martedì 6 maggio 2025

Appello referendario

 

Appello referendario. Vivere da cittadini, lavorare con dignità, creare democrazia

Negli ultimi anni le condizioni di incertezza e precarietà sono state aggravate anche da alcune politiche che regolano la nostra vita e il nostro lavoro. Diventare cittadini italiani è diventato più difficile per chi è di origine straniera. Le tutele del lavoro sono state ridotte, con effetti negativi sulla qualità dell’occupazione, sui salari, sulle disparità tra uomini e donne, sulla sicurezza sul lavoro. Politiche di questo tipo hanno alimentato la sfiducia, allontanato le persone dalla politica, aggravato la crisi della democrazia. Non è una deriva inevitabile. Le regole e le politiche possono essere cambiate per dare più protezione a chi vive e lavora in Italia. L’8 e 9 giugno 2025 si potrà votare per 5 referendum che chiedono di cancellare alcune misure che hanno peggiorato le condizioni di vita e di lavoro in Italia.

1. Vivere da cittadini. Riduciamo da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia richiesto per ottenere la cittadinanza italiana ai maggiorenni stranieri. Chi la ottiene potrà poi trasmetterla a figli e figlie minorenni. Circa due milioni e mezzo di persone potrebbero così vivere da cittadini. Abroghiamo la legge che nel 1992 ha raddoppiato il periodo di soggiorno richiesto.

2. Vite meno precarie. Riduciamo la possibilità di usare contratti di lavoro a tempo determinato, limitandone l’utilizzo a esigenze specifiche. Oltre due milioni e mezzo di persone, soprattutto giovani, lavorano oggi con contratti a termine e vivono una condizione di precarietà, insicurezza e bassi salari. Abroghiamo le norme che hanno liberalizzato l’utilizzo del lavoro a termine.

3. Lavorare senza licenziamenti illegittimi. Riduciamo le possibilità di licenziamenti senza giusta causa. Tre milioni e mezzo di lavoratrici e lavoratori a tempo indeterminato sono stati assunti dopo il 2015 in imprese con oltre 15 dipendenti. Per loro le imprese possono effettuare licenziamenti senza giusta causa e non è possibile per loro ottenere dal giudice il reintegro nel posto di lavoro. Abroghiamo le norme che impediscono il reintegro al lavoro in caso di licenziamenti illegittimi.

4. Lavorare senza discriminazioni. Riduciamo le possibilità di licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese. Tre milioni e mezzo di persone lavorano in imprese con meno di 16 dipendenti. Per loro le imprese possono effettuare licenziamenti senza giusta causa e offrire un indennizzo limitato a sei mensilità. Abroghiamo le norme che facilitano i licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese, lasciando al giudice del lavoro la possibilità di definire l’indennizzo.

5. Lavorare senza infortuni. Riduciamo i rischi di incidenti e morti sul lavoro. Ogni anno ci sono in Italia quasi 600 mila denunce di infortuni e oltre mille morti sul lavoro. Gran parte di questi avviene in imprese che operano in subappalto, spesso piccole aziende senza procedure di sicurezza adeguate. Abroghiamo le norme che impediscono, in caso di infortunio sul lavoro negli appalti, di estendere la responsabilità all’impresa appaltante (…) I 5 referendum sono l’occasione per fare in modo che le politiche tornino a proteggere le persone, e che la politica sia fatta di partecipazione e democrazia. In un mondo segnato da derive autoritarie, lo strumento che abbiamo per fermarle è proprio la pratica della democrazia, a cominciare dalla partecipazione al voto per i referendum. Per queste ragioni, sui 5 referendum – come persone impegnate nel mondo dell’università e della ricerca – (…) l’8 e 9 giugno 2025 invitiamo a partecipare ai 5 referendum e a votare SI.

Tra i firmatari: Gaetano Azzariti, Donatella Della Porta, Emanuele Felice, Luigi Ferrajoli, Silvio Garattini, Chiara Giorgi, Maria Cecilia Guerra, Tomaso Montanari, Francesco Pallante, giurista, Università di Torino Giorgio Parisi, Mario Pianta, Alessandro Portelli, Giorgia Serughetti, Salvatore Settis, Pasquale Tridico, Nadia Urbinati, Gianfranco Viesti

da qui

 

 

Il costituzionalista Pallante: “Referendum oscurati, temono che il lavoro ritorni un diritto” – Silvia Truzzi

 “Vivere da cittadini, lavorare con dignità” è il titolo di un appello che tenta di squarciare il silenzio sui referendum dell’8-9 giugno: lo hanno firmato intellettuali e accademici come il premio Nobel Giorgio Parisi, Nadia Urbinati, Silvio Garattini, Gaetano Azzariti, Salvatore Settis e Tomaso Montanari. Tra loro c’è anche Francesco Pallante, ordinario di Diritto costituzionale a Torino.

Professore, c’è un gran silenzio attorno all’appuntamento di giugno: perché?

I referendum mirano, nel loro complesso, ad aprire una breccia negli attuali equilibri di potere che vedono la finanza e l’impresa dominare in campo economico, al contrario di quel che prevede la Costituzione. Consci dello squilibrio di potere tra datori di lavoro e lavoratori, i Costituenti si erano posti l’obiettivo di riequilibrare i rapporti di forza. Per questo la Repubblica è “fondata sul lavoro”, diversamente dalle Costituzioni ottocentesche che erano “fondate sulla proprietà”, persino quanto al diritto di voto! Le riforme degli ultimi 30 anni hanno ricreato una situazione ottocentesca e chi ne beneficia non vuole perdere gli enormi vantaggi di cui gode. In quest’ottica anche il referendum sulla cittadinanza è importante: ricompone l’unitarietà della categoria dei lavoratori superando, almeno in parte, la contrapposizione tra lavoratori italiani e stranieri.

Puntano a non raggiungere il quorum?

Sì, purtroppo è oramai invalsa la prassi per cui i contrari all’abrogazione approfittano parassitariamente dell’astensionismo per far fallire i referendum, evitando di mettersi democraticamente in gioco.

Come cambierebbe la legge sulla cittadinanza?

La regola generale è che la cittadinanza possa essere concessa agli stranieri che risiedono in Italia da almeno 10 anni; nel caso degli stranieri maggiorenni adottati da cittadini italiani vale una regola speciale, per cui è sufficiente un periodo di 5 anni. Il quesito mira ad abrogare la regola generale dei 10 anni unitamente al riferimento all’adozione in quella speciale, trasformando la residenza quinquennale in regola generale (com’era fino al 1992).

Poi ci sono i referendum sul lavoro. Uno riguarda la sicurezza: i morti aumentano ma, chiacchiere a parte, la politica sembra disinteressarsene…

La mancata sicurezza sul lavoro è una ferita costituzionale sanguinante. Il lavoro non solo è precario e povero, oramai sempre più spesso è anche mortale. Gli esperti spiegano che le catene di appalti e subappalti rendono impossibile assicurare la sicurezza a chi lavora nei cantieri. È chiaro che è lì che occorre intervenire, ma sinora la politica è rimasta inerte. Il referendum mira a sanare questa ferita.

Precarietà: l’esempio della Spagna, che è tornata indietro, non è servito…

Il caso spagnolo è interessante perché dimostra che, contrariamente a quanto viene ripetuto, rafforzando i diritti dei lavoratori si rafforza il sistema economico nel suo complesso. Per questo i referendum che puntano a ostacolare i licenziamenti e a ridurre i contratti a termine sono fondamentali: procurano beneficio a tutti, non solo ai lavoratori dipendenti.

L’abolizione del Jobs Act crea imbarazzo nel Pd. È solo una questione simbolica o cambierebbe davvero qualcosa?

I referendum sui licenziamenti e sui contratti a termine produrrebbero cambiamenti immediati e importanti nella vita dei lavoratori, inclusi quelli che lavorano nelle piccole imprese (la gran parte di quelle italiane). Per i datori di lavoro il licenziamento disposto in violazione della legge sarebbe più costoso e si amplierebbero le ipotesi di reintegra. Quanto ai contratti a termine, il loro utilizzo sarebbe circoscritto a situazioni connotate da esigenze produttive oggettive. Chiaramente tutto ciò avrebbe anche un’enorme portata simbolica. L’idea alla base del Job Act (ma, ancor prima, del “pacchetto Treu” e della “legge Maroni”) era che il lavoro fosse un mero costo di produzione, da ridurre al minimo. I referendum puntano a tornare alla concezione del lavoro come diritto: quella della Carta.

da qui

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