Io, al momento, mi schiero col bosco - Marco Sommariva
Non è che
siamo più portati per il giardinaggio, ossia per la fede nel futuro, per la
certezza che le cose accadranno secondo i piani?
In questi
giorni si sta parlando molto della vicenda dei tre figli dei coniugi
anglo-australiani Catherine Birmingham e Nathan Trevallion sottratti ai
genitori su ordinanza del Tribunale dei Minori di Chieti.
Sul sito di
RaiPlay leggo che i cinque vivevano in un bosco a Palmoli (CH)
una “vita primordiale, con una filosofia improntata al massimo rispetto della
natura […]. Nella casa non c’è acqua e non ci sono servizi igienici, manca la
luce e i bambini non vanno a scuola”.
Come sempre
più spesso succede di fronte ad avvenimenti complessi dove media e persone
comuni si guardano bene dall’analizzare le informazioni nella loro specificità,
anche questa storia della famiglia Birmingham/Trevaillon è diventata il
pretesto per una battaglia politica che vede, a grandi linee, schierati da una
parte coloro che difendono a prescindere la famiglia come istituzione-totem e
dall’altra chi concepisce l’azione della magistratura come un intervento sempre
e comunque giustificato.
Potrei
iniziare un’arringa difensiva scrivendo che, da quanto risulta da più fonti, i
piccoli Trevaillon/Birmingham non hanno subito alcuna violenza fisica o
psicologica e che non soffrono di denutrizione oppure, al contrario, redigere
un j’accuse verso i due adulti partendo magari dal fatto che la loro abitazione
è priva di “collaudo statico” e quindi di agibilità, ma commetterei lo stesso
errore di chi, oggi, s’avventura in conclusioni senza conoscere
approfonditamente l’intera situazione o, ancora peggio, finirei con lo
schierarmi da una parte o dall’altra magari sulla base di pregiudizi, quindi,
sul niente. Ma non sto sfuggendo: alla fine, anche il mio sarà in qualche modo
uno schierarsi, visto che ho deciso d’essere qui a scriverne.
La prima
cosa che mi auguro è che a condannare momentaneamente questo nucleo famigliare
non sia stata la scelta di vivere nel bosco come fosse la decisione di un
gruppo di fannulloni, di chi fugge da responsabilità varie, fosse anche quella
di combattere il sistema, perché nel caso vorrei ricordare cosa scrisse
in Vita senza princìpi, Henry David Thoreau: “Se un uomo cammina
nei boschi, per il piacere di farlo, metà di ogni giornata, egli corre il
rischio di essere considerato un fannullone, ma se egli spende la sua intera
giornata come uno speculatore, tagliando quegli stessi alberi e rendendo
spoglia la terra prima del tempo, egli è stimato un cittadino industrioso e
intraprendente. Come se una città non avesse interesse a conservare le proprie
foreste ma a tagliarle!”. Non solo, sulle stesse pagine, Thoreau scrive che
“vedere il sole sorgere o tramontare ogni giorno, così da poter raccontare a
noi stessi un fatto universale, ci manterrà per sempre assennati”, e benché
vivano nei boschi e non vedano benissimo il sorgere e il tramontare del sole,
credo che fatti universali che li mantengano assennati ne vedano molti più di
noi che di senno ne abbiamo sempre meno, quotidianamente chiusi dentro scatole
d’acciaio in movimento che ci portano su posti di lavoro quasi mai
gratificanti, a consumare la quasi totale nostra esistenza.
La seconda
cosa che mi auguro è che la famiglia Birmingham/Trevaillon non sia stata
confusa con gli assaltatori di quest’epoca industriale che divora boschi e
montagne che, molto tardivamente, un giorno s’è resa conto di quante piante e
animali aveva estinto o portato sull’orlo dell’estinzione. Forse, nella
penombra dei boschi, gli anglo-australiani sono semplicemente giunti alla
conclusione che la fase coloniale nella relazione tra uomo e natura era finita.
Il che, naturalmente, è più facile da dire che da fare, ma, come tutte le
utopie, allettante. Qualcosa di simile l’ha scritta anche Erri De Luca in Il
contrario di uno: “Chi veniva con il mulo e l’ascia, sapeva togliere al
bosco. Chi viene con il camion e con la motosega, lo lascia spoglio”.
La terza
cosa che mi auguro è che i figli sottratti a questi signori non siano stati
allontanati da mamma e papà perché ritenuti, i due adulti, resistenti.
Resistenti a un sistema che, se vivi nel bosco, non riesce a controllarti come
vorrebbe, un sistema che teme lo spirito di emulazione di altri. Spero non sia
così anche perché sarebbe tempo perso: “[…] la Resistenza non è nei boschi che
la trovi, ma dentro di te” – da Il terrorista nero di Tierno
Monénembo.
La quarta
cosa che mi auguro è che non siano state questioni religiose ad aver messo in
movimento la sottrazione dei minori perché, per onorare un Creatore, come
scriveva Gustave Flaubert in Madame Bovary, non si ha bisogno di
una chiesa o di ingrassare buffoni che mangiano meglio di noi, potrebbe bastare
contemplare la volta celeste in un bosco: “Credo nell’Essere supremo, in un
Creatore, sia chi sia, che m’importa?, che ci ha mandato quaggiù perché
facciamo il nostro dovere di cittadini e di padri di famiglia. Ma non ho
bisogno, io, di andare in una chiesa a baciare piatti d’argento e a fare
ingrassare di tasca mia un mucchio di buffoni che mangiano meglio di noi!
Perché si può onorarlo lo stesso: in un bosco, in un campo, magari contemplando
la volta celeste, come gli antichi. […] non concepisco un povero diavolo di
buon Dio che passeggia nel suo giardino con il bastone in mano, che dà alloggio
ai suoi amici nel ventre delle balene, che muore mandando un grido e resuscita
dopo tre giorni. Cose assurde in sé e completamente in contrasto, d’altra
parte, con tutte le leggi della fisica. E ciò dimostra, sia detto tra
parentesi, che i preti sono rimasti sempre a imputridire in una torpida
ignoranza, nella quale tentano di trascinare anche i popoli”.
La quinta
cosa che mi auguro è che nessuno si sia fatto spaventare da questa nuova
minoranza, che nessuno abbia avuto l’ennesimo rigurgito discriminante verso il
diverso, in quanto è forse proprio dalla famiglia Trevaillon/Birmingham che
dovremmo imparare qualcosa, perché “se le nostre vite fossero più conformi alla
natura non avremmo bisogno di difenderci dal caldo e dal freddo, ma troveremmo
in lei una leale nutrice ed amica, come già fanno le piante e i quadrupedi. Se
i nostri corpi si nutrissero di elementi puri e semplici non avrebbero bisogno
di più nutrimento di quanto ne necessita un ramoscello senza foglie, e
prospererebbero come gli alberi, che trovano persino l’inverno favorevole per
la loro crescita” – ancora Henry David Thoreau, da Il mattino interiore.
Conoscenti
abruzzesi mi dicono che, dalle loro parti, s’è sentito dire che la casa della
“famiglia nel bosco”, così com’è stata ribattezzata dai media, sorgerebbe
in un’area
coinvolta da un progetto eolico e che i genitori si sarebbero
rifiutati di venderla ma, come scritto a inizio pezzo, preferirei non
avventurarmi in questi dettagli che potrebbero essere smentiti il giorno dopo.
Piuttosto,
oltre a tutto quel che mi auguro, mi domando se per caso questa allergia verso
chi vive nel bosco non sia un segnale. Mi spiego meglio. Non è che ci
infastidisce l’armonia tra un gruppo di esseri umani e il bosco, questo
sconosciuto groviglio squilibrato, asimmetrico, questo disordine naturale dove
non sai cosa accadrà l’indomani ma dove tutto funziona, in cui piante e arbusti
crescono e si muovono indipendentemente dall’Uomo favorendo insetti e fauna
selvatica? Non è che siamo più portati per il giardinaggio ossia, come dice
Joel Edgerton nel film Il maestro giardiniere di Paul
Schrader, “per una manipolazione del mondo naturale [creando] ordine dove
l’ordine sarebbe appropriato, [una] capillare correzione del disordine là dov’è
necessario”? Perché, in fondo, al contrario del bosco, il giardinaggio rasserena,
“è fede nel futuro, è convinzione che le cose accadranno secondo i piani, che
il cambiamento arriverà a tempo debito” – sempre Joel Edgerton nel film di
prima.
C’è chi si
schiera dalla parte di coloro che difendono a prescindere la famiglia come istituzione-totem
e c’è chi si schiera con chi concepisce l’azione della magistratura come un
intervento sempre e comunque giustificato.
Io, al
momento, mi schiero col bosco. Voi?
da qui
Ora anche esperti in assistenza sociale! Basta leoni da tastiera sui
bimbi nel bosco – Luciano Casolari (Medico psicoanalista)
Io che lavoro da quarant’anni nel campo non riesco a
proporre un giudizio. Confesso di essere meno capace di tanti nostri
concittadini che sdottorano sui social
Finalmente
molti italiani sono divenuti esperti in assistenza sociale e possono
decidere rispetto a come aiutare i genitori dei “tre bambini nel bosco” a Chieti. Sono validamente coadiuvati da
stuoli di politici che per avere un voto in più venderebbero
anche la loro mamma. Questa competenza mancava ai nostri concittadini. Erano
già esperti, come i medici, nel definire quali vaccini o medicine sia giusto
somministrare poi, come i giudici, nell’affibbiare la colpevolezza o
l’innocenza a dei ragazzi; ora finalmente tutti hanno, in quattro e
quattr’otto, acquisito un dottorato in assistenza sociale.
Io che
lavoro da quarant’anni nel campo affine della psicologia e psichiatria non
riesco a proporre un giudizio. Confesso di essere meno capace di tanti nostri
concittadini che sdottorano sui social.
Le notizie
che sui giornali si possono trovare mostrano lati positivi rispetto
a questa famiglia che pare serena con un legame affettivo valido fra genitori e
figli. Accanto emergono lati oscuri come la mancata frequentazione
scolastica con trascuratezza rispetto alla eventuale educazione
parentale, assente socializzazione dei ragazzi e condizioni
igieniche molto precarie.
Ognuno di
noi dentro di sé ha delle suggestioni che derivano dalle proprie esperienze.
Per quanto mi riguarda ricordo un caso occorso quando ero
giovane psichiatra. Il sindaco del paese mi chiamò per segnalarmi la situazione
di un anziano che viveva in condizioni estremamente precarie. Andai a
visitarlo con un infermiere e vidi che viveva in un bosco in un rudere senza
riscaldamento, senza acqua e servizi igienici. Gli parlai e dopo alcune
riluttanze lui accettò di andare a vivere in una casa di riposo per
anziani del Comune ove lo avrebbero accudito meglio. Dopo due mesi
chiesi al sindaco come andava la sistemazione di quel vecchietto. Mi rispose
che purtroppo era scivolato sul pavimento bagnato dalla signora delle pulizie,
si era rotto il femore ed era deceduto. Negli anni successivi ho sempre pensato
che “chissà se sarebbe stato ancora vivo?” se lo avessi lasciato nel suo rudere
senza convincerlo ad andare in una casa di riposo “troppo pulita”.
Coi miei
nipotini recentemente ho rivisto il film Il libro della jungla. Si
tratta di un’opera molto bella tratta da un romanzo di grandissimo successo. E’
bello vedere il bambino allevato dai lupi, che gioca con un orso e viene
protetto da una pantera. Nella realtà però io non lascerei certo i miei
nipotini in balia di un branco di lupi. Dubito molto dell’accudimento
che potrebbero offrire un orso. Sfido i leoni da tastiera, che imperversano sul
web, ad andare a fare le moine a una pantera.
Insomma
la vita agreste, bucolica, va bene per una foto durante la
bella stagione ma risulta difficile senza medicine e presidi sanitari. Una
volta espresse le mie “suggestioni” per venire alla situazione
dei bambini nel bosco mi pare sia giusto sottolineare che il provvedimento
emesso dal giudice minorile, su indicazione dei carabinieri e degli assistenti
sociali, non prevede l’allontanamento dei genitori dai figli e men che meno la
decadenza della loro potestà genitoriale (al momento sospesa). Si prefigge, da
quel poco che ho capito dai giornali, di mettere i bambini e la mamma in
condizioni igieniche migliori per valutare se vi sia o meno in atto un
isolamento sociale patologico e una mancata educazione scolastica.
Tutelare i
bimbi che possono avere genitori stravaganti è un mestiere difficile. Dirimere
fra una ideologia legittima e un delirio in cui il malato ha delle fissazioni
incrollabili che cozzano con la realtà e mettono a rischio lui e i minori è
complesso. Occorre affidarsi a degli esperti che potrebbero sbagliare ma che,
in linea di massima, hanno minori probabilità di compiere errori
grossolani rispetto a utenti del web che si alzano la mattine per
urlare al mondo le loro idee maturate senza avere tutte le notizie e gli
strumenti di conoscenza per interpretarle.
Se entriamo
come comunità in un mondo paranoico per cui c’è sempre un complotto dietro
o degli interessi oscuri e aboliamo ogni principio di autorità e autorevolezza
sarà dura mantenere la convivenza fra le persone. Quando viene l’ingegnere a
decidere quanto devono essere grandi le travi della mia casa, quando chiamo
l’elettricista e mi propone un filo elettrico di un certo spessore, quando
mando il figlio in pullman e il guidatore segue un itinerario e in innumerevoli
altri momenti della mia vita devo affidarmi e fidarmi. Non posso pretendere
tutte le volte di decidere io quale cosa sia giusta altrimenti la nostra
possibilità di vivere in una civiltà deflagra.
Già si
notano le avvisaglie di questo “mondo paranoico” in cui molti
individui si sentono soli, vessati dalla società cattiva che li vuole
controllare e soggiogare negando le loro libertà. Speriamo che la deriva in
atto negli Usa ove tanti cittadini riempiono la loro casa di armi contro
nemici, spesso immaginari, che vogliono invaderli non si propaghi anche nel
nostro paese.
da qui