«La vera insicurezza è incitare all’odio contro chi sta peggio» | Chiara
Cruciati intervista Gino Strada
«Com’è possibile aver fatto negli ultimi 200 anni delle scoperte
incredibili, realizzato cose impensabili in tutti i campi, nella medicina, la
chimica, le nanotecnologie, ma non essere stati capaci di progredire sul piano
etico? Capire che ammazzarsi tra noi è un non senso, è contronatura».
Gino Strada la guerra la conosce bene. La conosce bene Emergency,
l’associazione che fondò nel 1994 per offrire cure mediche gratuite alle
vittime dei conflitti. In Africa, in Iraq, in Afghanistan e, a breve, in Yemen.
Dei 25 anni di Emergency abbiamo parlato con Gino Strada, in occasione
dell’inaugurazione della mostra fotografica Zakhem di Giulio Piscitelli.
Il sottotitolo della mostra è «La guerra a casa». Perché?
Le foto di quei pazienti indicano chiaramente che sono dei civili anche se
per lo più indossano i vestiti bianchi degli ospedali. È nei villaggi, le
città, le case che si combatte la guerra e le vittime sono chi ci abita. Credo
che sia una bella mostra: Giulio ha fatto un ottimo lavoro fotografando i pezzi
di metallo, schegge, proiettili che i chirurghi toglievano in sala operatoria.
C’è la foto del paziente e di cosa lo ha conciato così. È una delle tante
iniziative che stiamo mettendo in cantiere.
Può tracciare un bilancio di 25 anni di attività di Emergency?
Sono stati 25 anni utili. Utili a tantissime persone perché ne abbiamo
curate più di 10 milioni nel mondo. Però sono stati utili anche a noi: abbiamo
imparato tanto. Non solo cose di medicina e chirurgia ma anche cose sulla
guerra e sul mondo, su noi stessi.
Tra i paesi in cui siete oggi attivi c’è lo Yemen, che più di altri oggi
rappresenta il nuovo «modello» bellico: guerra a dei civili, guerra dimentica,
guerra per procura, guerra internazionale attraverso la vendita di armi. Come
leggete il vostro impegno lì?
Non siamo ancora operativi, è tutto pronto ma stiamo aspettando le ultime
autorizzazioni dal punto di vista della sicurezza. Saremo ad Hajjah. È
difficile fare previsioni su cosa ci troveremo di fronte. Lo Yemen è il paese
con il peggior disastro umanitario a livello mondiale, regolarmente ignorato da
quattro anni. Faremo un ospedale per feriti di guerra con i soliti nostri
criteri: i feriti sono i feriti, senza ulteriori specifiche su come la pensano
o da che parte stanno. Faremo il nostro lavoro professionale. C’è da fare poi
un discorso sulla nostra politica che continua a tollerare la vendita di armi
prodotte in Italia da una ditta tedesca all’Arabia saudita che le usa in Yemen.
Nessuno può nascondersi dietro un dito: ci sono accordi commerciali. Ma a
essere assolutamente prioritario è il diritto della popolazione yemenita a
restare viva e non essere bombardata.
L’Italia in Yemen è presente con le bombe fabbricate a Domusnovas dalla Rwm
in violazione della legge 185/1990. Emergency in passato è stata promotrice
della campagna per la messa al bando delle mine antiuomo. La vostra presenza in
Yemen, oggi, potrà darvi una voce più forte?
Penso che le due cose siano assolutamente legate: un’organizzazione che va
in Yemen per cercare di salvare vite umane non può essere d’accordo con il
buttare bombe e con chi le fornisce. A parte differenze sostanziali per cui
stavolta abbiamo di fronte una fabbrica tedesca e non italiana, ci sono
condizioni analoghe al caso delle mine antiuomo: il governo dice un sacco di
bugie. Quello che potrebbe fare subito è una moratoria. Cominciamo a dire che
anche in assenza di una legge questa cosa non si fa più e che dall’Italia non
esce più neanche un serramanico diretto a un paese in guerra. Penso che un
decreto di moratoria possa essere portato in parlamento in 10 giorni.
Guerra e casa sono termini dissonanti, soprattutto per un’Europa che
dichiara con orgoglio di essere priva di conflitti dal 1945, dimenticando
spesso i Balcani. Ma questa assenza è relativa esclusivamente al proprio
territorio: l’Europa è parte attiva nei conflitti che si consumano in altri
paesi, con vendita di armi, prese di posizioni diplomatiche, partecipazione a
campagne militari e, non da ultimo, indifferenza.
Bisognerebbe ricominciare a studiare com’era l’Europa alla fine della
guerra. Me lo immagino un ambiente lugubre e spettrale, attraversato da milioni
di persone in cerca di qualcosa da mangiare, con cui coprirsi. Questa era
l’Europa del primo dopoguerra. Dovrebbe chiarire le idee ad alcuni che hanno la
scappatoia della guerra come soluzione dei problemi. Rischiamo di ricadere
nella stessa retorica, nella stessa spirale: siamo già dentro questa
situazione, la macchina gira di nuovo. Anche a livello internazionale i dati
sono questi: non si sta andando verso un mondo più pacificato, ma verso un
mondo che sta preparando e in parte attuando forme di guerra. La questione
della guerra è etica ma che ha anche un impatto politico enorme: nel paese non
c’è un partito che intenda costruire un percorso per uscire dalla guerra come
prospettiva storica e che chieda cosa facciamo in un’alleanza militare, perché
dobbiamo spendere miliardi in armi quando abbiamo milioni di poveri. Se oggi si
fanno queste domande alla classe politica la risposta è trasversale: «la guerra
è brutta però», «non va fatta ma». Gli scienziati atomici lo dicono da anni:
per il rischio guerra e per come stiamo trattando questo pianeta, non abbiamo
una prospettiva rosea se non interveniamo immediatamente e drasticamente.
Emergency da anni combatte la guerra e i suoi effetti, la fame, le
malattie, migliora le condizioni di vita delle persone. Attività umanitarie ma
che hanno un valore politico: la vostra presenza in determinati contesti «politicizza»
la narrazione dei conflitti, perché ne svela le ragioni. È tornato il tempo, a
sinistra, di approcciarsi ai conflitti, militari o sociali, da un punto di
vista politico e non solo umanitario?
Penso che ci si debba approcciare al tema guerra con un pensiero profondo e
nuovo che è quello esortato nel manifesto di Russell-Einstein del 1955. Un
pensiero nuovo che deriva dal fatto che viviamo nel periodo atomico, la più
grande discriminante tra il nostro periodo e quello precedente. Si deve andare
verso l’abolizione della guerra come suggeriva Einstein prima dello scoppio
della seconda guerra mondiale. E invece si aumentano le spese militari: l’anno
in cui le spese militari italiane sono aumentate di più è stato sotto il
governo Renzi. C’è, se non unanimità di vedute, almeno di comportamenti.
Tra le guerre che l’Europa oggi combatte c’è quella alle persone: si
moltiplicano i muri fisici e quelli politici e simbolici che hanno effetti
devastanti sia su chi tenta di arrivare qui sia sulle società europee, incattivite
e vittime di un annientamento della solidarietà sociale. Come legge oggi la
natura delle società europee?
Non ho grande fiducia nell’onestà delle generalizzazioni o dei sondaggi.
Vedo che c’è chi soffia sull’odio, chi ha voglia di vedere l’odio spandersi a
macchia d’olio, chi inneggia di nuovo alla violenza. È triste perché ti dice
non ci siamo sviluppati molto. Quanto ci mettiamo a fare dei passi avanti dal
punto di vista etico? Se avessimo una popolazione più attenta e istruita, si
potrebbe chiedere conto ai politici che si candidano a rappresentarci. Non sono
idee generali, ma cose specifiche semplici: la guerra non si può fare, non solo
perché c’è un decreto che la vieta ma perché nel mondo atomico, con le armi che
abbiamo sviluppato, non possiamo più permetterci la guerra. Abbiamo creato la
possibilità della nostra autodistruzione. Il fare a meno della guerra diventa
obbligatorio, non una mera scelta etica, ma un meccanismo di sopravvivenza.
Veniamo all’Italia, recentemente ha detto che Salvini porta con sé
l’elemento caratteristico del fascismo: il razzismo. Che pericolo corriamo?
Credo sia sbagliato parlare di pericolo: questa è una realtà. Quando i
ministri cominciano a non fare i ministri, ma vanno in giro a dire la
qualunque, sempre più circondati da un alone di militarismo, la cosa preoccupa
molto. E mi preoccupa l’assoluta mancanza di umanità. Non dovrebbe essere
prendersi cura dei cittadini il lavoro di chi deve garantire la sicurezza? Mi
pare invece sia un lavoro orientato a ignorare i cittadini e spingerli a
puntare il dito contro chi sta più in basso. Non si punta mai il dito in alto:
perché ci sono milioni di poveri in Italia, non si dice mai.
Il ministro dell’Interno parla in questi giorni di un decreto sicurezza bis
che prevedrebbe multe a chi salva vite umane in mare. Si sta superando un’altra
linea rossa? La criminalizzazione della solidarietà avrà effetti duraturi sul
nostro paese?
Questa proposta è allucinante. È frutto di questo clima: siamo già dentro
questa nuova forma di fascismo, che non si presenterà negli stessi termini
della volta precedente ma non sarà meno dannosa. Avere sempre come nemico chi
sta peggio e impostare questa contraddizione sulla paura dell’altro è un modo
di pensare, prima che di comportarsi, che speravo sparito nella mentalità degli
europei. Invece no. Negli intermezzi tra le tragedie non riusciamo mai a
trovare il bandolo della matassa. La Dichiarazione universale dei diritti umani
a distanza di 90 anni non è stata integralmente applicata da nessun paese
firmatario. Erano i principi che dovevano orientare la politica dei governi, ma
nessuno è andato in quella direzione.
(Il
Manifesto, EDIZIONE DEL15.05.2019)
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