Ragazzini
che vivono in mezzo alla spazzatura, quasi l’intera giornata chiusi in cella:
questo accade nel carcere minorile di Bologna, che ho visitato
nelle scorse ore insieme a Giulia Fabini, presidente di Antigone
Emilia Romagna.
E non è il
solo in queste condizioni. Il sistema della giustizia minorile è allo sbando e
la colpa è delle scelte politiche che lo hanno guidato negli ultimi tempi: gli
arresti forsennati dovuti al Decreto Caivano del settembre
2023 e il sovraffollamento che ne è conseguito, la cancellazione di ogni
progettualità educativa, gli adolescenti in gabbia privati di ogni sostegno e
speranza. Il direttore dell’istituto bolognese fa il possibile e tampona le
situazioni come può. Che non si cerchi il capro espiatorio in lui, in un
educatore, in un qualsiasi operatore penitenziario: non è da loro che
dipende questo sfacelo.
Ero stata
nel medesimo istituto un anno e mezzo fa e la situazione era completamente
diversa. Oggi il direttore, lasciato troppo solo di fronte alla
situazione precipitata, non può contare su personale sufficiente neanche a
garantire una corretta igiene degli spazi. Quel che abbiamo trovato durante la
nostra visita è indegno. Il corridoio, i refettori, le scale: tutto
è lercio da fare schifo. Muri sporchi di cibo o di chissà cos’altro,
colate di liquidi ripugnanti, bucce di banana, di mandarino, fili elettrici a
vista strappati dal muro, involucri di ogni tipo abbandonati da non so quanto
tempo che nessuno raccoglie, cicche di sigaretta, uno strato di nera polvere
ovunque. Ridotti in questo stato, i refettori non sono più utilizzati per mangiare
insieme e anche durante i pasti i ragazzi restano in cella.
Dentro la
sezione dei minorenni, ci siamo affacciate a una cella in fondo al corridoio.
Ospitava quattro ragazzini stranieri, diciassettenni. Capivano poco, sia le
nostre parole che la situazione generale. Nella stanza c’erano quattro brande e
una televisione. Niente di più. Non un tavolino, non una sedia. In
compenso, montagne di spazzatura. Un cumulo si trovava sulla
destra, composto da bioccoli di polvere nera, spessa, lanosa. I ragazzi la raccoglievano
con la spazzola di una scopa priva di manico. Carponi, afferrandola con
entrambe le mani, concentravano in quel punto il sudicio che a mano a mano si
riformava sul pavimento. Non avevano una paletta per raccoglierlo.
Semplicemente, lo vedevano crescere giorno dopo giorno. Sulla sinistra c’era un
altro cumulo, di diversa natura. Era composto da bottigliette di plastica
vuote, incarti di biscotti o di merendine, cartacce. Non avevano un cestino
dove buttarle. Le pareti, il pavimento, tutto era vuoto e lurido.
Ho chiesto ai ragazzi perché non pulissero la stanza. Mi hanno risposto che non avevano detersivo, non avevano straccio. I bastoni della scopa sono un bene prezioso: i ragazzi ci costruiscono dei pesi rudimentali, legando ai lati bottiglie di plastica piene d’acqua o cose simili, per fare un po’ di allenamento fisico. Nessuno gli fornisce gli attrezzi. I bastoni finiscono per rompersi e quindi è meglio non lasciarglieli. Ma non era questa la loro priorità. Uno dei ragazzi che parlava un po’ meglio la nostra lingua ci ha spiegato di cosa avessero bisogno. La televisione, unica compagnia delle loro lunghe giornate, era fissa sul canale 29. La programmazione era per loro scarsa e dall’apparecchio non si poteva cambiare canale. I telecomandi sono a pagamento e loro non avevano soldi. Ci hanno ripetuto più volte la parola ‘sussidio’, senza che inizialmente capissimo a cosa volevano riferirsi. Poi abbiamo capito: era stato detto loro di aspettare che arrivassero i sussidi, a volte in carcere accade, piccole somme che sono consegnate ai detenuti bisognosi. Così avrebbero potuto comprarsi un telecomando. Ma questi sussidi non arrivavano e intanto i ragazzi stavano buttati sulle brande, circondati di immondizia, a guardare il solo canale 29.
Pensavo non
si potesse incontrare di peggio in un carcere minorile. Ma mi sbagliavo. Dalla
parte opposta del corridoio, speculare, nell’angolo estremo visibile solo a chi
appositamente sceglieva di recarsi fin lì, abbiamo incontrato la
situazione più indecente. Indegna. Drammatica. Della quale come
paese dovremmo tutti vergognarci. Un ragazzino, anche lui di 17
anni, con evidenti problemi psichiatrici, chiuso da solo in
una cella poco più grande di uno sgabuzzino, ridotta come potrebbe essere una
casa abbandonata da un decennio e ormai in rovina. I vetri della finestra erano
rotti, l’unico arredo era un letto con materasso, senza lenzuola e con una
coperta fetida. Il pavimento era bagnato da pozzanghere di
acqua sporca che filtrava fin fuori sul corridoio. Lui era in piedi con le
scarpe nell’acqua. C’era spazzatura ovunque, unica compagnia per quel ragazzo
(non aveva neanche la tv, neanche un singolo canale, perché l’ultima l’aveva
rotta in un gesto di rabbia) che ci chiedeva di poter fare una doccia.
Sporgendosi
tra le sbarre si intravedeva il bagno scassato e una turca inondata da rifiuti.
Abbiamo chiesto ai ragazzi della cella più vicina se sapessero qualcosa di lui.
Ci hanno risposto che non lo incontrano mai, che non esce mai, che
solo la notte lo sentono parlare ad alta voce e lamentarsi. Un ragazzino del
tutto incompatibile con il carcere, che non dovrebbe trovarsi lì, per il quale
è nostro dovere attivare percorsi di presa in carico che possano dargli una
prospettiva di vita.
Vi ho
raccontato un singolo carcere che ne rappresenta anche altri (per fortuna non
tutti). A pochi chilometri da lì, l’indecenza di una sezione minorile aperta
all’interno di un carcere per adulti, quello della Dozza. Il
sistema della giustizia minorile è al collasso. Un sistema che per decenni era
considerato un modello dall’intera Europa è stato distrutto. Là
dove prima si spiegava, si insegnavano i valori, si davano gli strumenti per
riprendere in mano la propria vita, oggi si è perso ogni senso del nostro
ruolo, non si agisce secondo alcuna consapevolezza di cosa ci stiamo a fare in
quelle carceri come società. Quando va bene si fa un po’ di scuola, quando va
benissimo si fa qualche laboratorio. Per il resto si chiudono le celle e si
interrompe ogni dialogo.
I ragazzi,
fatti vivere nel degrado più assoluto, crederanno di essere anche loro degradati.
Crederanno di non avere più nulla da perdere e di non meritare nulla. Neanche
un po’ di detersivo per pulire il pavimento. Crederanno di essere spazzatura,
come quella nella quale li facciamo vivere.
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