Qualcuno
citofoni al ministero dell’Interno e dica al ministro Salvini (sempre che non
sia in gita elettorale o enogastronomica) che mentre lui si accanisce
contro 40 disperati al largo di
Lampedusa la ‘ndrangheta continua a mangiarsi il Paese e a
stringere rapporti con uomini della politica.
Che a
Piacenza venga arrestato il presidente del
Consiglio comunale(Giuseppe Caruso, esponente del partito di
Giorgia Meloni, così tanto affine proprio al ministro Salvini) per i presunti
rapporti con la storica cosca dei Grande Aracri è una notizia che dovrebbe
rimbalzare in ogni dove al ministero, mettere in allarme gli uomini migliori e
impiegarli per valutate soluzioni pronte e urgenti.
Cose ben
diverse da quei pessimi decreti sicurezza che
servono solo per diseredare gli ultimi e incattivire i penultimi. Salvatore
Grande Aracri, Francesco Grande Aracri e Paolo Grande Aracri sono nomi che chi
si occupa di criminalità organizzata conosce da tempo, benché in Emilia ci sia
ancora qualcuno che finge di non sapere e di non accorgersene e il compito di
un ministro non è quello di twittare complimenti alla Polizia dopo l’operazione
ma di pensare, studiare, proporre nuove soluzioni legislative (e di governo)
per evitare che le mafie riescano ad arrivare sempre ai gangli più importanti
delle amministrazioni cittadine.
Per capirsi:
oltre ai complimenti delle forze dell’ordine sarebbe da capire anche cosa ne
pensa il ministro di avere reso ancora più blando il codice degli appalti nelle
amministrazioni pubbliche proprio in un momento in cui le mafie sembrano
assolutamente pervasive.
Ci
piacerebbe sapere da Salvini, al di là del suo hashtag #lamafiamifaschifo da
bambino di prima elementare, cosa ha intenzione di fare per evitare il
ripetersi di queste situazioni e quali iniziative, da ministro dell’Interno, ha
intenzione di intraprendere per rovesciare questo stupido pensiero (appoggiato
dai leghisti in primis) che la mafia non sia una questione settentrionale.
Ma
soprattutto sarebbe da chiedere a Salvini se davvero pensa di poter andare
avanti per molto a farci credere che quei 40 disperati sulla Sea Watch siano un
problema per la nostra democrazia più grave dei clan che condizionano le scelte
politiche, economiche e imprenditoriali di intere comunità inseguendo il
proprio interesse privato ai danni del pubblico con l’aiuto di funzionari
pubblici e di pezzi della politica.
Perché viene
da ridere a guardarlo da fuori un Paese che si accanisce con una Ong e intanto
viene sottomesso alla ‘ndrangheta. O no?
da qui
Nessun commento:
Posta un commento