Campane a morto per la Boeing? Le risultanze del rapporto preliminare sul recente disastro del 737 Max-8, rese note ieri dal governo etiopico, rafforzano i dubbi di coloro (tutti) che avevano deciso di lasciare a terra a tempo indeterminato questo tipo di aereo. Ma c’è di più. Già circolano “strane voci” sul comportamento dell’Amministrazione Trump, che (forse) potrebbe avere influito (indirettamente?) sulla “certificazione” di questo aereo da parte della FAA (Federal Aviation Administration). Lo ha affermato ieri Chris Isidore (CNN Business), scoprendo a modo suo degli altarini abbastanza inquietanti.
Il giornalista dice,
senza peli sulla lingua, che “i procuratori del Ministero della Giustizia Usa
avrebbero già formulato ipotesi di reato nell’ambito dell’inchiesta che tende
ad accertare la certificazione e la commercializzazione del 737 Max-8”. Non
solo, si sarebbe mossa anche la Ministra dei Trasporti, Elaine Chao, per
chiedere indagini approfondite sull’argomento. Che sta prendendo una piega
sgradevole. E pure il Congresso tuona. Sono già cominciate le audizioni ed è
stata annunciata un’inchiesta (che si preannuncia pepata) sulle relazioni
esistenti tra “il training inadeguato dei piloti e la certificazione di
“aviation safety”.
Insomma,
l’Amministrazione Trump potrebbe essere tirata dentro questa storia di mala
maniera. Ora tutti vogliono sapere se c’è dentro fino al collo. Isidore nel suo
articolo parla di “streamlined approval for 737 Max” (cioè un’approvazione a
‘tiro di palla’ per l’aereo) che, fa capire, avrebbe consentito di uscire dalle
pastoie burocratiche senza perdere troppo tempo. E cita addirittura il gran
capo della Boeing, Dennis Mullenberg, che parlando a Wall Street il 26 aprile
2017, ha pubblicamente ringraziato la Federal Aviation Administration (per la
rapida certificazione) e la “nuova filosofia commerciale” ispirata da Trump.
Insomma, il doppio crash
(in Indonesia e in Etiopia) del nuovissimo aereo sta offrendo ai giornali di
tutto il mondo erba per cento cavalli. Ma torniamo al “preliminary report” che
ieri ha aperto le edizioni di tutti i principali telegiornali del pianeta. In
pratica, il Ministro dei Trasporti di Addis Abeba, Dagmawit Moges, ha
indirettamente confermato i dubbi espressi nei nostri precedenti articoli: i
quasi certi difetti “strutturali” del software installato nei computer di
bordo, hanno scatenato una catena di eventi che poi ha condotto alla
catastrofe. Ma la dichiarazione più “tranchant” di Moges è che le prime
risultanze indicano come i piloti, vistisi persi, avrebbero attuato tutte le
raccomandazioni emesse dalla Boeing in occasione del precedente schianto di un
velivolo analogo, in Indonesia.
Certo, a fronte di com’è
finita, sembra di capire che il “warning” del gigante industriale statunitense
non sia proprio servito a niente. Ergo: al posto di emettere un “aggiornamento”
per i piloti su come comportarsi in casi di emergenza specifici, non era meglio
evitare la possibilità che l’emergenza stessa scattasse? Come? Mettendo subito
a terra tutti gli aerei dopo lo schianto di Giakarta (lo scorso ottobre) e
imponendo ai propri ingegneri una completa revisione dei “software” di bordo.
Semplice no? Mica tanto. Gli esperti dicono che una decisione del genere
avrebbe riguardato tutti i 5 mila (dicasi 5 mila) aerei già ordinati in tutto
il pianeta, praticamente arrestando il ciclo delle costruzioni e delle
consegne.
La CNN ha scritto che
l’azienda di Seattle sta lavorando all’aggiornamento del software, per pararsi
la botta, dato che tutti i 371 aerei “Max-8” già attivi sono stati fermati.
Naturalmente, alla Boeing non si vivono giorni felici. Il gigante Usa l’anno
scorso ha fatturato la bellezza di 101 miliardi di dollari, con un utile netto
di 10 miliardi. In precedenza, l’azienda aveva vissuto periodi neri all’epoca
degli attentati alle Torri Gemelle (per un effetto-domino che potremmo definire
di “dissonanza cognitiva” o, più semplicemente, “paura di volare”) e nel caso
dei problemi (con le batterie al litio) verificatisi sui 787 “Dreamliner” nel
2013.
Un altro ciclo negativo
fu quello vissuto, alla metà degli Anni ’60, dal 727. Ma, in quel caso, le
difficoltà si fermarono all’addestramento dei piloti, non proprio a loro agio a
volare con un trimotore. Ora bisognerà vedere se il “Final Report” etiopico
confermerà le prime risultanze di quello preliminare. E, in particolare, se i
piloti hanno veramente seguito alla lettera le istruzioni della Boeing su come
agire in caso di emergenza. Sembra essere questo l’ultimo asso che resta nella
manica del gigante industriale di Seattle. Il rapporto preliminare del “crash”
verificatosi in Indonesia, parla di “diverse concause” strumentali, a
cominciare da una “failure” dei sensori di velocità.
Sensori che, a catena,
hanno ingannato il computer, inducendolo a “ordinare” una continua emergenza
dell’anti-stalling. Quest’ultimo avrebbe portato il velivolo a scendere in
picchiata (per guadagnare velocità). I piloti, poi, non sarebbero riusciti (per
ben 20 volte) a tamponare manualmente gli errori del sistema automatico.
Schiantandosi. E qui sta tutto l’inghippo. Perché i piloti non sono stati in
grado di controllare manualmente il Boeing? “Rumors” provenienti dall’ambiente
di chi quotidianamente guida questi aerei dicono che potrebbe esserci stata una
disgraziatissima catena di errori, Prima i sensori, poi il computer e infine i
piloti (forse, ma sembra di no).
In sostanza, nelle foto
che abbiamo esibito in esclusiva e che mostrano le parti “incriminate” della
“cockpit” (la cabina di pilotaggio) di un 737 Max-8, si vedono la cloche e in
un altro angolo dei quadri di comando, due bottoni (trim dello stabilizzatore),
che servono a disinserire definitivamente il pilota automatico, impedendogli di
continuare a interferire col volo manuale. Se i piloti premono solo il bottone
che si vede a destra della cloche, il pilota automatico torna a reinserirsi,
perché i sensori gli danno informazioni sbagliate. Così il volo manuale diventa
pressoché impossibile e l’aereo avanza col naso che s’impenna e si abbassa. Ma
ogni volta tende sempre di più a picchiare, fino a quando non si schianta.
Se questo gioco al
massacro si verifica al di sotto dei 6 mila piedi (circa 1.800 metri di
altezza) i tempi di reazione sono minimi e ci vuole un vero miracolo per riportare
l’aereo in quota solo “a mano”. E’ successo tutto questo anche sul volo
dell’Ethiopian Air Lines? E’ troppo presto per dirlo. Certo, i sospetti ci
sono. A novembre scorso (dopo il disastro indonesiano) la Boeing emise un
“advisory” urgente per spiegare ai piloti cosa fare nel caso si fosse
verificata questa emergenza. Ci risulta che molti equipaggi siano anche stati
“riaddestrati” al simulatore. Questa riqualificazione è stata fatta da tutte le
compagnie?
Non lo sappiamo. Di
sicuro le scatole nere che sono state sbobinate ci diranno molto di più, quando
sarà disponibile il Rapporto definitivo. E, soprattutto, potranno indicare in
maniera più precisa un fatto inequivocabile: forse era meglio reimpostare tutto
il software.
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