È un tempo nero per la libertà accademica. In Turchia il governo ritira la laurea al sindaco di Istanbul, bloccando la sua candidatura alla presidenza. Negli Stati Uniti, Columbia e Harvard cedono ai ricatti di Trump, determinato a ridurre le università americane alla servitù in cui languono quelle ungheresi. In Italia qualcuno fiuta il vento che tira, e si allinea anche prima che le riforme incubate dal governo Meloni obblighino a farlo. È ciò che pare dimostrare il caso Mattei, inteso come Ugo. Professore ordinario di Diritto civile all’Università di Torino, questi aveva chiesto e ottenuto un’aula per proiettare il noto documentario Maidan. La strada verso la guerra prodotto dall’emittente di stato russa “Russia Today”, e quindi discuterlo, di fronte a studentesse e studenti, insieme ai colleghi Paolo Cappellini, ordinario di Storia del diritto medioevale e moderno dell’Università degli Studi di Firenze e Pasquale de Sena, ordinario di Diritto internazionale all’Università di Palermo.
Una normalissima attività didattica che ai vertici
dell’ateneo invece deve essere apparsa pericolosamente sovversiva, e in odore
di tradimento del fronte occidentale: tanto che il rettore ha disposto che
fosse ritirata la concessione dell’aula e impedito il seminario, spiegando che
«con questa decisione, l’Università di Torino si trova in linea con la Città di
Torino e con le altre prestigiose Università italiane che, in analoga
situazione, hanno ottemperato a quanto disposto dal Regolamento UE 2022/350 e
dalle successive modifiche, che vietano esplicitamente la promozione,
trasmissione e pubblicità dei contenuti di Russia Today. Gli esperti consultati
confermano che “Maidan: la strada verso la guerra” rientra in questa
fattispecie».
Affermazioni davvero lunari di una università che indossa
l’elmetto e dimentica la sua stessa ragione d’essere, oltreché la sua solidità
razionale e scientifica: e non solo perché la norma europea (a sua volta di
dubbia legittimità) impedisce il ‘broadcasting’ di simile produzione, e non
certo la sua proiezione in ambito scientifico. Ma soprattutto perché «l’arte
e la scienza sono libere, e libero ne è l’insegnamento» (art. 33
Cost.), e le autorità accademiche esistono perché questa libertà sia
scrupolosamente rispettata, non certo per negarla.
Né vale, ovviamente, l’invocazione tipicamente mediatica (ma in queste ore
risuonata anche in ambienti accademici) ad un caricaturale rispetto di un
‘pluralismo’ inteso come necessità di avere in ogni circostanza due (e perché
non tre, o più?) pareri diversi, essendo inconferente all’attività scientifica,
che non mira alla persuasione ma alla conoscenza critica: sicché un corso sulla
mafia non richiederà la presenza di un mafioso, uno sul femminicidio di un
assassino, uno sul fascismo del presidente del Senato, e così via. Ancora
più inquietante il responso del Tar piemontese, di fronte al quale il
professor Ugo Mattei aveva impugnato il provvedimento rettorale di revoca
dell’aula, e che ha negato la sospensione dell’atto perché non vi sarebbe
«evidenza né della lesione della libertà di insegnamento del ricorrente,
docente di diritto civile, trattandosi di documentario estraneo a insegnamenti
giuridici, né di un pregiudizio per la popolazione studentesca, tenuto conto
che “la Federazione russa attua una sistematica campagna internazionale di
manipolazione dei media e di distorsione dei fatti, nell’intento di rafforzare
la sua strategia di destabilizzazione dei paesi limitrofi e dell’Unione e dei
suoi Stati membri” (considerando n. 6 del Regolamento n. 2022/350/UE)».
Se la libertà accademica andrà d’ora in poi misurata in questo modo, addio
alla Costituzione: a me, ordinario di Storia dell’arte moderna, potrà essere negata la
proiezione di un documentario sulla Guerra dei Trent’anni perché estraneo ad
insegnamenti artistici, o di un cinegiornale Luce sulla visita di Hitler a
Villa Borghese perché fuori dai termini cronologici della disciplina… È
ovvio che il Tar avrebbe dovuto esprimersi sulla libertà accademica, non
sindacare le scelte di quest’ultima: così, invece, non ha fatto che
aggiungere violazione a violazione. Quanto al bene degli studenti (che può
essere deciso solo dai docenti…) e ai regolamenti UE, chissà se i giudici
amministrativi piemontesi hanno mai letto l’articolo 13 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europa, che stabilisce che «le arti e la ricerca
scientifica sono libere. La libertà accademica è rispettata».
E chissà se il rettore torinese sa che nei corsi di storia si legge Mein
Kampf, in quelli di criminologia hanno larga parte i serial killer, in
quelli di diritto costituzionale si raccontano nei dettagli i colpi di Stato,
in quelli di relazioni internazionali si proiettano interviste a Putin… Se
davvero vogliamo difendere un’idea e una prassi di libertà universitaria, sarà
il caso di ricordarsi cosa sia e di praticarla senza autocensure: che, oltre ad
essere grottesche, diventano oggi anche assai pericolose.
(Pubblicato su Il Fatto Quotidiano il 7.4.2025)
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