Mentre Israele celebrava la Giornata
dell’Indipendenza, all’inizio di questa settimana, ho saputo di due episodi.
Uno mi è stato raccontato da alcuni amici
di Gerusalemme che lavorano nelle istituzioni israeliane, che mi hanno parlato
del loro disagio durante lo Yom HaZikaron – il Giorno del Ricordo, durante il
quale si rende omaggio ai soldati caduti e agli altri israeliani morti a causa
del “terrorismo”. Quel giorno, in Israele, suona una sirena in tutto il Paese e
tutti devono interrompere qualsiasi tipo di attività stiano facendo – anche
guidare una macchina – per dimostrare, con due minuti di silenzio, il proprio
ricordo e rispetto per i morti. Una mia amica mi ha detto che il suo capo le ha
intimato di alzarsi in piedi durante il suono della sirena, oppure poteva fare
proprio a meno di andare al lavoro. Un’altra amica mi ha raccontato di essersi
spostata, in quel momento, nello spogliatoio dei dipendenti e di avervi trovato
altre dodici lavoratrici palestinesi. Tutte stavano evitando di dover rendere
omaggio a quelle stesse persone che ci hanno perseguitato sin da quando è nata
l’idea di stabilire lo Stato di Israele sulla nostra terra.
Il secondo episodio ha avuto luogo in una scuola
superiore di Gerusalemme, in cui studiano, tutti insieme, palestinesi di
Gerusalemme, palestinesi con la cittadinanza israeliana ed ebrei israeliani. In
questa scuola è stata collocato un tabellone/cartellone come memoriale dedicato
ai soldati israeliani caduti, in modo che gli studenti potessero scrivere il
nome “dei loro cari e accendere una candela in loro ricordo”, come ha spiegato
il sindacato degli studenti. Senonché, un giorno l’installazione commemorativa
è stata trovata con le candele spente e, proprio sul cartellone, la scritta
“Ramadan Kareem” (augurio di “buon Ramadan”, ndt.). A quel punto, sono stati
coinvolti polizia e partiti di destra. Una ragazza di Gerusalemme è accusata di aver messo in atto questo
“atto vandalico” e altri sei (studenti, ndt) di averla sostenuta; tutti e sette
sono ora in attesa di punizione. Pare che la condanna dell’atto stia colpendo
“tutti gli arabi” della scuola, da cui ci si aspetta una condivisione di
colpevolezza e vergogna. Nessuno ha commentato che la presenza del
tabellone/cartellone cancella, prima di tutto, la memoria e la storia nazionale
dei palestinesi.
Recentemente, Israele ha lanciato contro
le scuole palestinesi accuse e provocazioni che sono state portate
all’attenzione dell’Unione Europea. Con una risposta scritta sulla questione,
Francesca Mogherini, Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari
Esteri e la Politica di Sicurezza, ha confermato che è in programma un’indagine
sui programmi scolastici palestinesi: “I criteri di riferimento sono in fase di
elaborazione, nell’ottica di identificare il possibile incitamento all’odio e
alla violenza, e ogni eventuale mancanza di conformità agli standard di pace e
tolleranza nell’educazione stabiliti dall’UNESCO.” Sui programmi scolastici
israeliani, però, non è prevista alcuna indagine del genere! A quanto pare, gli
israeliani chiedono che i programmi scolastici palestinesi cancellino
completamente la storia e la geografia della Palestina e, al lor posto,
insegnino la storia dell’Olocausto europeo ai più giovani, già sopraffatti
dallo strazio delle loro esperienze dirette di vita.
Io sono totalmente a favore di uno studio
accademico e della riforma dei programmi scolastici palestinesi – uno studio
che prenda in esame fino a che punto i programmi palestinesi insegnino il
pensiero critico, l’autonomia e la rappresentanza, e una riforma che aiuti i
giovani palestinesi a comprendere la loro attuale esperienza nel contesto
generale di un’autentica storia palestinese. Una tale riforma non riprenderà la
versione deformata e amputata della storia palestinese cucita su misura su
“desideri e valori” dei donatori. Abbiamo bisogno di un’indagine sui nostri
programmi scolastici e di una loro riforma che siano fatte dai palestinesi per
i palestinesi.
Di recente, il Ministro palestinese
dell’Educazione primaria e secondaria, alla presenza di alti funzionari
palestinesi come Azzam e Saeb Erekat, ha presentato un libro intitolato “Il
nostro Presidente è il nostro esempio”, che ha una foto di Mahmoud Abbas in
copertina e dovrebbe contenere, pare, citazioni dai suoi discorsi. Gli alti
funzionari inizialmente avevano lodato il libro e annunciato che sarebbe stato
distribuito nelle scuole palestinesi di ogni ordine e grado. L’iniziativa,
però, è stata accolta da così tante critiche e scherno sui media accademici e
popolari che il governo ha fatto marcia indietro e ha annunciato che il libro,
alla fine, non farà parte del programma scolastico.
Questo è un momento dell’anno angosciante
per noi – un momento in cui ricordiamo i tragici eventi che hanno portato
all’occupazione della Palestina e immaginiamo quel che ancora dovrà succedere
con “l’Accordo del Secolo”. Cerchiamo tra le pieghe della storia non detta dei
vinti e lì apprendiamo della malvagità del progetto sionista e delle potenze
internazionali che hanno fornito agli ebrei colonizzatori gli strumenti necessari
per la conquista della nazione palestinese; del tradimento della leadership
araba ufficiale che ha indebolito i palestinesi, e dell’ingenuità e
dell’inadeguatezza della leadership palestinese che ha riposto la propria
fiducia in questa leadership araba e nelle potenze occidentali. La Nakba è
cominciata molti anni prima dell’effettivo insediamento di Israele e continua
ancora oggi, riflessa nelle nostre profonde preoccupazioni riguardo all’
“Accordo del Secolo” e nella consapevolezza che, dalle origini, le dinamiche
del potere a livello globale non si sono sostanzialmente sviluppate.
La Nakba non riguarda solo i palestinesi, ma l’intero
mondo arabo, perché l’intera regione viene indebolita e danneggiata
dall’occupazione israeliana, anche se è capitato ai palestinesi di “essere tra
i piedi” e di dover essere uccisi o dislocati per fare spazio alla nuova
colonia degli Imperi Occidentali. Lo Stato di Israele è nato grazie a pulizia
etnica, massacri e crimini molto simili a quelli che oggi vengono commessi dallo
Stato Islamico nel percorso verso la creazione dell’ennesimo Stato
religioso. La differenza è che Israele è riuscito a cancellare la memoria. Chi
si ricorda di quando l’Hagana, tra il 22 e il 23 maggio 1948, costrinse i
palestinesi a scavare le proprie fosse comuni a Tantoura, dopodiché sparò e li
seppellì lì? Questa è la storia dell’ “esercito più morale del mondo”. I capi
terroristi del passato sono oggi uomini di Stato e hanno vinto premi Nobel,
anche se il manifesto da ricercato di Menachem Begin dovrebbe servire da
promemoria.
Oggi, l’Eurovision Song Contest che si
svolge a Tel Aviv nell’anniversario dei crimini israeliani dell’ “indipendenza”
è un esempio della strategia di lavaggio del cervello che Israele utilizza da
sempre per indurre la gente a dimenticare la storia, anche quella più recente,
nella quale l’esercito israeliano ha ucciso 60 palestinesi e ne ha feriti 2.700
in un sol giorno, mentre manifestavano al confine di Gaza durante la Grande
Marcia del Ritorno, per protestare contro il trasferimento dell’ambasciata USA
a Gerusalemme.
E mentre la cultura e la politica di Israele sono in
grado di ricordare in modo ipersensibile e maniacale la propria storia, Israele
è implacabile nel suo attacco contro di noi. La guerra contro la nostra storia
è parte della guerra al nostro pensiero, nonché un muto proseguimento della
pulizia etnica della Palestina. Noi conserviamo ricordi carichi di dolore tanto
quanto la speranza per il futuro; si dice che coloro che non ricordano il
passato sono condannati a riviverlo. L’opinione espressa in questo articolo
appartiene all’autore e non necessariamente rispecchia la politica editoriale
di Middle East Monitor.
(Traduzione di Elena Bellini)
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