questa narrativa non era conciliabile con il sostegno al genocidio in corso a opera di Netanyahu.
Questo
spiega come mai su alcuni giornali del mainstream la denuncia dei crimini di
guerra in Cisgiordania, del genocidio di Gaza e del regime fascista di
Netanyahu, Smotrich e Ben Gvir sia ormai comune. Articoli che ci consolano e
che potrebbero uscire dalla nostra penna. La denuncia del terrorismo di Stato
di Israele non è tuttavia accompagnata dalla proposizione realistica di
politiche di concreto isolamento del Paese. L’unica possibilità di frenare la
hybris israeliana sarebbe costituita dalla fine della cooperazione
politico-militare, economica ed energetica con Israele da parte dei Paesi
europei. Sanzioni dure, diciotto pacchetti di sanzioni alla stregua di quelle
applicate alla Russia, dovrebbero essere fortemente sostenute. Ursula von der
Leyen e Kallas potrebbero essere assediate e costrette ad affermare che l’UE ha
raggiunto una decisione comune dalla quale si astengono l’Ungheria, l’Italia e
pochi altri. Non avviene, purtroppo.
Messi alle
strette, i Macron, Starmer e Scholz, per citare i più influenti, che fingono di
disapprovare il genocidio, l’apartheid e l’invasione di Gaza, non oserebbero
prendere alcuna misura concreta che penalizzi Israele. Si tratta della stessa
posizione di tanta parte della diaspora ebraica che si mette la coscienza a
posto con la critica al genocidio di Netanyahu, considerato un incidente di
percorso di una storia di Israele mai esaminata nelle sue premesse, che hanno
determinato i crimini odierni.
Si comprende
allora come Trump, Meloni, Orbán e la destra radicale che sta crescendo in
Europa non siano poi così differenti dal partito trasversale DEM al potere. È
vero che la forma ha una sua rilevanza politica. Tra Hitler e i ceti
capitalistici che si esprimevano nei liberali tedeschi, e che hanno permesso
l’ascesa del dittatore al potere, esisteva una differenza. Churchill non era
Hitler, sebbene durante i primi incontri sia stato favorevolmente colpito dalla
personalità del razzista psicopatico. Rimane importante comprendere che la
Meloni oggi è al potere perché abbiamo sperimentato la politica del pensiero
unico DEM, la cui migliore manifestazione si è avuta in Draghi. E in effetti la
destra radicale è oggi sdoganata e benedetta.
Il nostro
Presidente della Repubblica, emblema del pensiero liberale e democristiano,
progressista, filo-atlantico e subordinato alla lobby dei DEM, convive con la
Meloni, sostiene la guerra in Ucraina e, molto cautamente, ha iniziato a
pronunciare qualche parola di condanna contro la violenza esercitata contro i
Palestinesi, i nuovi paria, i nuovi ebrei. Per stanare i farisei di regime, le
opposizioni dovrebbero, con una mobilitazione costante in Parlamento e nella
società civile, pretendere dai governi europei sanzioni durissime e
l’isolamento dello Stato canaglia. Disperdersi in mille iniziative, rilevanti
in quanto prova dell’indignazione civile ma prive di effetto, non giova alla
nostra causa.
Ho letto con
molto interesse gli articoli di Migone e D’Orsi, di cui ammiro da tempo il
pensiero e la passione civile. Dubito tuttavia che riusciremo a resuscitare i
caschi blu dell’ONU, che dovrebbero cimentarsi in un confronto militare con
Israele coperto e difeso dagli USA. Cina, Russia e Paesi arabi non potrebbero
sostenere un’azione in grado di provocare un’escalation verso la terza guerra
mondiale. La sola azione unitaria che rimane è una guerra economica a Israele.
Cerchiamo di svelare l’ipocrisia dei DEM al potere per mostrare all’opinione
pubblica moderata e manipolata che essi non sono diversi da Trump o dalla
destra radicale che si fa i selfie con Netanyahu. Si potrà in questo modo
ricostruire il filo di una politica europea che ha tradito i suoi principi ed è
divenuta, come volevano i suoi artefici da Draghi a Gentiloni, da Macron a
Starmer, il braccio operativo della NATO per le guerre imperiali in Ucraina
come in MO.
Nel discorso
surrealistico di Rimini, Draghi ha criticato l’UE che si arrende a Trump,
accettando i dazi e il diktat su energia e investimenti. Ha finto di non sapere
che l’UE mercato e burocrazia sottomessa alle lobby degli affari è stata
costruita da lui, da Monti, da Prodi, da Gentiloni e dai loro colleghi europei.
Almeno i nordici e i britannici non piangono lacrime di coccodrillo. Loro sanno
bene che l’UE odierna è una cinghia di trasmissione degli interessi di
BlackRock. L’osmosi è evidente. Il cancelliere Scholz, come è noto, lavorava
per Larry Fink. Le politiche neoliberiste e di austerità, volute fortemente da
Draghi, sono state alla base della dipendenza dell’Europa dal capitalismo
finanziario USA, dell’affossamento dell’euro, di una relazione
debitori-creditori che è stata a vantaggio dei creditori. I debitori, chiamati
gentilmente PIIGS, hanno ceduto sovranità economica senza ottenere solidarietà
e meccanismi di compensazione.
L’accettazione
del sistema creato a Maastricht e dei fiscal compact ha portato a un drenaggio
di risorse dai più poveri Stati meridionali ai più ricchi del Nord. Il
“quantitative easing”, le iniezioni di liquidità promosse da Draghi a
imitazione di quanto andava facendo la FED a Washington, e le politiche di
austerità hanno contribuito alla crescita dei profitti bancari e finanziari a
spese delle classi lavoratrici europee. Chiedere oggi un mercato di capitali
europei, debito comune, unione bancaria e fiscalità comune da parte di Draghi è
un paradosso tragicomico.
L’UE che
questa classe dirigente ha voluto è stata un’organizzazione burocratica,
dominata economicamente dai tedeschi e colonia geopolitica degli USA.
L’allineamento alle guerre dei neoconservatori USA in Ucraina e Medio Oriente
ha tolto all’UE quel residuo di dignità che le era rimasto. Il tradimento degli
interessi del popolo europeo è eclatante. Draghi ha inoltre difeso a Rimini
l’integrazione UE, fingendo di non sapere che essa, senza legittimità
democratica, rafforzerebbe la burocrazia al servizio dell’imperialismo USA.
L’UE
federale non può essere costruita con piccoli emendamenti. Non è il voto a
maggioranza che renderà l’UE capace di una politica estera autonoma e di perseguire
gli interessi geopolitici ed economici delle classi lavoratrici europee. Il
popolo europeo esiste se viene individuato un interesse comune basato sul
compromesso geopolitico ed economico tra Nord e Sud dell’Europa. L’interesse
comune esiste se ci limitiamo all’Europa continentale del nocciolo duro, non a
quella dei 27 Stati, di cui una buona parte vuole soltanto partecipare ai
benefici economici e obbedire agli interessi di Washington.
L’Europa
federale, unione politica democratica, si può perseguire soltanto con una
rivoluzione dell’impianto istituzionale e una revisione importante dei
Trattati. Il progetto di Draghi e di Gentiloni è tuttavia differente: essi
perseguono una UE burocratica e asservita agli interessi non di Trump ma dello
stato profondo USA, del partito trasversale DEM di cui la loro carriera
politica è debitrice. Bisogna vincere le resistenze nazionali e statali, la
maggioranza deve schiacciare la minoranza per rafforzare il potere di
un’organizzazione senza anima che ha tradito gli ideali di pace e prosperità,
il sogno federale e di una politica estera basata sull’autonomia strategica da
Washington, lo Stato sociale, un modello di società opposto a quello
neoliberista statunitense. Lo stato profondo USA si sposta a Bruxelles. L’Occidente
non si è spezzato: rantola e sopravvive nel contrasto ai parvenu alla Trump,
generati da un sistema fallito.
Ripetita
iuvant e con
riluttanza ritorno sulla possibile pace in Ucraina. Premetto che la difesa
delle ragioni geopolitiche della Russia mi porta soltanto svantaggi, ad esempio
l’ostracismo dell’establishment, la mancanza di incarichi cosmetici e danarosi
che tanti ex ambasciatori ottengono, soprattutto la mancanza di recensioni sui
giornali più letti e nei media più ascoltati dei miei sette libri di narrativa.
Sono l’unica donna in Italia, ex ambasciatrice, che scrive romanzi e racconti.
Soltanto per questo dovrei forse ricevere un minimo di attenzione, di critica
anche soltanto negativa. Premessa necessaria per rispondere ai filoatlantici,
che dalle loro esternazioni a favore della narrativa NATO traggono benefici e
prebende. Con una protervia unica gli stessi accusano i dissenzienti di
filoputinismo, come se noi avessimo dei tornaconti personali, come loro,
nell’ascoltare la nostra coscienza e nell’analizzare le dinamiche
internazionali con onestà intellettuale.
La Russia
non ha chiesto il vertice in Alaska ma lo ha concesso. Il Paese avanza sul
campo militare e il tempo gioca a suo favore. Avanza lentamente per non
sprecare le vite dei russi e per non commettere crimini di guerra contro una
popolazione affratellata come quella ucraina. Potrebbe radere al suolo le città
come noi abbiamo fatto con Dresda, oppure più recentemente con Baghdad. Invito
coloro che si deliziano nel chiamare Putin il mostro, il macellaio, a spiegarmi
il contrario. Contiamo le vittime civili di questo conflitto e paragoniamo il
numero con altri conflitti durati tre anni. Cerchiamo di essere onesti.
Soprattutto, vergognamoci di paragonare la Russia a Israele.
Mosca non ha
cambiato la sua posizione. Vuole una pace durevole in Europa che annulli le
cause del conflitto. La neutralità ucraina deve tornare in costituzione, il
Paese deve essere smilitarizzato oppure contare su un esercito nazionale
ridimensionato, non su una piattaforma occidentale, anglosassone per l’attacco
alla Russia.
I territori
occupati, soprattutto quelli già annessi del Donbass, le cui popolazioni
russofone, bombardate dal governo centrale ucraino con la complicità
occidentale durante la guerra civile durata otto anni, hanno da tempo espresso
il desiderio di fare parte della Russia. Dopo tre anni di guerra Mosca, che per
tasso demografico decrescente, estensione della sua superficie e materie prime
non è interessata alla conquista di nuovi territori, non potrà che fare minime
concessioni. La maggiore è fermarsi. No Ucraina nella NATO significa no NATO in
Ucraina. La Russia considera la NATO ai suoi confini una minaccia esistenziale.
Le garanzie di sicurezza NATO all’Ucraina permetterebbero a Kiev di ritornare
con mille provocazioni al conflitto, trascinando i Paesi NATO o alcuni di essi.
Le garanzie possono essere soltanto quelle dei Paesi europei e BRICS, come
comprenderebbe anche un bambino, in nome dell’equità e di una pace duratura.
Altre concessioni vi potrebbero essere in un negoziato aperto con un Occidente
che ha cambiato postura, elimina le sanzioni e torna ai principi di Helsinki,
difesi recentemente dal Papa.
Gli europei
e il loro fantoccio, Zelenski, chiedono invece il cessate il fuoco che
consentirebbe all’Ucraina di meglio armarsi e riprendere la guerra. Impongono
condizioni alla potenza che vince sul campo militare, cosa mai vista nella
storia, e accentuano una postura bellicista, continuando a utilizzare Kiev per
erodere il potere russo, in accordo al piano ben illustrato da Brzezinski nella
Grande scacchiera pubblicata nel 1997. Si permettono ancora di affermare che
l’Ucraina entrerà un giorno nella NATO. Esitano tuttavia a farla entrare in
Europa, malgrado Putin abbia affermato di non essere contrario a un percorso di
avvicinamento di Kiev all’UE.
Qualcuno ha
avuto la brillante idea di affermare che le sorti del conflitto con la Russia
possono essere mutate come è avvenuto con la Germania nazista durante la
Seconda guerra mondiale. Dimenticano che all’epoca non avevamo l’arma nucleare,
un piccolo dettaglio che strateghi e politici occidentali continuano a
cancellare. La Russia in caso di sconfitta, essendo la NATO molto più potente
politicamente, economicamente e militarmente, ricorrerebbe all’arma nucleare in
propria difesa, come è chiaramente sancito nella dottrina militare russa. A
prescindere dal nucleare, Mosca può essere sconfitta da un’entrata in guerra,
con gli stivali sul campo, di americani ed europei per contrastare un milione e
trecentomila unità russe. Proporrei che i figli dei leader guerrafondai diano
l’esempio e comincino da ora a combattere per Kiev.
Vaneggiano.
Non so se ne sono consapevoli. In effetti per ora obbediscono agli ordini.
Bisogna continuare il conflitto fino all’ultimo ucraino a beneficio della
finanza e delle lobby delle armi. Naturalmente non lo confessano la sera
guardandosi nello specchio. Non ascoltano il grillo parlante come Pinocchio, si
sono ormai immedesimati nei loro alibi, nella favola di Parsi: la difesa di una
democrazia aggredita contro un mostro, un autocrate senza scrupoli.
In Medio
Oriente il progetto del Grande Israele continua. La tappa più recente è
costituita dall’invasione di Gaza. Il governo neonazista di Netanyahu realizza
in modo coerente la cancellazione di un popolo, massacrato, torturato,
affamato. Bambini mutilati, denutriti, senza soccorsi sono ritratti da
giornalisti e civili palestinesi. Al netto della retorica, dei piagnistei e dei
finti riconoscimenti della Palestina, l’Occidente è complice del genocidio.
Soltanto la fine di ogni cooperazione politica, economica e militare,
accompagnata da sanzioni economiche durissime, potrebbe temperare la violenza
di uno Stato canaglia come Israele. Tel Aviv attacca i vicini contro ogni norma
internazionale. Gli Houthi sono, come gli Hezbollah, gli unici che sulla
propria pelle si ribellano all’azione nazista di Israele, incarnando un’eroica
resistenza. Sono puniti da una potenza militare, nucleare e tecnologica senza
uguali nella regione.
Il governo
della destra messianica israeliana ha bisogno delle guerre per restare in piedi.
Le campagne contro la Siria, il Libano, l’Iran si alternano a quelle contro
Gaza. Il 7 ottobre ha reso maggiormente evidente l’illegalità internazionale,
l’ideologia nazista e razzista e la violenza militare di un Paese che,
tuttavia, in passato non ha rispettato il diritto internazionale e le
Risoluzioni, anche quelle vincolanti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ha
colonizzato terre non proprie, ha creato forme di apartheid, ha incarcerato
minori, ha praticato la tortura contro civili inermi, non solo contro i
miliziani di Hamas. In Cisgiordania il sopruso razzista e l’illegalità non sono
cessati, malgrado Hamas non esista in questo territorio vessato da decenni da
Tel Aviv.
Hamas è
un’organizzazione dedita alla lotta armata, segretamente finanziata dalla CIA e
da Israele contro al-Fatah al fine di rompere l’unità palestinese. È stata
eletta democraticamente e nel 2007 ha cercato un dialogo politico. L’Occidente
non ha mai voluto iniziare con Hamas quel processo virtuoso realizzato con
l’OLP, nata come organizzazione terrorista e che ha permesso i negoziati di
Oslo. Dal 2000 in poi la destra israeliana ha sconfessato la soluzione dei due
Stati e il progetto del Grande Israele è stato portato avanti con la complicità
dell’Occidente.
Queste
premesse hanno portato al genocidio odierno, giustificato dall’attacco subito
il 7 ottobre, un attacco feroce e terrorista anche contro la popolazione
civile. Si attende, tuttavia, un’inchiesta indipendente internazionale al fine
di verificare quanti morti siano dovuti al fuoco amico e alla direttiva
israeliana Hannibal, che permette l’uccisione da parte dell’esercito nazionale
di civili israeliani al fine di non farli divenire ostaggi. Le atrocità
attribuite dalla propaganda occidentale a Hamas, quali decapitazione di bambini
e stupri di donne, sono state smentite. Si deve ancora verificare se il
governo israeliano ha peccato di negligenza o di complicità, al fine di
permettere l’attacco del 7 ottobre, utilizzato da Netanyahu e dall’Occidente
come alibi per giustificare il genocidio del popolo palestinese.
Tutti gli
intellettuali, gli attivisti e gli esperti giuridici dell’ONU sono costretti
dalla stampa di regime a una condanna astorica e moralistica del terrorismo di
Hamas, per poter dare credibilità alla denuncia delle attività criminali di
Israele.
La verità è
che Hamas esiste perché esiste la violenza razzista e illegale di Israele
contro una popolazione indifesa. Condannare Hamas senza tenere conto della
realtà storico-politica nella quale nasce è un’operazione sottoculturale e di
regime.
Se ci fosse
stata la volontà politica israeliana e occidentale, oggi in Palestina avremmo
due Stati che convivono e hanno risolto diplomaticamente le loro controversie.
Come ho scritto in Occidente e il nemico permanente, il fallimento della
diplomazia è dovuto in gran parte all’Occidente e alle lobby di Israele. I
Paesi arabi hanno perseguito i propri interessi, utilizzando la causa
palestinese per i propri giochi geopolitici. La miopia politica di al-Fatah e
il massimalismo hanno contribuito a far morire un dialogo a vantaggio dei
Palestinesi. Il terrorismo di Hamas è una conseguenza di un quadro geopolitico,
di un processo storico e della distruzione del multilateralismo.
Repetita
iuvant, ma la
lotta è impari. Il soft power occidentale è invincibile. La maggioranza è
manipolata o impotente. L’autoritarismo avanza. L’assurdo è che l’Occidente,
artefice principale dell’illegalità internazionale e del disordine nel quale
viviamo, si presenta come il difensore della pace, della democrazia e dei
diritti umani. Orwell, uno scrittore visionario, aveva previsto la
manipolazione a opera di un potere dittatoriale e l’adesione surrealistica
della società civile. L’assurdo e il grottesco sono le dimensioni consone al
XXI secolo.
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