La destra ha deciso di sabotare i cinque referendum abrogativi dell’8 e del 9 giugno. Di questi referendum i giornali non parlano, su di essi le televisioni non informano, i dibattiti pubblici li ignorano. L’obiettivo delle destre è il loro fallimento. Il successo dei referendum dipende infatti dal raggiungimento del quorum, cioè dal fatto che vada a votare almeno la metà degli elettori. La destra punta sull’astensionismo, sull’apatia, sull’egoismo, sull’indifferenza morale, sul disimpegno civile, sul disinteresse politico delle persone per problemi che direttamente non le riguardano.
Eppure si
tratta di cinque quesiti la cui condivisione è una scelta di civiltà.
Sono tutti quesiti sull’uguaglianza, o meglio sulla riduzione delle
disuguaglianze e delle discriminazioni. Il referendum sull’abbassamento da 10 a
5 anni del tempo di residenza legale in Italia necessario a ottenere la
cittadinanza, vale a ridurre le disuguaglianze formali, di status, abbreviando
i tempi nei quali i migranti sono non-persone, esclusi anziché inclusi nella
nostra società. È un referendum contro il razzismo, contro
l’esclusione, contro le paure, contro le diffidenze e le ossessioni
identitarie, sulle quali le nostre destre hanno speculato, ottenendo
consenso alle loro politiche disumane e così abbassando il senso morale
dell’intera società.
I referendum
sul lavoro, per la cui promozione dobbiamo essere grati soprattutto alla
Cgil, sono diretti a ridurre le disuguaglianze sostanziali tra i
lavoratori generate dalla precarietà e dalla potestà di licenziare. Sono
referendum contro l’arbitrio, per la sicurezza contro gli infortuni e a
sostegno della dignità del lavoro. Sono contro leggi che hanno distrutto l’uguaglianza
nei diritti dei lavoratori, e con essa la solidarietà sulla quale si basava la
soggettività politica del movimento operaio. Privando i lavoratori dei loro
diritti e mettendoli in concorrenza tra loro, queste leggi hanno
ridotto i lavoratori a merci. Hanno ribaltato la direzione del conflitto
sociale: non più verso l’alto, ma verso il basso, nei confronti dei migranti e
dei devianti di strada; non più contro le disuguaglianze ma contro le
differenze – di nazionalità, di religione, di sesso, di condizioni economiche e
sociali.
Sono tutti,
questi referendum, altrettanti quesiti sul nostro grado di adesione e di condivisione
della nostra Costituzione. Giacché tutti sono a sostegno dei fondamenti
della Repubblica scritti nei primi articoli della nostra carta costituzionale:
il lavoro, la dignità, l’uguaglianza di tutte le persone solo perché
tali, siano esse migranti o lavoratori. Soprattutto, questi referendum
abrogativi non equivalgono a una qualsiasi votazione. Con essi non ci si limita
a votare su chi ci governerà. Il voto nei referendum non equivale a una delega,
ma a una concreta decisione destinata a migliorare la vita di milioni di
persone. Rispondendo “Sì” ai quesiti referendari, i cittadini decidono,
direttamente e personalmente, su questioni di fondo. Operano una
scelta per l’uguaglianza e contro il razzismo, le discriminazioni e lo
sfruttamento. Fanno un passo nel senso dell’attuazione della nostra Costituzione.
Difendono, con la dignità di migranti e lavoratori, la dignità di tutti noi.
Per questo è
necessaria una mobilitazione dell’intero elettorato democratico diretto a
indurre la maggioranza della popolazione ad andare a votare. Per questo, al silenzio-stampa
e alla disinformazione con cui le destre intendono far fallire i referendum, è
giusto opporre una risposta civile e di sicuro impatto mediatico. Tutti
gli esponenti dell’opposizione – dal partito democratico ai Cinque Stelle, da
Alleanza Verdi e Sinistra ai centristi antifascisti – tutte le volte che, in
occasione dei telegiornali, vengono interpellati sulle svariate questioni del
giorno, dovrebbero utilizzare questi brevi spazi di comunicazione per invitare
le persone ad andare a votare. Dovrebbero trasformare le battute rituali e
inutili, che sono loro richieste, in informazioni sui contenuti dei referendum
e in inviti ad andare a votare. Dovrebbero farlo in maniera apertamente
provocatoria, ostentando la totale incongruenza di questi inviti con la
questione sulla quale, volta a volta, vengono interpellati. Proprio perché la
destra controlla la Rai e gran parte della stampa, proprio perché punta
sull’ignoranza e la disinformazione, è necessario che quanti vengono intervistati
su qualunque problema mostrino di voler far uso dei brevi spazi di
comunicazione loro concessi per dire: «L’8 e il 9 giugno andate a votare
nei referendum».
Un successo
di questi referendum abrogativi equivarrebbe a un risveglio della ragione e,
soprattutto, della coscienza democratica del nostro paese. Varrebbe a bocciare
non solo le pessime leggi sottoposte ai quesiti referendari, ma l’intera
politica di questo governo, illiberale e antisociale, e la sua penosa
istigazione all’astensione e al qualunquismo. Rifonderebbe la fiducia
nella democrazia. Restituirebbe vigore e vitalità alle nostre malandate
istituzioni. Suonerebbe come un appello all’unità delle forze di opposizione e
a un atto radicale di sfiducia popolare, e virtualmente di sfratto, nei
confronti di questa destra al governo. È un’occasione storica
irripetibile: la possibilità di una svolta, di un’inversione di rotta della
nostra politica. Spetta a tutti noi non perdere questa occasione.
L’articolo è stato pubblicato anche
su il manifesto
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