Contrordine scolari! L’Invalsi e la velocità di lettura che non serve più.
Ormai ci stiamo avvicinando ai vent’anni di ingresso nella scuola italiana dei test Invalsi. Nel 2001 infatti iniziano i primi test, a campione, per poi divenire nel 2005 obbligatori, prima di tutto nella scuola primaria. Da quel momento le prove invalsi non mancano mai tra le incombenze assegnate agli insegnanti italiani. Si tratta generalmente di prove lettura e comprensione e di quesiti matematici a risposte multiple. Attraverso i dati che scaturiscono da queste prove l’Invalsi si illude di misurare la qualità della scuola italiana. Con l’alterigia di chi si presenta come indiscutibile autorità scientifica, l’istituto restituisce alle scuole i dati percentuali relativi alle risposte attribuendo ad essi valore di valutazione oggettiva del sistema e sollecitando l’adesione a corsi di formazione, piani di miglioramento e riorganizzazioni della didattica per ovviare alle carenze riscontrate. L’Invalsi insomma agisce come un superministero scientifico del controllo della qualità scolastica.
Dal 2008 al 2017 tra i test è stata inclusa una prova preliminare di lettura per i bambini e le bambine di seconda classe della scuola primaria.
L’esercizio viene esplicitamente previsto come prova di velocità, eseguita sotto gli occhi dei «somministratori» provvisti di cronometro. Gli insegnanti infatti, trasformati in operatori scientifici per conto dell’Invalsi, devono procurarsi il contasecondi e lo svolgimento della prova è organizzato alla maniera delle competizioni sportive, come si legge nel «Manuale per il somministratore», invariato da anni:
«Dare il via dicendo “Ora girate la pagina e cominciate” e far partire il cronometro, iniziando a contare i due minuti previsti per lo svolgimento della prova preliminare. È fondamentale in questa prova rispettare rigorosamente il tempo di somministrazione. Trascorsi i due minuti, dire agli allievi di posare subito la penna e chiudere i fascicoli. Passare a ritirarli, rassicurando coloro che non fossero riusciti a portare a termine la prova, ribadendo loro che ciò non deve essere motivo di preoccupazione alcuna [sottolineature nell’originale]»[1].
Non tutti gli insegnanti hanno aderito con fede positivista alle verità sostenute dall’Invalsi. Alcuni hanno contestato fin dall’inizio diversi aspetti di questa «testificazione» di massa degli studenti, mostrando contraddizioni e pericoli insiti in questa pratica. Uno degli oggetti di tali critiche è stata proprio la prova di lettura cronometrata.
Le critiche alla lettura cronometrata
Quali erano le critiche che si appuntavano su questa prova?
Il fattore velocità interferisce negativamente sull’apprendimento della lettura. Il bambino si emoziona e si angoscia, “fa la gara” invece di impegnarsi con tranquillità per portare a termine il suo compito. Solitamente, quelle poche volte in cui occorre avere elementi certi sulla rapidità e qualità della decodifica dei testi da parte di un bambino, l’insegnante li raccoglie senza mostrare il cronometro; il suo uso esplicito invece trasmette l’idea che la lettura sia un pratica frettolosa[2]. La rapidità di lettura non può essere vista come l’effetto di un training che miri alla rapidità, mentre dalla prova predisposta per le seconde emerge proprio questa errata immagine “muscolare” della capacità di lettura.
Tutte le esperienze suggeriscono percorsi di sviluppo e consolidamento delle capacità di lettura basate sul piacere, sulla calma, non certo su un training di tipo sportivo. Non a caso per tutto il percorso della scuola primaria rimane estremamente importante la pratica dell’ascolto di un testo letto dall’insegnante, in modo da mantenere alto il godimento della lettura in una fase dell’apprendimento in cui la capacità strumentale è ancora bassa. Quindi l’importanza attribuita alla performance cronometrica di una prova di lettura rischia di venire percepita dai bambini e dalle bambine, nonché dai docenti più influenzabili, come un’indicazione di teoria didattica, una buona pratica da replicare nelle lezioni, magari sostituendo gare di lettura veloce a momenti di lettura rilassata.
Inoltre occorre riflettere sul particolare del ritiro della prova che viene prescritto nel test una volta trascorsi i due minuti concessi ai bambini. Come si legge nel Manuale del somministratore, i docenti devono «dire agli allievi di posare subito la penna e chiudere i fascicoli [e] passare a ritirarli». Per comprendere quanto questo aspetto, apparentemente trascurabile, possa risultare invece drammatico per un bambino o una bambina di sette anni bisogna fare uno sforzo di decentramento cognitivo: immaginiamo, da adulti, di andare ad effettuare un concorso importante per il nostro futuro insieme ai nostri migliori amici e amiche, e proviamo a pensare che i tempi di cui ritenevamo di aver bisogno per mostrare la nostra preparazione siano fortemente contingentati e che quindi, prima del termine del nostro svolgimento, gli organizzatori ci intimino di «posare subito la penna e chiudere i fascicoli», indi passino a ritirarli «rassicurando [noi] che non [siamo] riusciti a portare a termine la prova». Ci sentiremmo rassicurati?[3]
Un ricordo
Negli ultimi anni anche a me è capitato più volte di esprimere critiche rispetto ai test. In particolare però mi è rimasto in mente uno specifico episodio, credo svoltosi nel 2012. In quell’anno ho avuto il piacere di esprimere le mie perplessità su questo e su altri aspetti dei test proprio al signor Roberto Ricci in persona, esperto di statistica e uno dei maggiori responsabili dell’Invalsi, in un incontro pubblico organizzato da una illuminata dirigente di una scuola modenese per mostrare ai genitori due punti di vista a confronto su questi test (il confronto di merito sui test rimane purtroppo una pratica democratica quasi inesistente nel mondo della scuola). Ricordo bene che allora, tra i numerosi elementi critici che sollevai in merito alle prove, si parlò anche di rapidità di lettura, con le argomentazione espresse in precedenza. Devo ammettere che non ebbi l’impressione di convincere il signor Ricci, anche se molti dei genitori in sala mostravano di apprezzare più le argomentazioni critiche della difesa del responsabile Invalsi. Tant’è.
Negli anni seguenti le prove di velocità per scolari di seconda elementare sono continuate ad ogni tornata di test. Sempre obbligatorie, sempre rivolte a tutte le bambine e i bambini italiani. A meno che non fossero malati nei giorni delle prove, o non avessero una maestra scioperante o obiettrice o genitori contrari, tutti i frequentanti e le frequentanti della scuola italiana che oggi hanno tra nove anni e diciotto anni hanno fatto quella prova, hanno gareggiato con il cronometro per riconoscere più parole possibili nei due minuti prescritti dal protocollo.
La svolta
Dallo scorso anno però c’è una novità. L’Invalsi dopo undici anni ha deciso di non fare più eseguire la prova di lettura a tutti. La gara di velocità per leggere parole verrà fatta cioè solo nelle classi campione, un ristretto numero scelto con criteri statistici.
Di primo acchito non c’è che da gioirne. Finalmente i bambini non subiranno più lo stress della lettura agonistica, potranno di nuovo cominciare a pensare che anche il grande papà Invalsi non li riterrà dei buoni a nulla se leggeranno lentamente, potranno tranquillamente rileggere le frasi che non capiscono, oppure godersi lentamente una lettura particolarmente appassionante. Finalmente una bella notizia per la scuola elementare italiana. Certo, la dimensione della velocità di esecuzione rimane costitutiva di tutte le prove Invalsi, il paradigma che lega la competenza alla rapidità rimane intatto; eppure, come non essere contenti che almeno le piccole e i piccoli non debbano più essere sottoposti a quella prova aberrante?
Ma, superata la tenue euforia, viene da chiedersi il motivo di questo cambiamento. Come mai, cioè, all’Invalsi non interessa più testare quella abilità, dopo undici anni di «somministrazione»?
Le risposte possibili sono due. La prima ipotesi è che tale prova fosse assolutamente indispensabile fino a due anni fa per poter studiare con oggettività scientifica le qualità di lettori dei bambini italiani, mentre dallo scorso anno non lo è più per una positiva evoluzione antropologica della capacità di lettura dell’infanzia nazionale, finalmente cresciuta a livelli tali da non dover essere più misurata in maniera totalitaria. In questo caso non potremmo che esserne felici; ma, se così fosse, perché l’Invalsi non ce lo avrebbe comunicato con corredo di statistiche e cori solenni?
La seconda ipotesi è un po’ meno trionfale. Forse i tecnici dell’Invalsi si sono accorti che… di quei dati non avevano bisogno... e quindi – semplicemente – hanno smesso di raccoglierli. A questa seconda ipotesi potremmo aggiungere un ingenuo corollario: non è che – dopo che per undici anni abbiamo sostenuto le ragioni della dannosità di questo esercizio per il curricolo di lettura dei bambini italiani – i tecnici dell’Invalsi, con tempismo quasi ministeriale, hanno capito e hanno preso le decisioni conseguenti? Vuoi vedere che il buon Ricci – rimuginate un po’ le argomentazioni di quel pomeriggio nella scuoletta modenese – si è alfine ricreduto?
La responsabilità degli «scienziati» e la nostra
Dall’Invalsi fino ad oggi non è stata espressa – che io sappia – nessuna motivazione del cambiamento. Non sappiamo quindi se si tratti della prima o della seconda ipotesi. Se però la prima ipotesi non fosse quella giusta, rimane il quesito più inquietante. Rimane cioè da chiedersi perché gli scienziati che decidono di obbligare per undici anni di seguito tutti i bambini e le bambine di seconda elementare d’Italia a fare una prova di lettura assurda, quando poi scoprono che si tratta di un’esperienza inutile o dannosa, cancellano la prova senza dire nulla, senza una riflessione pubblica né una minima ammissione dei propri errori o della propria insipienza. Chi glielo deve dire ora a tutti i docenti (e i dirigenti) che in questi anni hanno esaltato le prove Invalsi come esempi didattica razionale, che non era così? Chi lo deve dare il “contrordine”?
Quanto tempo manca al momento in cui quegli stessi scienziati, che ora rimangono furbescamente in silenzio, si accorgeranno che anche le altre prove Invalsi hanno prodotto danni alla scuola italiana più che vantaggi? E quando accadrà, rimarranno anche allora in silenzio, senza dare spiegazioni delle loro scelte? Chi ci rimborserà dei loro errori? Ma soprattutto noi insegnanti, che queste cose le sappiamo, dobbiamo davvero aspettare che ce lo dica l’Invalsi che queste prove fanno solo danni?
Note
1 Il testo è identico nelle versioni del 2012 e del 2018; Manuale per il somministratore. Prove Invalsi 2018. II e V primaria, <http://www.icgiovannipaolosecondo.gov.it/circolari_allegati/2017-2018/186-PRIMARIA_Manuale_somministratore_INVALSI_2018.pdf>, (04/2019).
2 Purtroppo negli ultimi anni prendono forza pratiche legate all’educazione alla lettura che sollecitano esplicitamente la rapidità: un esempio per tutti il peraltro bel programma per esercitare la lettura al computer Reading trainer 2 di «Ridinet», «servizio online per il trattamento dei dsa e dei disturbi del linguaggio», usato dai servizi di neuropsichiatria di Bologna, che al termine della lettura mostra contatore di errori e tempo, ma che offre all’operatore la possibilità di nascondere solamente il contatore di errori, «per non demotivare il bambino», mentre non prevede alternative rispetto al grosso cronometro che compare al termine della lettura ed evidenzia il risultato relativo alla velocità; Ridinet, Anastasis Società Cooperativa Sociale, <https://www.ridinet.it>, (04/2019).
3 Ovviamente queste riflessioni sono fatte avendo come riferimento il bambino o la bambina nella propria classe con le proprie maestre in una situazione tranquilla: il tutto quindi peggiora ulteriormente in situazione “in vitro” come quella che chiede di organizzare l’Invalsi, con osservatori esterni, in aule diverse, separando i banchi,…
3 Ovviamente queste riflessioni sono fatte avendo come riferimento il bambino o la bambina nella propria classe con le proprie maestre in una situazione tranquilla: il tutto quindi peggiora ulteriormente in situazione “in vitro” come quella che chiede di organizzare l’Invalsi, con osservatori esterni, in aule diverse, separando i banchi,…
Nessun commento:
Posta un commento