Di fronte ai
nostri occhi possiamo osservare come gli stati-nazione stiano scivolando verso
istituzioni controllate da gruppi paramilitari, mafie poliziesche e
narcotrafficanti. Quello che prima
sembrava un’eccezione, limitata a situazioni quasi estreme, ora si sta
trasformando in norma, nella misura in cui lo stato non è più quella
istituzione capace di controllare territori e assicurare il monopolio della
violenza legittima, come sostenne Max Weber.
La crisi
degli stati va per mano con la crescita di gruppi che occupano gli spazi che in
altri tempi erano controllati da quelle istituzioni. Il sociologo brasiliano José Claudio Alves, specialista delle
periferie urbane, afferma che le
“milizie” di Río de Janeiro controllano l’aggiudicazione delle aree dove i
migranti del nordest possono comprare terreni e costruire le proprie case,
grazie a “informazioni privilegiate ottenute all’interno dello stato”.
“Mi
impressiona molto il potere che hanno questi gruppi e la fragilità della
giustizia di fronte a questo potere”, sostiene Alves. Sta facendo riferimento
ad un potere territoriale che ha il suo
proprio braccio politico, fissato nei gruppi parlamentari dell’ultradestra e
dei partiti con una logica fondamentalista religiosa, nel caso del Brasile.
Come è successo con Marielle Franco, consigliera nera e lesbica assassinata un
anno fa, si assiste ad un aumento delle esecuzioni sommarie di fronte
all’inetta risposta statale.
Non si
stanno registrando né omicidi né sparizioni, per lo meno a Río, perché la paura è più forte della volontà di
denunciare. Siamo di fronte alla perdita di diritti e la situazione sta
peggiorando, in tutta la regione latinoamericana. “Cinque decenni di
gruppi di sterminio hanno elevato fino al 75 per cento il voto per Bolsonaro e
per l’estrema destra nella Baixada Fluminense”, la regione carioca più violenta
dello stato, secondo Alves. L’attuale
violenza è stata costruita durante la dittatura e aumentata nella democrazia.
Le milizie
stanno cambiando. Ora individuano dove si sta muovendo il capitale (grandi
opere di infrastruttura, come parte del modello estrattivo), e controllano in
modo violento l’accesso al lavoro che queste opere generano, di modo che
riscuotono “imposte” dalle persone che vogliono lavorare nelle imprese, siano
esse private o statali. I lavoratori devono consegnare parte dei propri salari
ai paramilitari.
Questo l’ho visto a Medellín, a Río de Janeiro
e ogni volta in più città dell’America Latina, sia sotto governi conservatori o
progressisti, perché siamo di fronte a una mutazione strutturale di questa
relazione che chiamiamo stato. “Un’altra novità è la milizia marittima”,
continua Alves. Abborda i pescatori in mare, gli chiede la licenza di pesca ed
esige del denaro per continuare a fare il proprio lavoro di
sopravvivenza. “Controllano anche
l’accesso ai servizi medici degli ospedali di Río”, riscuotendo tasse e negando
l’ingresso a chi non paga.
Conclusione:
“La relazione delle milizie con lo stato
è determinante affinché si trasformino in una struttura di potere assoluta,
vasta, autoritaria, potente e crescente a Río de Janeiro”. Agiscono in modo
legale, con accesso ad informazioni economiche che ottengono dallo stato
mediante degli alleati; ma anche illegale: assassinano, torturano e fanno
scomparire. “Siamo usciti dalla dittatura ufficiale, per la dittatura dei
gruppi di sterminio e delle milizie”, precisa Alves, per il quale non è mai esistita
una fine della dittatura.
Di fronte a
questa deriva credo che possiamo fare due
riflessioni.
La prima è che la crisi degli stati è l’aspetto
determinante che porta alla creazione di poteri come le milizie, parastatali o
antistatali. Questo è il cambiamento strutturale in relazione alle istituzioni; qualcosa che ho visto giorni
fa a Barcelona, dove il potere municipale non ha potuto fermare la repressione
poliziesca verso gli immigranti. Questo potere è cresciuto anche sotto Lula o i
Kirchner, non per colpa loro ma perché siamo di fronte ad un processo globale,
per ora irreversibile.
La seconda è relativa alle nostre strategie.
Incunearsi nello stato, occupare lo stato o prenderlo, o come si chiami questo
processo consistente nel vincere elezioni e amministrare l’esistente, aveva
senso quando gli stati-nazione incarnavano una configurazione minimamente
democratica. Ora può essere molto pericolosa, perché ci paralizza di fronte a nemici che escono da
un qualsiasi controllo istituzionale e ci fa complici delle loro violenze.
Lo storico Emilio Gentile segnala che la novità dell’attuale
ultradestra consiste “nel pericolo che la democrazia si
trasformi in una forma di repressione con consenso popolare”. Una facciata elettorale che copre la
mancanza di democrazia è un cattivo argomento perché ci distrae mentre disarma
i nostri poteri, che sono gli unici che ci possono permettere di affrontare e
superare questa fase del capitalismo estrattivo che depreda i beni comuni,
disarticola gli stati-nazione e attacca i popoli del colore della terra.
Fonte: La Jornada
Traduzione a
cura del Comitato Carlos Fonseca
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