Mohamed Morsi è stato il primo presidente
democraticamente eletto dell’Egitto post rivoluzione. La sua presidenza,
cominciata nel 2012, è durata poco più di anno, interrotta dal golpe militare
orchestrato dall’attuale presidente Abdel Fattah al Sisi nel giugno del 2013.
Morsi è stato accusato di spionaggio per l’Iran, il Qatar e Hamas, di insulto
all’autorità giudiziaria, nonché di organizzazione di attacchi terroristici.
Dopo sette anni di prigione in stretto isolamento per 23 ore al giorno, è morto
la sera del 17 giugno in tribunale. Aveva 67 anni, era diabetico e non ha mai
avuto cure adeguate. In sette anni ha potuto ricevere solo quattro visite dai
familiari.
Nel 2017 un articolo di Peter Oborne sul Middle East
Eye intitolato “Morsi potrebbe morire in una prigione egiziana”
avvertiva: “L’ex presidente sviene frequentemente ed è entrato due volte in
coma. La sua salute è seriamente deteriorata e mi dicono che ci sono tutte le
ragioni di temere per la sua vita. La settimana scorsa la sua famiglia ha
potuto visitarlo per la prima volta dopo quattro anni e sono rimasti scioccati
da quello che hanno visto – come dovremmo esserlo tutti”.
L’organizzazione per i diritti umani Human
Rights Watch stava ultimando un rapporto sul suo preoccupante stato di salute.
E il gruppo di parlamentari britannici Detention review panel aveva
scritto in un rapporto del
marzo 2018 che “la detenzione del presidente Morsi è al di sotto degli standard
internazionali per il trattamento dei carcerati e costituisce un trattamento
crudele, inumano e degradante. Riteniamo inoltre che la sua detenzione sia
prossima alla tortura, sia secondo la legge egiziana sia secondo quella
internazionale”.
Il Middle East Eye è riuscito a parlare
con alcuni testimoni che si trovavano nell’aula di tribunale: Morsi era
rinchiuso nella gabbia insieme ad altre persone. Subito dopo la chiusura
dell’udienza i detenuti hanno cominciato a sbattere contro le sbarre, urlando e
chiamando i soccorsi per lo svenimento di Morsi: la sicurezza ha fatto evacuare
la sala e il prigioniero è stato dichiarato morto alle 16.50. Questa mattina,
scrive suo figlio Ahmed Mohamed Morsi su Facebook, “è stato sotterrato nel
cimitero dei fratelli musulmani a Nasr City”, nel nord del Cairo, precisando
che le autorità gli hanno rifiutato un funerale pubblico.
Nato in una famiglia modesta nel
governatorato di Sharqiyya, nel nord dell’Egitto, Morsi era dottore in
ingegneria ed è stato professore all’università di Zagazig fino al 2000, quando
è entrato in politica con i Fratelli musulmani, del cui partito, Libertà e
giustizia, fondato nel 2011, divenne il presidente. Il 24 giugno 2012 la sua
vittoria alle prime elezioni libere in Egitto contro il candidato dell’era
Mubarak, Ahmed Shafiq, aveva rappresentato una vittoria storica per il partito
dei Fratelli musulmani, esclusi dalla vita politica per sessant’anni.
Nella stampa egiziana, ora, non c’è quasi
nessuna traccia della morte dell’ex presidente. Al Masry Al Youm dedica
la prima notizia alla cooperazione dell’Egitto con la Bielorussia, come fa tra
l’altro lo storico quotidiano Al Ahram.
Dall’Arabia Saudita, un tweet del ministero degli esteri ricorda che per il
regno “i Fratelli musulmani sono un’organizzazione terroristica che ferisce
l’islam e un pericolo per la stabilità”.
Sui social network l’emozione è invece
palpabile.
Il fotografo egiziano Mosaab Elshamy – che
vive in Marocco – ricorda su Twitter di aver votato per Morsi anche se non era
un suo fervente sostenitore: “Non aveva idee chiare né carisma, e non ispirava
neanche molta fiducia. Aveva davanti a sé sfide immense e non è riuscito a
gestirle. Ora, però, è impossibile non sentire un’immensa tristezza per la sua
morte, così crudele e vile. Dice tanto sul marchio di fabbrica del regime di Al
Sisi: la vendetta”.
Sentimento che ora si estende a tutte le
categorie di egiziani che lo minacciano. Basta ricordare gli altri sessantamila
prigionieri politici che in questo momento soffrono lo stesso trattamento
inumano nelle prigioni egiziane.
La morte di Morsi potrebbe essere il punto
finale sulla sorte dei Fratelli musulmani in Egitto. Secondo il ricercatore
egiziano Abdel Rahaman Ayyache – che ora vive in Turchia – autore di uno studio sull’impatto
della prigionia sull’organizzazione islamica, almeno a livello ideologico la
fratellanza non ha resisto alla purga degli ultimi anni.
da qui
Nessun commento:
Posta un commento