Un convoglio di esuli istriani dileggiato dai
ferrovieri «rossi». Un episodio ambientato nel 1947, ma che non ha riscontro in
nessuna fonte dell’epoca e ha preso la sua attuale forma soltanto nel XXI
secolo.
INDICE
1. Filmati falsi fatti con l’IA e vecchie fantasie di martirio
2. Giornali, questura, prefettura: negli archivi nessuna traccia
3. Pola 1947
4. 1957, «il PCI contro il treno degli esuli!!1!»
5. 1991, Magris traghetta la storia nel mainstream
6. 2004, arrivano i sassi e il latte versato
7. Sempre più dettagli, sempre più incongrui, persino Vivoda
smentisce
8. Wikipedia: Different Trains
9. Discorsi istituzionali e para-istituzionali: Meloni, Cristicchi
& Co.
10. Un articolo mai esistito e la reale posizione del PCI
Flash forward: 2 agosto 1991
1. Filmati falsi fatti con l’IA e vecchie fantasie di
martirio
Da alcune
settimane circola un video intitolato «Il treno della vergogna». Lo si può
reperire facilmente su YouTube ma preferiamo descriverlo, riportando in corsivo
il testo letto dalla voce narrante.
Il video si
apre sulle note di una musica drammatica, sembra un quartetto d’archi. Scorrono
uno dopo l’altro vari filmati “d’epoca”. Un treno a vapore arriva in una
stazione. Una voce impostata, mesta ma decisa, comincia subito a raccontare:
18 febbraio 1947: un treno merci arriva a Bologna,
sotto il gelo dell’inverno. Dentro, donne, bambini, anziani. Si vedono donne, bambini e anziani
sulla paglia dentro un carro merci.
Sono italiani, in fuga dall’Istria, dalle foibe, dalla
fame. Un
filmato mostra una famiglia che abbandona a piedi una città in fiamme.
Hanno affrontato un viaggio disperato. Li aspettano
pasti caldi preparati dalla Croce rossa. Stacco su una cucina da campo.
Ma ad accoglierli c’è l’odio. Nuovo stacco, carrellata su un
picchetto operaio. Un cartello compare per un momento in primo piano. C’è scritto:
«TO NOO TCNCOCTNJ INC NNDWAI DOWINO FACCISTS! FAFIASTI INNIFACAS».
Dai microfoni voci sindacali minacciano lo sciopero.
Li chiamano fascisti. Dai marciapiedi volano sassi, pomodori. Gente scende dal treno sotto
una gragnuola di sassi.
Il latte per i bambini versato con disprezzo sulle
rotaie. Un
tizio versa del latte sui binari da una grande bigoncia di alluminio. Zoom
sulla mezza figura di una madre dal volto disperato.
Il treno riparte, umiliato. Solo a Parma troveranno
assistenza. Quel convoglio è passato alla storia come il treno della vergogna. Un treno parte dalla stazione.
Sulla fiancata, a caratteri cubitali, c’è scritto: «VERGOGNA».
Perché l’Italia quel giorno voltò le spalle ai suoi
figli.
Fine.
Il video
utilizza immagini e filmati generati digitalmente in modo da sembrare
“autentici”. In questo caso l’utilizzo dell’IA è dichiarato mediante una
scritta, e il lavoro è grezzo, come dimostrano le scritte senza senso sui
cartelli. Tuttavia, l’estrema facilità e rapidità con cui, grazie all’IA
generativa, si possono confezionare falsi storici – non dichiarati e ben più
convincenti di questo – pone enormi problemi alla storiografia di oggi e ancor
più ne porrà a quella di domani.
Lo scrisse
già Marc Bloch ormai più di ottant’anni fa: «tra tutti
i veleni capaci di viziare una testimonianza, l’impostura è il più virulento».
E quanto a carica virale, rispetto al 1940-43
l’impostura ha fatto passi da gigante.
È necessario
attrezzarsi, senza lasciarsi travolgere, senza ansie. «Quando tutto accade
veloce, impara a essere lento», diceva il personaggio di un romanzo. Sulle
sfide che ha di fronte il metodo storiografico nell’epoca dell’IA stiamo
riflettendo fittamente e coi nostri tempi ne scriveremo.
Ma andiamo
ora al contenuto del video in questione, alla storia che
la voce fuori campo ci narra.
2. Giornali, questura, prefettura: negli archivi
nessuna traccia
L’episodio,
prima di ridursi a un prompt da far processare a un software, era già diventato
nel corso dei decenni uno degli eventi canonici della narrativa sull’esodo
istriano.
In questa
storia, tuttavia, l’unica cosa di cui è possibile trovare un riscontro
documentato da fonti coeve è la sosta a Bologna, il 18 febbraio 1947, di un
treno che trasportava diverse centinaia di profughi istriani in viaggio da
Ancona a La Spezia.
Su L’Avvenire d’Italia, quotidiano cattolico stampato a
Bologna – in seguito sarebbe diventato semplicemente l’Avvenire – il 20 febbraio compare un trafiletto che riporta la seguente
notizia:
Transitati da Bologna altri 2200 profughi di Pola.
Affettuosa assistenza della P.C.A.
Ieri sono passati dalla nostra Stazione diretti in
varie città circa 2200 profughi di Pola. Accolti sempre dalla Commissione
Pontificia e ristorati con vivande calde hanno proseguito il loro viaggio.
Tutti sono gratissimi della accoglienza che loro riserva il Posto di Ristoro
della Pontificia Commissione Assistenza. È sempre pressante l’invito per aiuti
al Posto di Ristoro della Commissione Pontificia per poter dare ai fratelli di
passaggio una accoglienza degna del loro grande sacrificio.
In tutto il
mese di febbraio nessun giornale locale riporta notizie di disordini alla
stazione di Bologna. Non c’è niente su l’Avvenire d’Italia, né sul Progresso
d’Italia e nemmeno sul Giornale dell’Emilia, nome provvisorio, adottato in
attesa che si calmassero le acque, del Resto del Carlino, testata troppo
associata al collaborazionismo filonazista.
L’Avvenire
d’Italia del 7 febbraio riporta in prima pagina la notizia di uno sgarbo
dei ferrovieri di Vercelli, che non hanno permesso l’apposizione di striscioni
di benvenuto ai profughi presso il punto di ristoro allestito nella stazione
dalla Pontificia commissione di assistenza.
È dunque
molto probabile che, se a Bologna si fossero svolti episodi analoghi o
addirittura più eclatanti, il giornale ne avrebbe parlato. A maggior ragione ne
avrebbe parlato l’anticomunista Giornale dell’Emilia.
È poi
addirittura certo che, se vi fossero state contestazioni violente – o anche
pacifiche – nei confronti dei profughi, ve ne sarebbe traccia negli archivi
della Questura e della Prefettura, dove invece non risulta nulla.
I giornali
dell’epoca li abbiamo consultati direttamente, mentre per le ricerche
d’archivio in Questura e Prefettura facciamo riferimento alla tesi di laurea
magistrale di Alberto Rosada intitolata The reception of the Istrian-Dalmatian refugees between history
and memory, compilata sotto la supervisione della
professoressa Giulia Albanese, che ci ha fornito
molte conferme e ulteriori spunti per l’indagine.
La storia
del «Treno della vergogna», raccontata proprio come nel video descritto sopra,
è ritenuta praticamente da tutti un fatto storico acclarato. Talmente acclarato
che quasi nessuno ha ritenuto di dover cercare riscontri nelle fonti coeve.
Ovviamente
il cantante Simone Cristicchi l’ha inserita nel suo show Magazzino 18, insieme ad altri
eventi “canonici” in cui la fantasia ha abbondantemente sopperito alla mancanza
di fonti storiche.
Eppure, di
quella storia non esistono tracce anteriori al 1957.
Nemmeno nella pubblicistica di nicchia dell’associazionismo esule. E nel
mainstream nazionale compare per la prima volta soltanto nel 1991.
Per
ricostruire la genesi di questo mito dobbiamo fare un salto indietro nel tempo
e spiegare per sommi capi cosa stesse accadendo a Pola nel 1947.
3. Pola 1947
Dopo la
liberazione dal nazifascismo, avvenuta il 5 maggio 1945 ad opera dell’Esercito
Popolare di Liberazione della Jugoslavia, Pola fu amministrata fino al 12
giugno dai poteri popolari instaurati dal partito comunista jugoslavo.
In seguito
agli accordi di Belgrado tra jugoslavi e angloamericani, la città passò sotto
il GMA, Governo Militare Alleato, insieme a Gorizia e Trieste.
Dopo
l’arrivo degli alleati, nel giugno del 1945, fu fondato il CLN, Comitato di
Liberazione Nazionale di Pola, di cui facevano parte democristiani, socialisti,
liberali e azionisti, in contrapposizione ai comunisti che partecipavano invece
all’UAIS, Unione Antifascista Italo-Slava, di orientamento filo jugoslavo.
A un lettore
italiano l’espressione CLN richiama alla mente la lotta al nazifascismo nel
periodo tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945, ma quando ci si riferisce
all’Istria la risonanza è fuorviante. Il CLN di Pola non nacque nella lotta
contro il nazifascismo, ma solamente dopo la liberazione, in contrapposizione
alla linea filojugoslava dei comunisti.
L’amministrazione
angloamericana durò fino al 1947, quando fu firmato (10 febbraio) ed entrò in
vigore (15 settembre) il trattato di Pace di Parigi, che assegnò Gorizia
all’Italia e Pola alla Jugoslavia, e istituì il Territorio Libero di Trieste,
sottoposto alla sovranità dell’ONU e diviso in due zone, una amministrata dagli
angloamericani e una dagli jugoslavi.
Ricordiamo en passant che nei Balcani l’Italia aveva perso la
guerra che essa stessa aveva cominciato insieme alla Germania nel 1941,
invadendo la Grecia e la Jugoslavia. Aveva perso anche la guerra dichiarata a
Francia e Regno Unito nel 1940, quella dichiarata all’Unione Sovietica nel 1941
e quella dichiarata agli USA sempre nel 1941. A Parigi dunque si presentò alle
trattative da paese sconfitto, e in quanto tale subì perdite territoriali sia
sul confine occidentale sia su quello orientale, e perse tutte le colonie.
A Pola il biennio
1945/47 fu un periodo torbido, ben descritto da Gaetano
Dato nel suo libro Vergarolla 18 agosto 1946. Gli enigmi di una strage tra conflitto
mondiale e guerra fredda, ed. LEG, 2014. In città si
fronteggiavano a viso scoperto i militanti filoitaliani e quelli filojugoslavi,
e a viso coperto i servizi segreti angloamericani, jugoslavi e italiani. Erano
inoltre presenti sul territorio diversi gruppi armati: ex partigiani comunisti,
antifascisti italiani antijugoslavi e/o anticomunisti, e fascisti irriducibili.
Il giorno
stesso della firma del trattato di pace il generale Robert de Winton, comandante delle forze britanniche a
Pola, fu ucciso a colpi di pistola da Maria Pasquinelli,
un’ex agente dell’intelligence della X MAS. Di lei e del suo ruolo nel
raccogliere e diffondere leggende nere sulle foibe del 1943 abbiamo scritto a proposito del caso di Norma Cossetto.
Già nella
tarda primavera del 1946 era ormai chiaro a tutti che la città sarebbe passata alla
Jugoslavia, e il governo italiano, di concerto con il CLN di Pola e con la
Pontificia Commissione di Assistenza, cominciò a organizzare l’evacuazione
della componente italiana della città.
Non
indagheremo qui le complesse dinamiche sociali, politiche, economiche e anche
psicologiche che portarono alla partenza da Pola di quasi 30mila abitanti –
quasi tutti italiani – sui circa 40mila totali. A chi fosse interessato ad
approfondire l’argomento, consigliamo di cominciare dal volume Storia di un esodo. Istria 1945-1956, Istituto
regionale per la storia del Movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia,
Trieste 1980.
Riteniamo
però importante sottolineare che non si trattò di una fuga rocambolesca di
persone incalzate da un nemico in armi, come suggerisce il filmato fake che
abbiamo descritto all’inizio di questo post. Si trattò invece di un’evacuazione
ordinata, organizzata dal governo italiano – prima le masserizie e poi le persone
–, con partenze regolari di grosse navi e liste di imbarco a cui i cittadini
che volevano partire dovevano iscriversi.
Il grosso
delle operazioni si svolse nei mesi di febbraio e marzo. I trasbordi di massa
cominciarono già prima della firma del trattato di pace, e si conclusero con
largo anticipo rispetto al passaggio di consegne tra angloamericani e
jugoslavi, che avvenne solo in settembre.
Quasi metà
dei profughi furono trasportati in Italia sul piroscafo Toscana, che compì in
tutto dieci viaggi, sette da Pola a Venezia e tre da Pola ad Ancona. Altri
profughi furono trasportati a Trieste sulle navi Pola e Grado, e altri ancora
si mossero su navi più piccole o con mezzi propri.
Nel periodo
che interessa a noi, quello tra il 15 e il 21 febbraio, il Toscana fece due
viaggi: il 16 febbraio trasportò circa 2200 profughi ad Ancona, e il 21
febbraio trasportò circa 1000 profughi a Venezia.
L’episodio
del passaggio del treno alla stazione di Bologna il 18 febbraio si riferirebbe
ai profughi che partirono da Pola il 16 mattina e arrivarono ad Ancona la sera
di quel giorno...
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