Succede
oggi, in una mattina di questi roventi giorni di inizio estate. Mentre l’Italia
si sveglia, la Sea Watch pendola davanti Lampedusa, con 53 migranti a bordo.
Salvini da terra sbraita che in Italia non entreranno: è una sensazione di
deja-vu perenne, che viviamo ormai da un anno e passa. Un’altra estate, altre
navi, altri morti. La propaganda leghista ha necessariamente dovuto cambiare
strategia: non si dice più che gli sbarchi sono diminuiti, perché era evidente
quanto fosse falso. Ora si dice altro: si distorcono le accuse di inumanità
fatte alla Lega e si rispediscono al mittente, ora le Ong sono ‘pirati’,
trafficanti, assassini. I cattivi di questa storia di mare e sangue sono loro.
E non c’è niente, davvero niente di più insopportabile che vedere chi fino a
ieri li chiamava ‘scimmie’ ora mettersi dalla parte dei migranti, ostaggio dei
malvagi volontari della Sea Watch. Ma la loro coscienza sporca non riesce a non
emergere; d’altronde il ‘buonismo’, come loro chiamano la solidarietà, è come
un muscolo, va addestrato. Non ci si improvvisa esseri umani.
Mentre
quindi ci si prepara a una nuova giornata di deragliamenti politici e umani,
l’account twitter della Sea Watch International pubblica delle foto: sono
alcune immagini dei migranti a bordo della nave. Sono ragazzi sorridenti, in
salute. C’è una donna con un bambino. Sembrano felici. E chi voleva le lacrime
come prova della sofferenza non si accontenta dei sorrisi di sollievo di chi è
stato salvato dal mare. I negri devono piangere, devono supplicare per la
misericordia dell’italico uomo bianco. Altrimenti non c’è gusto.
E quindi
sotto il tweet si scatena il peggio dell’infamità sovranista. Al di là degli
insulti razzisti, cui abbiamo fatto tristemente il callo, la maggior parte
asserisce di non credere a quelle storie che sono raccontate ogni giorno sulle
atrocità dei lager libici. Eppure i video ci sono, le foto anche. Ma non
crederci è più semplice. È sempre più semplice non lasciare che la coscienza
adombri le nostre giornate di sole. È più facile credere ai complotti per la
conquista dell’Europa che al fatto che dall’altro lato del mare in migliaia
sono detenuti in campi di concentramento. Quali lager, si chiedono, ti
permettono di avere una chitarra, come quella tenuta in mano da uno dei
migranti in foto. E si ripete la stessa storiaccia dello smalto di Josefa, da
cui è passato un anno. L’idea che quella chitarra potesse trovarsi già a bordo
della nave, proprio per momenti come questi, in cui si pendola davanti a un
porto per giorni, in attesa di un segno umano dalla terraferma, non li sfiora
nemmeno i sovranisti. Perché, ripeto, l’umanità non è qualcosa di innato. E per
chi non l’ha mai praticata al di là dell’orticello di casa propria, può
apparire inconcepibile un gesto di gentilezza. Deve esserci sotto qualcosa.
È lì che ho
pensato che ormai il livello cui siamo arrivati è più basso di quello dei
nazisti tedeschi: dopo la diffusione delle immagini dei lager libici, in molti
hanno detto ‘non potremo dire che non sapevamo’. Il punto è che non lo vogliamo
dire. Il punto è che ce ne freghiamo proprio. Non c’è foto di torture, di
sporcizia, di inumanità, non c’è racconto di violenza o di stupri che scalfisca
il nostro animo di piombo. Siamo immersi nella rabbia, una rabbia nociva che
offusca la mente, siamo incapaci di provare la minima compassione. Siamo
regrediti, subumani, peggio del peggio di qualunque sputazzante e sbeffeggiante
popolino delle piazze medievali. Questo cancro di disumanità infetterà la nostra
estate per i mesi a venire e regalerà sempre più potere a chi insiste nel
risolvere i problemi dando la colpa a qualcun altro, qualcuno di indefinito,
che non può difendersi, parafulmine per la nostra frustrazione, per il nostro
odio, per i nostri incubi di occidentali falliti.
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