Ramallah, Cisgiordania. In Israele ci
saranno le elezioni martedì, e le comunità palestinesi nei territori
occupati non le stanno seguendo con molto interesse. Non perché chiunque
venga eletto non avrà un grande impatto sulle nostre vite. È perché nessuno dei candidati di punta ha un programma per la pace. I principali
contendenti si sono impegnati a mantenere gli insediamenti ebraici illegali
costruiti in Cisgiordania. Non cercano la fine dell’occupazione.
Israele non ha formalmente annesso la
Cisgiordania o la Striscia di Gaza, ma spadroneggia su queste terre come un
potere sovrano. O peggio. Ha sequestrato le entrate fiscali all’Autorità Palestinese, che dovrebbe amministrare la
Cisgiordania; tiene Gaza sotto assedio. Ordina che noi, i Palestinesi, possiamo
solo guardare restando a casa i risultati di un’elezione il cui esito governerà
le nostre vite e il futuro della nostra terra. Gli Ebrei israeliani che vivono
in Cisgiordania sono cittadini, ma noi non lo siamo. Loro potranno entrare in
Israele per votare. Noi no.
Durante le ultime elezioni israeliane,
nel 2015, scrissi che i Palestinesi erano diventati
meno interessati al risultato di quella competizione che alla prospettiva di
intentare varie cause legali internazionali. Per quanto mi riguarda, avevo
affidato le mie speranze alla preparazione di diversi reclami da portare
davanti alla Corte Penale Internazionale dell’Aja. Uno di questi avrebbe
impugnato la costruzione degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. Non
mancavano le prove, pensavo, e il trasferimento di civili da parte di un
governo nei territori che occupa è una grave violazione della Quarta
Convenzione di Ginevra del 1949.
Adesso penso: lasciamo stare il valore
di cause di questo tipo. Con il governo degli USA che minaccia di rifiutare il visto al personale della Corte (questo, in
relazione ad un altro caso che ha a che fare con sospetti crimini in
Afghanistan) abbiamo davvero poche probabilità di successo.
Lo scorso mese l’amministrazione Trump
ha anche riconosciuto la sovranità di Israele sulle Alture del
Golan, territorio conteso che Israele ha sottratto con la forza alla Siria nel
1967. Ciò può solo incoraggiare Israele a realizzare prima o poi la formale
annessione della Cisgiordania.
Israele, in parte grazie al supporto da
parte degli USA, appare ora impunemente vincitore su tutti i fronti. E noi
Palestinesi sembriamo troppo deboli per fermarlo.
Gli Israeliani, dal canto loro, sembrano
vivere sotto l’illusione diffusa dal loro primo ministro, Benjamin Netanyahu,
che il loro governo possa governare il conflitto, anzi, che in realtà non ci
sia nessun bisogno di risolverlo. Tuttavia nell’arco di tempo del governo
Netanyahu la situazione è passata da deprimente ad ancora più deprimente, da
tempi bui a tempi più bui, da una qualche forma di speranza alla disperazione.
Eppure, a questo punto, forse sarebbe
meglio per noi se la situazione fosse ancora più buia, forse quello è l’unico
modo per uscirne. La mia unica consolazione nel guardare Israele percorrere la
sua strada è pensare che sta danneggiando anche se stesso.
Consideriamo questi tre esempi:
·
La violenza da parte dei coloni ebrei e degli attivisti della destra contro
i Palestinesi in Cisgiordania è più che triplicata lo scorso anno,
rispetto al 2017.
·
Una famiglia israeliana ha costruito una casa su terra sottratta ai
Palestinesi, e poi ha cercato di affittarla su Airbnb. Quando la compagnia
si è rifiutata, citando la nuova politica, annunciata lo scorso anno, contro la
pubblicità di case che si trovano nelle colonie, la famiglia ha intentato una causa per discriminazione negli USA. (La famiglia
palestinese sta a sua volta ricorrendo).
·
La scorsa settimana una famiglia vicino al villaggio di Hizma, a nord di
Gerusalemme, la cui casa si trova in un insediamento israeliano, ha scelto di
distruggere la casa che possedeva da più di tre decenni piuttosto che pagare le
autorità israeliane per fare quel lavoro (e venire anche multati).
Non è che ad un certo punto anche la
società israeliana si accorgerà degli atroci effetti della disumanità del suo
governo verso di noi?
Nel romanzo di Arundhati Roy, Il
ministero della suprema felicità, uno dei suoi personaggi, Musa, dice
che se gli abitanti del Kashmir non sono riusciti ad ottenere l’indipendenza
dall’India, almeno nella lotta per essa hanno svelato la corruzione del sistema
indiano. Musa dice al narratore del libro, un Indiano: “Voi non ci state
distruggendo. Voi ci state costruendo. È voi stessi che state distruggendo”. I
Palestinesi oggi potrebbero dire lo stesso della nostra lotta con Israele.
Raja Shehadeh è avvocato e autore di “Dove è tracciata la linea: Una storia
di incroci, amicizie e cinquanta anni di occupazione in Israele-Palestina.”
Traduzione di Rossella Rossetto
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