Una nuova grande esclusiva per l'AntiDiplomatico. Il grande giornalista statunitense Patrick Lawrence affronta il tema delle elezioni in Romania nel suo spazio "Dentro l'Impero".
Un altro pasticcio politico in Romania, un altro caso di corruzione
elettorale apparente se non provata. Le elezioni presidenziali della scorsa
domenica sono il secondo episodio di questo tipo in sei mesi. Non possiamo
sapere, non ancora e forse mai, come sia possibile che un "centrista"
– secondo la definizione prevalente del termine – abbia vinto alle urne
nonostante fosse in netto svantaggio rispetto al candidato favorito. Ma
possiamo ragionevolmente supporre alcune cose e trarre conclusioni quasi definitive.
Inizio subito con il mio giudizio provvisorio sui risultati delle elezioni
romene di domenica. Se avete prestato attenzione, molto probabilmente avete
assistito a un altro broglio elettorale in un Paese che, dall’era post-Guerra
Fredda, ha cercato senza successo di istituzionalizzare un processo
democratico. Sembra un altro caso di illecito politico da parte di centristi
radicati al potere, e con "centristi" intendo le élite neoliberali
europee e quelle di Bucarest, indifferenti alle preferenze degli elettori, come
dimostrato lo scorso dicembre quando la Corte Costituzionale ha annullato
un’elezione perfettamente valida perché il vincitore non apparteneva alla
cerchia al governo e non condivideva le sue ortodosse priorità, prima fra tutte
la russofobia.
Esistono prove concrete a sostegno di questa valutazione pessimistica dei
risultati di domenica, oltre a un eccesso di indizi circostanziali.
La vittoria dichiarata di Nicusor Dan sparirà dalle prime pagine dei media
occidentali – un fait accompli che non richiede ulteriori
verifiche. Non cediamo a questa manipolazione del silenzio. I dubbi sulla
legittimità del risultato riflettono non solo le difficoltà dei romeni nel
trovare una via d’uscita, ma anche la fragilità delle cosiddette
"post-democrazie" transatlantiche. In un certo senso, siamo tutti
romeni ora.
Dopo il primo turno delle elezioni romene del 4 maggio, l’esito del secondo
turno era quasi scontato, come ricorderanno i lettori. George Simion, definito
dai media occidentali un pericoloso "ultranazionalista", aveva
ottenuto il 41% dei voti contro 10 candidati. Al secondo posto, Nicusor Dan, un
centrista filo-occidentale (sempre e ovunque questo termine), sostenitore
dell’UE e della guerra in Ucraina, con il 21%.
Il panico nei centri di potere occidentali è stato immediato. Il New York
Times del 16 maggio ha pubblicato un articolo intitolato "La Romania sta
per affrontare un disastro", in cui Vladimir Bortun, accademico romeno a
Oxford, scriveva:
"Il peggio deve ancora venire... Simion sembra destinato a diventare
presidente, con il potere di nominare un primo ministro e dirigere la politica
estera. Sarebbe una svolta negativa per la Romania".
Il Financial Times del 10 maggio lo ha etichettato come "hooligan di
calcio" e populista di destra che "sminuisce la minaccia russa e
chiede di fermare gli aiuti a Kiev" – i suoi "peccati mortali".
Non abbiamo già sentito tutto questo?
Il signor Georgescu, squalificato dalla Corte Costituzionale romena a
dicembre con pretesti ridicoli, era un "ultranazionalista". Marine Le
Pen, esclusa dalle elezioni francesi con argomenti legali fragili, è
un’"ultranazionalista". L’AfD in Germania, primo partito nei
sondaggi, viene escluso dal governo per lo stesso motivo.
Sono casi di corruzione politica, in cui le élite neoliberali europee
combattono guerre contro i propri elettori. Simion, erede politico di
Georgescu, critica la NATO e l’UE ma non vi si oppone apertamente. Difende la
sovranità romena e relazioni equilibrate con Occidente e Russia, rifiutando il
sostegno a Kiev.
Dan, al contrario, è un filo-UE, debole sulla sovranità nazionale e
russofobo nel solco neoliberale. Il suo sostegno alla guerra in Ucraina è
centrale per la sua identità politica. Rappresenta le élite che i romeni
disprezzano per la cattiva gestione economica e le politiche estere
anti-popolari.
Nonostante Simion fosse favorito, il risultato ufficiale del secondo turno
lo ha visto perdere con il 46% contro il 54% di Dan. Come sospettarne la
validità? Basta ricordare le elezioni di dicembre: Georgescu, favorito dopo il
primo turno, fu squalificato dalla Corte con la scusa di "campagne social
filo-russe". Simion definì la mossa un "colpo di Stato".
Ora, con Simion in vantaggio del 100% al primo turno, com’è possibile una
sconfitta del 17%? Simion ha denunciato frodi in Moldova, dove un terzo della
popolazione ha doppia cittadinanza romena. Il suo partito ha segnalato un
aumento del 70% dei voti dalla diaspora: "1,7 milioni di voti
manipolati".
Inizialmente, Simion non ha concesso la vittoria a Dan, ma 10 ore dopo ha
accettato "la volontà del popolo". Cosa è successo in quelle ore?
Probabilmente pressioni o accordi occulti.
Intanto, Pavel Durov, fondatore di Telegram, ha rivelato che i servizi
segreti francesi gli hanno chiesto di "censurare i nazionalisti romeni"
prima delle elezioni. Il governo francese ha negato, ma Durov ha citato nomi e
circostanze:
"A maggio, Nicolas Lerner, capo dell’intelligence francese, mi ha
chiesto di bloccare le voci conservatrici in Romania. Ho rifiutato".
Infine, durante il voto, si è tornati a parlare di "interferenze
russe", ma dopo la vittoria di Dan, il silenzio.
Conclusione: il fetore della corruzione in Romania è forte, ma permea anche
l’Occidente. Dalla Germania alla Francia, fino alla demonizzazione di Jeremy
Corbyn nel Regno Unito: "Non siamo tutti romeni ora?"
(Traduzione di Fabrizio Verde)
Nessun commento:
Posta un commento