L’apartheid
esiste ancora ed è vivo, vegeto e prospero nella Palestina occupata. I
palestinesi lo sanno. I sudafricani lo sanno. Molti israeliani lo hanno
accettato come parte del loro dibattito politico. Gli americani ci stanno
facendo i conti ora con l’emergere di nuove voci nel Congresso e nelle ONG,
come “Jewish Voice for Peace” [Voci Ebraiche per la Pace, associazione di ebrei
statunitensi contro l’occupazione, ndt.], che non hanno paura di chiamarlo
apertamente così.
Soltanto in Europa si osserva un’ostinata
negazione dell’apartheid di Israele verso i palestinesi, nonostante le prove a
sua conferma siano schiaccianti.
Le restrizioni da parte di Israele della libertà di movimento nel
territorio occupato della Palestina sono un revival dei tanto odiati divieti di
passaggio in Sudafrica, leggi che proibivano ai sudafricani neri senza permesso
di stare in una città “bianca”. Le politiche di Israele sulla rimozione forzata
della popolazione e la distruzione dei centri abitati assomiglia molto alla
storia della ricollocazione delle persone di colore allontanate dalle aree
destinate alla sola occupazione dei bianchi nel Sudafrica dell’apartheid.
Le forze dell’ordine israeliane operano brutalità e torture che vanno anche
oltre le peggiori pratiche dell’apparato di sicurezza sudafricano.
L’umiliazione delle persone di colore che era il fulcro dell’apartheid
sudafricano è replicata fedelmente in Palestina.
La retorica razzista nel dibattito
pubblico israeliano offende persino chi conosce bene il tipo di linguaggio
dell’apartheid in Sudafrica. La propaganda di crudo razzismo
che ha caratterizzato la recente campagna elettorale in Israele non ha
precedenti neanche in Sudafrica.
Certo ci sono delle differenze, perché i due
territori hanno condizioni storiche, religiose, geografiche e demografiche
differenti, ma entrambi i casi rientrano nella definizione universale di
apartheid. Nel diritto internazionale, l’apartheid è un tipo di regime di
discriminazione razziale istituzionalizzata e legalizzata sancito dallo Stato,
nonché di oppressione di un gruppo razziale egemonico sull’altro.
Sotto certi aspetti l’apartheid del
Sudafrica era peggiore, mentre sotto altri è peggiore quello israeliano nella
Palestina occupata. Per certo, l’applicazione dell’apartheid nella Palestina
occupata da parte di Israele ha un carattere più militarista e brutale.
L’apartheid in Sudafrica non ha mai imposto un blocco su una comunità nera né
ha metodicamente ucciso gli oppositori come sta attualmente facendo Israele
lungo la frontiera di Gaza.
Sono fatti ben noti: chiunque legga i giornali non è all’oscuro della
repressione inflitta al popolo palestinese da parte dell’esercito d’occupazione
israeliano e dei coloni ebrei. È noto a tutti che i differenti sistemi legali
per i coloni e per i palestinesi hanno creato un regime di status legali
segregati e assolutamente disuguali.
Come mai dunque l’Europa nega
ostinatamente l’esistenza dell’apartheid nella Palestina occupata?Perché si continua a
fare affari con Israele come se niente fosse? Perché l’Eurovision Song Contest
si terrà a Tel Aviv? Perché l’Europa vende armi e intrattiene rapporti
commerciali con Israele, persino con le colonie illegali? Perché mantiene
rapporti culturali e accademici? Come mai Israele non è soggetta al tipo di
ostracismo che fu applicato ai tempi in Sudafrica e alle istituzioni
sudafricane bianche conniventi?
Come mai le sanzioni a condanna dell’apartheid in Sudafrica furono adottate
dai governi europei mentre si prendono provvedimenti volti a criminalizzare il
movimento nonviolento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni
(BDS) che cerca di assicurare pace, giustizia e uguaglianza per i palestinesi?
Ci sono tre spiegazioni per risolvere l’enigma.
Per prima cosa, in molti Stati europei le lobby filoisraeliane sono potenti
esattamente quanto negli Stati Uniti, ma senza lo stesso grado di visibilità.
Il secondo fattore è il senso di colpa per
l’Olocausto. Le politiche di alcuni Paesi come l’Olanda verso Israele sono ancora
condizionate dal senso di colpa per non aver fatto abbastanza per salvare gli
ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Ultimo, ma il più importante di tutti,
esiste la paura di essere classificati come antisemiti. Promosso e
manipolato da Israele e dalle sue lobby, il concetto di antisemitismo è stato
esteso fino a includere non solo l’odio verso gli ebrei, ma anche la critica
verso l’apartheid israeliano.
Nel caso del Sudafrica, il presidente PW
Botha era odiato perché applicava l’apartheid, non perché era un afrikaner [comunità bianca
sudafricana di origine olandese e protestante, ndt.]. Potrebbe sembrare
scontato che allo stesso modo molti possano odiare il primo ministro israeliano
Benjamin Netanyahu perché applica l’apartheid, e non in quanto ebreo, ma questa
linea di demarcazione è assai sottile in Europa, tanto da diventare pericoloso
e poco saggio criticare Israele.
In Europa, criticare l’apartheid in
Sudafrica era una causa popolare. Il movimento anti-apartheid, che faceva pressioni
per il boicottaggio delle esportazioni sudafricane, degli scambi commerciali,
sportivi, artistici e accademici, era incoraggiato e non
assoggettato ad alcuna restrizione. I governi imposero svariati
tipi di sanzioni, incluso l’embargo. Le proteste pubbliche contro l’apartheid
erano prassi comune nelle università.
Le critiche verso le politiche
discriminatorie e repressive di Israele invece rischiano di essere bollate come
antisemitismo, con serie conseguenze sulla carriera e la vita sociale di una persona.
Conseguentemente, si vedono ben poche proteste contro l’apartheid israeliano
nei campus europei e un ben più freddo sostegno al movimento BDS. Le
personalità pubbliche che criticano Israele vengono attaccate in quanto
antisemite, come dimostra la caccia alle streghe fatta contro i membri del
partito Laburista in Gran Bretagna.
Finché gli europei non avranno il coraggio fare una distinzione tra le
critiche verso Israele per il suo apartheid e il vero e proprio antisemitismo
(che, ricordiamo, è l’odio verso gli ebrei), l‘apartheid continuerà a
prosperare nella Palestina occupata con la complicità diretta dell’Europa.
(Traduzione di Maria Monno pubblicato
originariamente su zeitun.info)
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