Circa un italiano su dieci non sa che tra poche settimane, l’8 e 9 giugno, si svolgerà un referendum su lavoro e cittadinanza. Altri quattro su dieci sanno che si voterà, ma non sanno bene su cosa. Solo la metà della popolazione si ritiene informata. È quello che emerge da un sondaggio Demos, che dimostra la difficoltà di raggiungere il quorum.
Mancano tre
settimane al voto per i referendum su cittadinanza e lavoro. I cinque quesiti
sono al centro della polemica politica da tempo, non tanto per il merito dei
quesiti (quello sulla cittadinanza accorcerebbe i tempi per diventare italiani
da dieci a cinque anni, quelli sul lavoro porterebbero diversi interventi su
precariato, subappalti e altri temi), ma soprattutto perché il centrodestra ha
cercato di oscurare l’iniziativa.
Non è un
mistero che la maggioranza di governo e persino il presidente del Senato La
Russa si siano schierati per il non voto, al punto da suscitare la reazione
delle opposizioni e della Cgil, che manifesteranno lunedì 19 maggio a Roma. In più,
c’è la questione della scarsa copertura dei referendum da parte della Rai. Ma
cosa dicono i numeri sulla possibile affluenza al referendum?
Quante
persone sanno che ci sarà un referendum su cittadinanza e lavoro
Un nuovo sondaggio realizzato da Demos per Repubblica riporta quanti cittadini
sanno che esiste un referendum, e quanti si sentono informati a riguardo. È
emerso che quasi un italiano su dieci, il 9% di chi ha risposto alla
rilevazione, non sapeva che si voterà a giugno.
Referendum,
la Cgil lancia la manifestazione contro l’astensionismo: in piazza il 19 maggio
Questo potrebbe essere un dato positivo: significa che il 91% degli elettori,
invece, sa del referendum. Ma c’è un’altra distinzione da fare. Quella tra chi
dice di sentirsi informato su cosa si voterà, e chi invece no: magari ha
sentito parlare del referendum, ha visto un accenno sui social o in tv per
esempio, ma non sa davvero di cosa si tratta.
Solo il 52%
dei rispondenti dice di sentirsi informato sul referendum. Un altro 39% invece (quasi
quattro su dieci) dice di sapere che esiste e poco più. Non esattamente un dato
incoraggiante per i promotori del voto, che per ottenere il quorum dovranno
convincere il 50% più uno degli elettori ad andare alle urne. Solo a quel punto
partirebbe la conta dei voti, e potrebbe vincere il Sì oppure il No. In caso
contrario, l’intera votazione sarà semplicemente dichiarata non valida.
Le
previsioni sull’affluenza: quanti andranno a votare
Dunque solo
il 52% degli elettori si sente informato sul referendum. Certo, questo
significa che se tutti quanti andassero a votare il quorum sarebbe raggiunto.
Ma non è così semplice: essere informati sul voto non significa essere disposti
ad andare alle urne. O perché si vogliono seguire le indicazioni del centrodestra,
che ha chiesto di non votare, o perché non si ritiene importante la questione,
o perché per altri motivi non si è interessati a esercitare il diritto di voto.
Finora
sull’effettiva intenzione di recarsi ai seggi sono stati fatti due sondaggi
nazionali. A distanza di pochi giorni, entrambi hanno dato sostanzialmente lo
stesso risultato. Ipsos il 10 maggio ha stimato una percentuale tra il 32% e il
38%, anche se in quella rilevazione la percentuale di italiani che diceva di
non sapere che ci fosse un referendum era addirittura al 38%. Il 13 maggio, Swg
ha invece calcolato che il 32-36% dei cittadini era disposto al voto.
Mancano tre
settimane e l’obiettivo per i promotori del referendum è complesso: guadagnare
almeno un 10-15%, ma forse anche un 20%, di affluenza. Sicuramente da qui al
momento del voto gli impegni si moltiplicheranno, mentre continuerà la
pressione politica per fare sì che anche la televisione pubblica dia il giusto
livello di informazione a riguardo.
Su cosa si
vota nei referendum, in breve
Come detto,
il quesito sulla cittadinanza interviene per rendere un po’ più breve l’iter
per diventare italiani. Invece di dieci anni di residenza nel Paese, i
cittadini stranieri dovrebbero aspettarne ‘solo’ cinque. Sul lavoro invece il
primo quesito cancella una parte del Jobs Act per tornare in parte all’articolo
18 dello Statuto dei lavoratori, quindi al reintegro dei lavoratori licenziati
senza giustificato motivo (nei casi più gravi).
Il secondo
aumenta il risarcimento per i dipendenti licenziati ingiustamente dalle piccole
imprese. Il terzo quesito renderebbe obbligatorio motivare sempre i contratti a
tempo determinato, fin dall’inizio, senza la possibilità di usarli
semplicemente come alternativa più economica ai posti fissi. E infine il quarto
quesito aumenterebbe le responsabilità delle aziende committenti nei cantieri,
che non potrebbero scaricare tutto sui subappalti, e così darebbe maggiori
tutele ai lavoratori.
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