I droni si sono impadroniti dei conflitti armati. La difesa da questi terrificanti oggetti tecnologici carichi di pulsione di morte che possono essere controllati a distanza non passa per strategie militari o per buone pratiche di intelligenza artificiale. Per proteggerci in profondità dalla cultura di guerra e dagli algoritmi di distruzione umanizzata occorre riempire la vita di ogni giorno di relazioni vere con persone in carne e ossa, riportare l’umanità ovunque, immaginare e praticare modi diversi di vivere
I droni hanno ormai preso possesso delle notizie dei giornali. Viene
considerato un successo il loro abbattimento, vedi i 221 droni ucraini neutralizzati dai russi, sono utilizzati in modo a dir poco
incosciente per avvicinare ulteriormente la fiamma alla
miccia della temuta fase di non ritorno nel conflitto mondiale, come è accaduto
di recente in Polonia, sfruttati per un vile atto terroristico ai danni di
iniziative del tutto pacifiche come quella della Global Sumud Flotilla, o
addirittura esaltati per le loro potenzialità in tema di
consegne rapide e precise. In ogni caso, a quanto si legge, i droni si
sono impadroniti dei conflitti per alcune semplici ragioni: costano decisamente
di meno rispetto ai tradizionali velivoli da combattimento, hanno un peso
altrettanto inferiore e, soprattutto, si dimostrano letalmente efficaci.
Dal punto di vista storico, i primi veicoli senza pilota furono sviluppati in
Gran Bretagna e negli Stati Uniti durante la prima guerra mondiale. Il
prototipo britannico, un piccolo aereo radiocomandato, fu testato per la prima
volta nel marzo del 1917, mentre il modello statunitense in pratica era un
siluro, noto come Kettering Bug, e volò per la prima volta
nell’ottobre del 1918. Anche se entrambi mostrarono risultati promettenti nei
test di volo, nessuno dei due fu utilizzato operativamente durante la guerra.
Considerando l’esponenziale e, a mio modesto parere, in parte inquietante
diffusione di tali ordigni e la loro micidiale pericolosità qualora azionati
con intenzioni ostili, mi sorge la seguente domanda: come difendersi dai droni? Da
cui, il logico quanto interrogativo corollario: come ci si difende da
ciò che non si conosce?
Ebbene, facciamo un po’ di chiarezza, a cominciare dalla mia testa: cosa
sono i droni? Sono per definizione dei velivoli senza pilota, formalmente noti come
veicoli aerei senza equipaggio (dall’acronimo UAV, Unmanned Aerial
Vehicle) o anche sistemi di aeromobili senza equipaggio (UAS, Unmanned
Aerial System), che possono essere controllati a distanza o volare
autonomamente utilizzando piani di volo guidati da software e sensori di bordo.
Ora, aprendo una conversazione più approfondita su come proteggerci, o in
generale controllare, gestire e contenere qualsiasi innovazione
tecnologica, gli studi universitari e i testi letti
nel tempo, suggeriscono – oltre che di acquisire consapevolezza dello strumento
in sé – di ragionare sul significato più ampio della funzione che essa
svolge. Mi riferisco in particolare all’approccio generale che in molti
casi indirizza a vario titolo il progresso tecnico, industriale e ovviamente
economico, e in seconda battuta quello sociale, e finanche ideologico e
politico.
Alla luce di ciò – divenuta parte quindi di un disegno assai più vasto –
ripeto a me stesso la domanda: cosa sono davvero i droni? Ebbene, credo siano
in sintesi macchine, come detto nell’incipit, economiche, leggere e mortali che
possono essere azionate a distanza tramite un programma informatico da qualcuno
che non vedi e che ignori, che a sua volta sarà in grado di arrecare sofferenza
o addirittura causare la morte di qualcun altro che al contrario vede e conosce
alla perfezione. O anche no, ed è quest’ultimo a mio umile avviso uno
degli aspetti più inquietanti. Anche perché, tenendo conto della velocità,
e al contempo l’assenza di un effettivo controllo da parte nostra, con cui
l’intelligenza artificiale sta occupando sempre più i ruoli che un tempo erano svolti
unicamente dagli esseri umani, dovremo aspettarci un domani – o forse è
già realtà – nel quale ad azionare il velivolo robot ci sarà un altro robot.
In parole povere, è come se l’umanità stia facendo di tutto pur di
eliminare se stessa dall’equazione che regola in ogni campo la sua esistenza. A
tal punto, non posso fare a meno di tornare nuovamente alla domanda iniziale:
come difendersi dai droni? Ovvero, in generale, come proteggerci dal ben più
grande, controverso e ormai inevitabile orientamento che da decenni hanno
scelto l’industria e i governi da essa dipendenti, e che sempre più sta
investendo nel sopra citato algoritmo di distruzione disumanizzata? Credo che
non ci sia migliore alternativa che fare la scelta opposta: puntare sempre più
sulle persone in carne e ossa. Riempire il nostro fare e possibilmente la
nostra quotidianità di interazioni reali nell’accezione tradizionale. Per
dirla in modo altrettanto semplice, sforzandoci di riportare a ogni occasione
l’umanità all’interno della suddetta equazione. Mi sbaglierò, ma forse, oltre
che la migliore, credo sia l’unica strada che ci resta.
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