(il peso della coscienza)
dedicherei queste righe agli studenti
che in queste ore intraprendono un nuovo anno di scuola, ma in realtà le dedico
a me stesso, per come mi sono trovato per anni a insegnare: per cercare di
entrare, con una specie di dialogo virtuale immaginato in una classe, dentro il
terribile frangente nel quale stiamo vivendo, e stiamo morendo; non sono sorpreso
dalle varie raccomandazioni scolastiche, tese a evitare che nelle classi si
parli di palestina: evitare i carichi di coscienza è sempre una soluzione;
l’alternativa oggi presente, infatti, è la determinazione a entrare
nell’abisso;
“il carico di coscienza”
è un’espressione idiomatica sarda; è un’espressione popolare, ma è densa di
profondità filosofica; nel suo significato equivale al fondamentale concetto
hegeliano della “coscienza infelice”; la “coscienza infelice” consiste nella
consapevolezza del proprio limite, e quindi nel riconoscimento del proprio
peccato; la coscienza infelice è l’autocoscienza che non evita il proprio
abisso, e ne fa la via della propria redenzione; non sorprende che il grande
hegel alludesse, con tale immagine, proprio a gesù di nazareth: la via, la
verità, la vita, attraverso il calvario, la menzogna, e la morte;
scrollarsi di dosso il carico di
coscienza, ovvero l’inquieta autocoscienza del proprio peccato, è comunque
facile da farsi: è sufficiente rimuovere la propria colpa, e addossarne il
prezzo su di altri; in filosofia si chiama “la cattiva coscienza”; essa
comporta che “l’errore resti sempre dinanzi”, ma si rifiuta riconoscerlo come
proprio; nella teoria freudiana si chiama “rimozione”; come è noto sigmund
freud era un ebreo austriaco, e non è affatto un caso che il groviglio
concettuale della autocoscienza infelice, della rimozione della colpa e della
cattiva coscienza sia impregnato di ebraismo: si tratta di un contributo
fondamentale alla filosofia, all’umanesimo e all’universalismo, per come questo
è possibile nella condizione umana;
la prima volta che sentii l’espressione
“cattiva coscienza” avevo quattordici anni; era il 1967, a giugno, e si stava
combattendo in palestina la cosiddetta “guerra dei sei giorni”; il telegiornale
era condotto da un valente gioŕnalista ebreo, arrigo levi; naturalmente la sua
esposizione era molto filoisraeliana, ma il commento era affidato, sera per
sera, a un intellettuale cattolico straordinariamente chiaro; si chiamava
ettore masina e a me restò impressa, da allora, questa sua conclusione, resa la
sera che il telegiornale comunicava la totale vittoria israeliana: “la
palestina, oggi, è il luogo della cattiva coscienza del mondo”;
sono passati quasi sessant’anni da
allora; ne sono passati quasi ottanta dalla proclamazione dello stato di
israele; ne sono passati più di cento da quando la gran bretagna si dispose a
favorire il processo di insediamento ebraico in palestina e quindi di
progressiva eliminazione della presenza palestinese stessa; cento anni di
“cattiva coscienza”;
nel frattempo l’europa ha visto
l’olocausto; la germania, con complicità diffuse e con la fattiva
collaborazione italiana, ne è stata la massima artefice: ebbene, cosa ne ha
pagato la germania? e cosa ne ha pagato la varia rete che vi ha collaborato? e
cosa ne ha pagato l’europa? niente: niente di niente, salvo monumentalizzare
quanto resta dei lager; la “rimozione” della responsabilità, il lavorio
verminoso della cattiva coscienza, è invece ricaduta sulla palestina;
l’esito antropologico di questa
ignominia è stato ancora più perverso: ha liberato la società israeliana
dall’inquetudine della “coscienza infelice”; si ripete di nuovo, nel segno di
una teologia blasfema, l’orrida giustificazione del delitto di cui fu vittima gesù
stesso: “se vi è colpa, ricada su di noi e sui nostri figli”;
quale padre può mai permettersi un
giuramento simile? e i figli?
ora è ben chiaro che per il popolo
palestinese è giunta l’ora della “soluzione finale”; niente fermerà la macchina
dello sterminio; resta una sola via di salvezza: che i figli, i figli della
società israeliana, ripudino i propri padri; la società israeliana, per
risalire la china della propria degenerazione, necessita di una rivolta
giovanile intensa quanto può esserlo, in senso antropologico, l’abisso del
parricidio;
è al governo oggi, in israele, un
partito che si fregia della denominazione “potere ebraico”; il programma
politico di tale partito, che si avvale di una radicale teologia blasfema, si
sta realizzando ora dopo ora nel genocidio di gaza;
“genocidio di gaza, genocidio, “: ciò
avviene sotto gli occhi del mondo, e avviene nel segno del più nazionalistico e
del più irrazionalistico e del più disumano dei programmi politici; cosa resta
oggi della irrinunciabile lezione umanistica di sigmund freud, di albert
einstein, di annah arendt, di theodor adorno, di erich fromm, di herbert
marcuse? cosa resta oggi della necessità dell’universalismo, unica via di
scampo per una umanità che resti degna di via, di verità e di vita?
restano i figli: che quanto prima
possano sentirsi fratelli dei bambini e dei giovani di gaza.
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