Nel 1978, durante gli anni dell’Unione
Sovietica e della guerra fredda, partecipai a un convegno italo-sovietico di
neurofarmacologia a Mosca. All’aeroporto di Mosca-Šeremét'evo, il funzionario
che controllava il mio passaporto esclamò con voce amichevole:
— Sei di Cagliari, Sardegna? —
Pensando di compiacerlo, recitai con
l’orgoglio di un compagno sardo comunista:
— Antonio Gramsci, Emilio Lussu, Enrico
Berlinguer! —
Sembrò non aver capito. Dopo un breve
silenzio, esplose felice:
— Gigi Riva! —
Io pensai, un po’ deluso, che non ci
sono più i comunisti di una volta.
Iosif Vissarionovič Stalin era morto da
un pezzo, e Nikita Sergeevič Chruščëv ne aveva rivelato pubblicamente le colpe.
Ma Stalin rimaneva nell’immaginario dei lavoratori nello scongiuro minaccioso:
— Ha da venì Baffone. —
Avevo visto la sua faccia rassicurante
su un manifesto affisso su un muro di via Arbat, simbolo della città di Mosca.
Quel manifesto aveva resistito alle intemperie climatiche e politiche.
Riportava la scritta in cirillico “Otche Nash”:
— Padre Nostro. —
All’epoca, segretario del Partito
Comunista era Leonid Brežnev, quello del celebre bacio sul Muro di Berlino con
il leader della Germania Est, Erich Honecker.
I promotori del convegno sono
rappresentati in una fotografia, disposti in ordine anagrafico e, curiosamente,
deceduti nello stesso ordine — tranne l’ultimo a sinistra.
Il primo a destra è Sergei V. Anichkov,
classe 1892, patriarca della farmacologia sovietica. Fu allievo di Ivan Pavlov
e insignito del Premio Lenin, la più alta onorificenza sovietica. Mi confidò di
essere stato confinato in Siberia per cinque anni, sospettato di tramare contro
la vita di Stalin. Commentai con lui che il freddo della Siberia allunga la
vita. Tra me e me pensai che, forse, non era poi stato un bravo tossicologo.
Vladimir Vasilievich Zakusov, classe
1903, fondatore della farmacologia sovietica moderna e successore di Anichkov
alla direzione dell’Istituto Medico di Mosca, fu anch’egli insignito
dell’Ordine di Lenin. Era il vero zar della farmacologia sovietica.
Il terzo era Mark Valentinovich Valdman,
classe 1929. Su di lui circolavano alcune malignità: troppo giovane e
ambizioso, forse ebreo, forse gay. Non ho trovato evidenze affidabili che
confermino l’internamento siberiano di Anichkov, né l’origine ebraica di
Valdman. Avevo però notato che Valdman aveva baciato quattro volte sulle
guance, anziché tre come da usanza russa, Umberto Scapagnini — il più bello dei
farmacologi italiani.
Il quarto a sinistra è Vincenzo Longo
(1929), direttore capo del laboratorio di farmacologia dell’Istituto Superiore
di Sanità.
Il suo stereotaxic Atlas of the Cat’s
Brain (1963) è utilizzato per localizzare con precisione le strutture cerebrali
feline negli esperimenti neuroscientifici.
Il convegno sulla farmacologia
dell’alcolismo fu un successo, festeggiato con un brindisi per ogni
neurotrasmettitore — che allora erano più di dieci. Il rito, apparentemente in contrasto
con le conclusioni del congresso, era perdonato: la vodka Stolichnaya, come è
noto, non può che fare bene.
Al rientro, all’aeroporto, si ripeté la
stessa scena dell’arrivo a Mosca. Un giovane funzionario commentò il mio
passaporto esclamando con simpatia:
— Sei di Cagliari, Sardegna? —
Memore della prima esperienza, risposi:
— Gigi Riva! —
Mi guardò incredulo e disse,
pronunziando lentamente:
— Iosif… Iosif… Brotzu, Iosef Brotzu! —
Mi spiegò che era studente in medicina
all’Accademia Medica Militare Sovietica.
Commentai tra me:
— Non ci sono più quei doganieri di una
volta!
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