Medici dicono a MEE che le ferite invalidanti,
soprattutto agli arti inferiori, dei manifestanti palestinesi sono state
inflitte deliberatamente.
Medici in prima linea hanno detto a Middle East Eye
che cecchini israeliani hanno intenzionalmente mutilato palestinesi che
protestavano a Gaza lo scorso anno, creando una generazione di giovani disabili
e sconvolgendo il già disastrato sistema sanitario del territorio.
Secondo l’inchiesta delle Nazioni Unite resa pubblica
questo mese, oltre l’80% dei 6.106 manifestanti della Grande Marcia del Ritorno
feriti nei primi nove mesi è stato colpito agli arti inferiori.
Il rapporto ne conclude che i soldati israeliani hanno
intenzionalmente sparato a civili e potrebbero aver commesso crimini di guerra
con la loro durissima risposta alle proteste tenutesi periodicamente a Gaza dal
30 marzo 2018.
Operatori sanitari affermano che le caratteristiche
ricorrenti delle ferite mostrano che i soldati israeliani hanno
intenzionalmente sparato per menomare i manifestanti, molti dei quali sono
giovani ventenni e ora hanno necessità di cure mediche a lungo termine.
“Il soldato sa esattamente dove sta sparando il
proiettile. Non è casuale. È del tutto intenzionale, è decisamente
pianificato,” dice Ghassan Abu Sitta, professore di chirurgia dell’Università
Americana di Beirut (UAB), che lo scorso maggio per tre settimane ha curato
manifestanti feriti all’ospedale Al-Awad di Gaza.
“Quando hai un numero così alto di ferite praticamente
identiche, quando molti pazienti erano a 150 metri di distanza, non a diretto
contatto con i soldati israeliani, ti rendi conto che questa è una politica
intenzionale piuttosto che un danno involontario,” dice a MEE Abu Sitta.
Marie-Elisabeth Ingres, capo missione di Medici senza
Frontiere (MSF) concorda: “È ovvio. Quando hai quasi il 90% di persone ferite
agli arti inferiori, significa che c’è la decisione politica di prendere di
mira gli arti inferiori,” afferma.
MEE ha chiesto all’esercito israeliano se i soldati
hanno intenzionalmente ferito i manifestanti. Sottolineando le condizioni nelle
quali i soldati operano – che includono il fatto di essere sotto tiro, i
tentativi dei manifestanti di entrare in Israele, i copertoni bruciati, il
lancio di pietre e di bottiglie molotov – un portavoce ha detto a MEE via posta
elettronica: “”L’IDF [l’esercito israeliano, ndt.] usa proiettili veri solo
come ultima risorsa e in base a regole che rispettano le leggi internazionali.”
Il portavoce ha anche indicato a MEE una pagina di “Domande Frequenti” [nel
sito dell’IDF, ndt.] sulle proteste.
Tra i più di 6.000 palestinesi feriti ci sono un
calciatore la cui carriera è finita, uno studente di giornalismo a cui è stata
amputata la gamba destra e una studentessa di 16 anni che quando è stata
colpita stava sventolando una bandiera palestinese.
Secondo gli ultimi dati del ministero della Sanità di
Gaza almeno 136 di loro hanno subito l’amputazione di arti, 122 dei quali solo
agli arti inferiori.
Ma i dati non danno il quadro completo delle
difficoltà che i manifestanti feriti, che soffrono di lesioni dolorose, e i
loro familiari devono affrontare, in quanto la grande maggioranza vive in
povertà, dice Bassem Naim, che è stato ministro della Sanità di Gaza dal 2006
al 2012.
“Sinceramente è una catastrofe. Molti dei feriti
rimarranno per sempre disabili,” dice Naim. “Portarli da casa all’ospedale ogni
giorno per la riabilitazione o le cure? È un onere veramente pesante.”
“Vivo al nono piano e praticamente ogni giorno non c’è
elettricità da dodici a sedici ore. Si può immaginare cosa vuol dire per un
giovane senza una gamba?”
Non è cambiata solo la vita di migliaia di
manifestanti e delle loro famiglie, ma anche il sistema sanitario di Gaza in
difficoltà è sottoposto a forti tensioni in seguito alle cure intensive
necessarie per il trattamento delle ferite alle gambe.
Il personale sanitario teme che, con manifestazioni di
massa previste questo fine settimana per commemorare un anno dall’inizio della
Grande Marcia del Ritorno, il collasso del sistema possa essere imminente.
Caratteristiche ricorrenti delle ferite
Il 30 marzo 2018 decine di migliaia di palestinesi
hanno protestato lungo il confine di 65 km con Israele, rivendicando il diritto
di tornare alle case da cui le loro famiglie scapparono nel 1948 e la fine
dell’assedio di 11 anni contro il territorio costiero palestinese.
Praticamente appena le proteste sono iniziate, i
soldati israeliani hanno cominciato a sparare ai manifestanti a corta distanza
con fucili di precisione. Alla fine di quel primo giorno di proteste sono
rimasti uccisi 16 palestinesi e almeno altri 400 sono stati feriti da colpi di
arma da fuoco.
Da allora quella che era prevista come una campagna di
sei settimane si è prolungata per un anno, durante il quale almeno 197
palestinesi sono stati uccisi e 29.000 feriti. Secondo l’ONU nello stesso periodo
due israeliani sono rimasti uccisi e 56 feriti.
Uno ogni quattro palestinesi feriti è stato colpito
con proiettili veri, e la grande maggioranza alle gambe.
Uno di loro è stato il trentunenne Mohammed al-Akhras.
Akhras, che lavorava come fabbro, dice di aver deciso
di unirsi alle proteste in seguito al fatto di essere stato torturato durante
sei anni di detenzione in prigioni israeliane.
Quando le forze israeliane lo hanno arrestato e
accusato di essere coinvolto in operazioni militari con fazioni armate
palestinesi aveva 19 anni e stava cacciando uccelli sul confine orientale di
Rafah, nel sud di Gaza.
È stato rilasciato nel 2013, ma il vivo ricordo e la
frustrazione derivanti dal suo arresto e dalla sua detenzione lo hanno spinto a
manifestare, dice.
Akhras racconta che il 18 maggio stava protestando
come altri attorno a lui e non stava facendo niente di speciale quando due
proiettili esplosivi – che scoppiano all’impatto squarciando i tessuti e le
ossa – hanno colpito la sua gamba sinistra.
Aveva bisogno di un’operazione urgente, ma ci sono
voluti due mesi prima che potesse essere operato – in Egitto.
Le autorità israeliane non gli hanno consentito di
viaggiare attraverso il valico di Erez per essere operato in Giordania a causa
del fatto che in precedenza era stato un detenuto.
“Dopo vari tentativi sono riuscito a andare in Egitto,
e dopo che la tumefazione della mia gamba ha raggiunto il punto limite,” dice.
A quel punto i dottori sono stati obbligati ad amputarla.
Secondo il rapporto dell’ONU e come sottolineato dal
portavoce dell’esercito israeliano, le regole d’ingaggio delle forze di
sicurezza israeliane consentono ai soldati di sparare ai manifestanti “come
ultima risorsa nel caso di imminente pericolo di vita o di ferite di soldati o
civili israeliani.”
Ma medici internazionali e palestinesi che hanno
parlato con MEE affermano di aver visto colpire manifestanti anche quando
questi non minacciavano i soldati.
L’ex ministro della Sanità di Gaza Naim dice di essere
stato presente alla protesta l’8 febbraio con suo figlio di 14 anni e un gruppo
di amici. Lì vicino un amico del ragazzo stava masticando semi di girasole e
guardando la manifestazione a circa 100 o 150 metri dalla barriera con Israele.
“Improvvisamente hanno visto un ragazzino che cadeva,
e quando sono corsi da lui lo hanno trovato in una pozza di sangue ed era stato
colpito al collo,” dice.
“Ti posso mandare ore di video di attività culturali
(durante le proteste) e al contempo vedrai qualcuno, soprattutto giovani, che
cercano di lanciare pietre o di attraversare la barriera. Bene, ma posso dire
che nel 99,9% dei casi non c’era alcuna minaccia per i soldati.”
Pur non essendo più direttamente coinvolto in campo
medico, Naim sostiene di credere che i soldati israeliani abbiano
intenzionalmente mutilato manifestanti – sia in base a quello che ha visto
durante le manifestazioni di quest’anno che alla sua esperienza come medico
durante la Seconda Intifada.
Durante quella rivolta all’inizio degli anni 2000,
quando lavorava all’ospedale Naser di Khan Younis, Naim dice che c’erano
evidenti caratteristiche costanti delle ferite inflitte dai cecchini
israeliani.
“Un giorno c’erano solo gambe, un altro solo glutei,
un terzo giorno solo toraci,” dice.
“Se vogliono spezzare la forza di volontà di un
popolo, allora sparano con l’obiettivo di uccidere. Ma a volte, se non vogliono
che le cose sfuggano al controllo, sparano, ma cercano di evitare di uccidere
persone colpendo le gambe, le mani.”
Naim crede che i cecchini abbiano utilizzato, circa
due decenni dopo, la stessa precisione ora sulla frontiera di Gaza.
“Ne posso essere certo perché alcuni venerdì ci sono
uno, due o tre martiri, e a volte ce ne sono 50 o 25, perché vogliono
esercitare più pressione,” dice.
Sistema sanitario al collasso
Oltre alle crescenti questioni sconvolgenti riguardo
alle tattiche dell’esercito israeliano, la Grande Marcia del Ritorno ha messo
sotto rinnovata pressione il sistema sanitario in difficoltà, in quanto
migliaia di manifestanti feriti vi sono regolarmente portati per cure urgenti.
Il dottor Medhat Abbas, direttore dell’ospedale
Al-Shifa di Gaza City, descrive il 14 maggio dello scorso anno come uno dei
giorni peggiori che l’ospedale abbia mai vissuto.
Ore dopo che il presidente USA Donald Trump aveva
aperto la nuova ambasciata USA a Gerusalemme e sono scoppiate manifestazioni di
rabbia in seguito al suo spostamento, sono arrivati all’Al-Shifa circa 500
palestinesi feriti, quasi quanti ne può ospitare l’ospedale, con 760 letti.
I pazienti giacevano a terra e nei corridoi mentre i
chirurghi, troppo pochi e con mezzi insufficienti, hanno lavorato 24 ore al
giorno in tutte le 14 sale operatorie dell’ospedale.
“È stata una giornata nera nel ricordo dei
palestinesi,” dice Abbas a MEE, rispondendo alle domande con messaggi
registrati di WhatsApp nelle ore più strane, troppo impegnato per un’intervista
telefonica.
Nel campo di rifugiati d Jabaliya Abu Sitta, docente
di chirurgia all’Università Americana di Beirut, lavorava all’ospedale Al-Awda
proprio perché era uno dei principali luoghi della manifestazione.
“Sapevamo che quel numero [di pazienti] che vedevamo
ogni venerdì sarebbe aumentato il giorno dello spostamento dell’ambasciata,”
dice.
Non era solo lo Shifa ad essere sovraffollato: tra le
16 e le 20 di quel giorno 3.400 manifestanti vennero feriti, 1.000 in più del
numero totale dei letti negli ospedali di Gaza, dice Abu Sitta.
Alla fine della giornata 68 persone erano state uccise
o avevano subito ferite mortali a causa delle quali in seguito sono decedute.
Il sistema sanitario di Gaza era già indebolito in
seguito all’assedio di 11 anni che ha limitato l’afflusso nel territorio di
apparecchiature mediche, rifornimenti e medici, in particolare quelli
specializzati in chirurgia.
Ma l’alto numero di vittime in giorni come il 30 marzo
o il 14 maggio ha lasciato negli ospedali di Gaza un peso duraturo. Ferite da
arma da fuoco alle gambe, soprattutto quelle provocate da pallottole dei
cecchini sparate a corta distanza, possono richiedere fino a nove interventi
chirurgici per essere curate, dice Abu Sitta.
Cosa succede quando proiettili di cecchini colpiscono
le gambe
Il danno provocato da un proiettile dipende dalla
velocità alla quale si muove la pallottola, con la velocità cinetica che si
trasferisce ai tessuti, dice Ghassan Abu Sitta, docente di chirurgia
all’Università Americana di Beirut.
“Quando usi un fucile di precisione – che è un fucile
da guerra ad alta velocità – si tratta del proiettile più veloce che ci sia
perché può percorrere fino a 3 km,” afferma.
“Perciò quando spari a qualcuno a 50 o 100 metri, la
maggioranza dell’energia cinetica è ancora nel proiettile.”
Secondo Medici Senza Frontiere, in metà dei casi di
ferite alle gambe che hanno trattato a Gaza dallo scorso marzo, i pazienti
avevano fratture esposte complicate, cioè l’osso è esposto all’aria e c’è il
rischio che si infetti.
Molti hanno anche gravissimi danni ai tessuti e ai
nervi e perdono parti importanti delle ossa delle gambe.
Un medico di MSF dice che in metà dei casi che ha
visto l’osso “era letteralmente polverizzato”.
Questo tipo di ferite richiede una serie di interventi
chirurgici, a volte fino a nove, dice Abu Sitta.
“Ciò significa mesi e forse anni di cure. Quindi ciò
vuol dire che hanno molto dolore, stanno soffrendo molto,” afferma
Marie-Elisabeth Ingres, capo missione di MSF a Gerusalemme.
La maggioranza di quelli che sono feriti avranno
effetti collaterali per il resto della loro vita, compresi irrigidimento degli
arti, paralisi e, per alcuni, amputazione.
“Pensi al numero di interventi chirurgici ortopedici e
plastici necessari per fare una chirurgia ricostruttiva sull’80% dei 6.500
(pazienti feriti),” afferma.
“Supera le capacità di risorse umane di Gaza. Supera
il numero di ore di sala operatoria a disposizione, in termini di materiali, di
medicazioni, di riabilitazione. E lo scopo è di sovraccaricare totalmente il
sistema. C’è l’intenzionalità di menomare.”
Se i medici non possono spostarsi rapidamente per
aiutare i feriti, questi possono patire complicazioni per il resto della loro
vita, dice Ingres di MSF.
“Siamo in difficoltà perché temiamo che, se non si
reagisce con sufficiente impegno, migliaia di persone potrebbero rimanere
disabili,” sostiene.
“Già 200 persone hanno subito amputazioni, e se non
siamo in grado di curarle domani, cioè tra i giovani, molti di loro saranno
disabili perché non siamo riusciti a salvare le loro gambe, e ciò si potrebbe
fare.”
Le ferite alle gambe hanno anche suscitato
preoccupazioni riguardo alla resistenza agli antibiotici a Gaza. Ingres afferma
che MSF stima che almeno 1.200 persone possono aver sviluppato infezioni alle
ossa, che richiedono sei settimane di ospedalizzazione e antibiotici di alto
livello prima di ogni operazione.
“Quindi sappiamo già che il trattamento sarà lungo e
molto costoso,” dice.
Il tributo di una generazione
Oltre ai vari livelli di crisi sanitaria a Gaza,
dicono i medici, ci sono le conseguenze a lungo termine di una generazione di
disabili palestinesi, molti dei quali ventenni.
“I media diranno ‘oggi due, tre palestinesi morti, 500
feriti’. Ma in realtà questi 500 sono condannati a una vita di disabilità, di
disoccupazione e ad anni di dolorose operazioni chirurgiche,” afferma Abu
Sitta.
“È anche un problema psicologico,” aggiunge Ingres,
“perché ora i giovani capiscono che sarà molto difficile per loro.”
“La maggioranza voleva solo manifestare per mostrare
che hanno il diritto di esistere come chiunque altro al mondo. E oggi, dopo un
anno, cos’hanno ottenuto? Non hanno niente.”
Ingres sostiene che lo spettro di una grande
manifestazione per commemorare il primo anniversario della Grande Marcia del
Ritorno è preoccupante.
“Ad essere sinceri, se ci sarà un nuovo massiccio
numero di feriti nessuno riuscirà a gestire Gaza,” dice. “Sarà un disastro.”
Ma pur avendo una chiara comprensione dei rischi in
cui incorrono per protestare vicino alla frontiera, i giovani palestinesi hanno
continuato a protestare, con l’invito a un milione di persone perché sabato si
uniscano alla marcia di commemorazione.
Akhras, il trentunenne colpito a una gamba lo scorso maggio,
potrebbe essere tra i manifestanti, nonostante il fatto che la sua vita sia
drammaticamente cambiata da quando è stato ferito.
Non più in grado di guadagnarsi da vivere come fabbro,
Akhras ha ricevuto uno stipendio dall’Autorità Nazionale Palestinese per
persone ferite fino a due mesi fa, quando è stato sospeso e lui è rimasto in
condizioni economiche difficili.
Sua moglie, Haneen al-Qutati, di 23 anni, contribuisce
al sostentamento della coppia con il suo lavoro di infermiera, e il loro primo
figlio nascerà a breve. Nel frattempo, grazie a un’organizzazione che aiuta
persone disabili, Akhras si sta formando come falegname.
Dice di sentire spesso il dolore della ferita, ma non
vuole prendere antidolorifici per il timore di diventarne dipendente. Non ha
ancora una gamba artificiale e per spostarsi usa le stampelle.
“Alla sera ho forti dolori, ma cerco di far vedere a
mia moglie che non mi fa male,” dice. “Qualcuno mi guarda con compassione. È
una sensazione penosa per mia moglie.”
Ciononostante durante molti degli ultimi venerdì è
uscito per unirsi alle proteste nei pressi di Rafah, ancora deciso a
manifestare.
“Voglio che i giovani dimostrino una grande volontà,”
afferma. “L’occupazione li prende deliberatamente di mira e vuole che una
giovane generazione di palestinesi cammini con le stampelle.”
(pubblicato su Middle East Eye)
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