Il 2 giugno torna di nuovo in piazza A
Foras – Contra a s’ocupatzione militare de sa Sardigna e ce n’era davvero
bisogno. L’appuntamento è quello dell’A Foras Fest, diventato ormai un
classico essendo giunto al terzo anno di organizzazione, ma non c’è nessun
rischio di riproporre per abitudine modelli di partecipazione e obiettivi ormai
stanchi e ossidati. Tutt’altro: al centro della manifestazione organizzata dai
militanti e dalle militanti dell’assemblea generale sarda contro l’occupazione
militare ci sono questioni che sono più vive che mai e che pongono a tutti i
sardi delle domande fondamentali. In primo luogo la data, che si contrappone
dichiaratamente alla festa della Repubblica, la stessa repubblica che, come si
legge in una nota di A Foras, «da ormai 70 anni occupa abusivamente ampie
porzioni di territorio dell’isola, per devastarlo con il proprio esercito,
prestarlo ed affittarlo agli eserciti di mezzo mondo e imprese multinazionali
che testano le proprie armi per venderle ai migliori offerenti».
Una cosa è certa: negli ultimi anni la
situazione relativa all’occupazione militare della Sardegna non è migliorata,
ma anzi peggiorata fortemente. Il Ministero della Difesa fa in Sardegna quello
che vuole, senza che la Regione e gli altri enti locali possano dire o fare
alcunché. Nonostante le promesse sull’attuazione di piani – comunque
insufficienti – di controllo indipendente su quanto accade all’interno dei
poligoni, nei fatti ormai non esiste più nemmeno il passaggio – puramente
formale – della verifica in seno al Comitato Misto Paritetico composto da
Regione e Difesa: i militari decidono il programma delle esercitazioni, se lo
approvano da soli e non hanno alcun obbligo di informare i cittadini. Sappiamo
che ci sono le esercitazioni perché vediamo gli aerei sfrecciare e sentiamo gli
ordigni esplodere, oppure perché riceviamo le ordinanze di sgombero: i militari
ci scacciano come ospiti indesiderati da terre che dovremmo essere liberi di
attraversare e vivere ogni giorno.
Di pochi giorni fa la notizia che,
nonostante dal processo su Quirra emergano inquietanti verità sul ruolo della
nanoparticelle nell’inquinamento della zona limitrofa al poligono, si è tenuto
nel PISQ un nuovo test missilistico che ha portato al rilascio di una densa
nube di fumo visibile a chilometri e chilometri di distanza. Inoltre, per tutto
il mese di maggio, l’isola sarà il principale teatro operativo
dell’esercitazione Joint Stars 2019 che vedrà coinvolti più di 2000 militari,
impegnati in manovre aeree, terrestri e marittime, lanci con paracadute e,
ovviamente, esercitazioni di tiro a fuoco: spari con munizionamento vero, per
intendersi.
Non solo, sembra ormai che ormai i
poligoni non bastino più alle esigenze addestrative della Difesa e della Nato:
anche le nostre città stanno diventando zone in cui i militari possono fare
quello che vogliono. Proprio questo è il tema scelto da A Foras, che ha portato
a intitolare la giornata di mobilitazione del 2 giugno “La guerra nel golfo”.
Il golfo in questione è quello di Cagliari, che ormai vede tutto l’anno la
presenza di navi militari impegnate in esercitazioni o in altre attività, ma il
riferimento è anche ai porti di Sant’Antioco e Olbia, anche questi ormai punto
di riferimento logistico per le marine militari della NATO. Pensiamo anche al
fatto che negli ultimi mesi la Difesa ha inaugurato un nuovo corso che prevede
lo svolgimento di esercitazioni all’interno di aree urbane: è successo a Bosa,
dove si sono visti più volte i soldati impegnati in esercitazioni sul Temo, nel
bel mezzo della città, e a Cagliari dove un esercitazione con tanto di spari,
fumogeni ed elicotteri è stata svolta all’interno della caserma Monfenera, in
viale Poetto.
A Foras ovviamente pone al centro del
suo percorso – fatto di mobilitazioni ma anche di aggregazione, informazione e
studio – il problema dell’occupazione militare della Sardegna, ma è chiaro che
questo è solo un aspetto di una questione ben più ampia: l’indisponibilità
della terra per le comunità che la abitano. Ecco perché in questi anni
l’assemblea generale sarda contro l’occupazione militare si è occupata di
aspetti che sembrano slegati, ma sono invece fortemente connessi: la
distruzione della sanità pubblica in collaborazione con il Qatar,
l’inquinamento da fonti industriali, i progetti di metanizzazione dell’isola o
le battaglie in difesa di un ambiente minacciato. Tutte queste battaglie, e
ancora tante altre, sono strettamente connesse tra loro e, in ciascuna di
queste, bisogna essere presenti con unità e determinazione con la piena
coscienza del fatto che non si può perdere.
Chi, in Sardegna, lotta perché le
comunità abbiano il diritto a disporre liberamente e con equilibrio della terra
in cui abitano, non dovrebbe mancare all’appuntamento di domenica 2 giugno.
L’isola, pur non avendo dichiarato guerra a nessuno, è teatro di battaglia
quasi ogni giorno dell’anno tra ottobre e maggio. Tutto questo accade senza che
la popolazione possa negare il suo consenso e senza che ci sia la minima
informazione ufficiale su quello che accade. Questa lotta riguarda tutti,
perché la terra in cui abitiamo non può essere un bersaglio né tantomeno il
luogo dove le forze armate di mezzo mondo si esercitano per portare la guerra
altrove, ed è ancora più importante esserci visto che quest’anno cade il
cinquantesimo anniversario della lotta di Pratobello, una lezione di resistenza
popolare che i sardi non dovrebbero dimenticare.
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