Istruzione,
formazione, inclusione, autonomia, crescita personale e, soprattutto, far sì
che ragazze e ragazzi possano presentarsi al mondo adulto come cittadine e
cittadini: questi sono i compiti fondamentali della scuola italiana.
In tutti gli ordini
e gradi di scuola noi docenti, al di là della specifica disciplina insegnata,
dobbiamo contribuire al raggiungimento di questi obiettivi. E dobbiamo farlo
subito con consapevolezza, perché è sotto gli occhi di tutti come le tragedie
del secolo scorso, il colonialismo, la Prima e la Seconda guerra mondiale, il
genocidio di gruppi di persone largamente riconducibili a categorie razziali,
culturali, etniche e religiose, si stiano ripresentando oggi.
Per questo vogliamo ricordare, in particolare, il “Mai più” risuonato
nel Preambolo della Carta dell’UNESCO, che ha trovato fondamento nella
Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio
dell’ONU entrata in vigore nel 1951, il quale all’articolo II riporta: «Nella presente Convenzione, per genocidio si intende ciascuno degli atti
seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un
gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: a) uccisione di membri
del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del
gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di
vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure
miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di
fanciulli da un gruppo ad un altro».
A
partire da queste evidenze giuridiche, come docenti, come educatori ed
educatrici che vogliono costruire un’umanità di pace, non possiamo non
condannare i fantomatici progetti di fare di Gaza la riviera balneare del
continente asiatico con la conseguente deportazione del popolo palestinese
altrove. Non possiamo non condannare quello che per la Corte Penale Internazionale e per accreditate ONG, tra cui Amnesty International, viene rubricato
come genocidio nei confronti di tutta la popolazione palestinese, affamata e
privata di ospedali, cure mediche essenziali, scuole e università.
Non possiamo non
guardare con preoccupazione alla folle corsa al riarmo, che punta
all’investimento del 5% del PIL nazionale in spese legate alla difesa e alla
sicurezza, mentre le nostre scuole avrebbero bisogno di interventi strutturali
per rendere più decoroso il nostro lavoro e più sicura la permanenza degli studenti
e delle studentesse nelle aule.
Il rischio che si
intravede è che, oggi come un secolo fa, la mediocre normalità diventi abulia
morale anche nell’ambito dell’educazione, giacché è proprio nell’abulia dei
molti che trova spazio l’affaccendarsi violento e spregiudicato di pochi avidi
di potere, mentre la consapevole scelta partigiana di pace viene messa
costantemente sotto scacco.
Come docenti, come
educatrici ed educatori, noi ci opponiamo a questa deriva con questo documento
che sottoscriviamo.
Lavoriamo per
costruire convivenze pacifiche, abilità nella cooperazione, pace come modello
di vita autentica, fatta di responsabilità condivise. Insegniamo che ogni
persona ha diritto a vivere con dignità, a immaginare un futuro migliore, a
coltivare sogni e quindi non accettiamo che questi valori vengano calpestati.
Esistono alternative
alla violenza: gli strumenti del diritto internazionale, le vie diplomatiche,
le forme di pressione nonviolenta, come il disinvestimento o il boicottaggio, e
di questo vogliamo farci portavoce con il nostro lavoro.
Noi siamo lavoratori
e lavoratrici per la diffusione della cultura, della libertà, della dignità
umana, della ricerca della giustizia. E per tale motivo chiediamo il supporto
del personale scolastico tutto in questa nostra quotidiana opera di resistenza
alla guerra e al riarmo.
Noi siamo docenti Pacefondai.
Istituto
Firme
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