(da Middle East Eye)
Ciò che avviene in Cisgiordania e a Gerusalemme est
non è solo un’occupazione militare.
Le congetture riguardo al “piano di pace per il Medio
Oriente” della Casa Bianca continuano a dominare le informazioni sui media
israeliani e dei palestinesi; l’ultimo esempio è dato dall’annuncio di un
“workshop” a giugno ospitato dal Bahrein per incoraggiare gli investimenti
nell’economia palestinese.
Tuttavia, con l’eccezione della Striscia di Gaza – e
solo parzialmente e in modo selettivo – viene posta una minima attenzione agli
sviluppi sul terreno nei territori palestinesi occupati.
In Cisgiordania e Gerusalemme est il paradigma
dell’occupazione militare è insufficiente da solo per comprendere che cosa stia
accadendo –vale a dire, una pulizia etnica.
Che cos’è una pulizia etnica?
La recente Giornata della Nakba ha portato – almeno in
alcuni ambiti – ad una riflessione sulle espulsioni di massa e sulle atrocità
che hanno accompagnato la fondazione dello Stato di Israele. Ma la pulizia
etnica non è un evento storico in Palestina: sta succedendo adesso.
In un saggio del 1994 sulla definizione di pulizia
etnica, il giurista Drazen Petrovic ha evidenziato “l’esistenza di una
sofisticata politica che sottende a singoli eventi”, eventi, o prassi, che
possono comprendere diverse “misure amministrative”, come anche violenze sul
territorio da parte di attori statali e non statali.
Lo scopo, ha scritto Petrovic, potrebbe essere
definito come “una modificazione irreversibile della struttura demografica” di
una particolare area, e “il conseguimento di una posizione più favorevole per
uno specifico gruppo etnico risultante da negoziati politici basati sulla
logica della divisione lungo linee etniche.”
Questa è una corretta descrizione di ciò che sta
avvenendo oggi in tutti i territori palestinesi occupati per mano delle forze
dello Stato israeliano e dei coloni israeliani.
In parecchie località lo Stato e i coloni stanno
lavorando congiuntamente per modificare forzatamente – attraverso “misure
amministrative” e violenze – la composizione demografica locale.
Prendete la Valle del Giordano, lungo il lato
orientale della Cisgiordania, dove le famiglie palestinesi sono costantemente e
ripetutamente evacuate con la forza dalle loro case, a volte per giorni, dalle
forze di occupazione israeliane, per esercitazioni di addestramento militare.
Secondo un reportage di Haaretz, gli abitanti di Humsa
– per fare un esempio – sono stati evacuati con la forza dalle loro case decine
di volte negli ultimi anni. “Anche se ogni volta ritornano”, sottolinea l’articolo,
“alcuni di loro sono esausti ed abbandonano le loro case per sempre.”
Non sono incidenti isolati
Nell’aprile 2014 un colonnello israeliano ha detto in
una riunione della commissione parlamentare che nelle zone della Valle del
Giordano “dove abbiamo significativamente ridotto la quantità di addestramenti,
sono cresciute le erbacce” –intendendo indicare con questo termine le comunità
palestinesi. “È qualcosa che dovrebbe essere presa in considerazione”, ha
detto.
Recentemente un abitante di Khirbet Humsa al-Fawqa –
una piccola comunità nel nord della Valle del Giordano – ha detto a Middle East
Eye: “Non so se stanno realmente svolgendo un’esercitazione militare. A volte
ci fanno evacuare e non fanno niente. Il loro scopo è costringerci a lasciare la
zona definitivamente.”
Intanto l’Ong israeliana per i diritti umani B’Tselem
all’inizio del mese ha riferito di un “aumento della frequenza e della gravità
degli attacchi da parte dei coloni” contro i palestinesi nella Valle del
Giordano.
I coloni “minacciano I pastori, li cacciano, li
aggrediscono fisicamente, guidano a tutta velocità in mezzo alle greggi per
spaventare le pecore e addirittura le travolgono o le rubano”, ha dichiarato
B’Tselem, aggiungendo che “i soldati sono di solito presenti durante questi
attacchi e a volte vi prendono anche parte.”
B’Tselem ha detto che questi attacchi “non sono
incidenti isolati, ma piuttosto parte della politica che Israele applica nella
Valle del Giordano.”
Lo scopo è “impadronirsi di più terra possibile,
spingendo i palestinesi ad andarsene, scopo raggiunto con varie misure, incluso
rendere la vita in quei luoghi così insostenibile e sconfortante che i
palestinesi non abbiano altra scelta che lasciare le proprie case,
apparentemente ‘per scelta’”.
Questa situazione, sintetizza la Ong, “è fatta di
attacchi coordinati di soldati e coloni”, e anche di “un divieto assoluto di
sviluppare le comunità palestinesi con la costruzione e l’edificazione di
infrastrutture vitali, incluse acqua, elettricità e strade.”
Le comunità palestinesi nella Valle del Giordano sono
solo alcune di quelle minacciate dalla politica israeliana di pulizia etnica.
Si possono trovare altri esempi nei quartieri palestinesi di Gerusalemme est
occupata, come Sheikh Jarrah e Silwan.
Fatti sul terreno
Il 3 maggio Jamie McGoldrick, coordinatore umanitario
dell’ONU in Palestina, ha avvertito che le demolizioni a Gerusalemme est da
parte delle autorità israeliane “sono aumentate a una velocità impressionante”,
con 111 strutture di proprietà palestinese distrutte a Gerusalemme est nei
primi quattro mesi del 2019.
In queste comunità palestinesi lo Stato israeliano, la
magistratura e le organizzazioni dei coloni fanno sforzi congiunti per
espellere – e rimpiazzare – le famiglie palestinesi.
Lo scorso novembre la Corte Suprema israeliana “ha
aperto la strada al gruppo di coloni Ateret Cohanim [che intende creare una
maggioranza ebraica nei quartieri arabi di Gerusalemme, ndtr.] per proseguire i procedimenti legali per espellere almeno
700 palestinesi che vivono nella zona di Batn al- Hawa” di Silwan. La Ong Ir
Amim [associazione israeliana che difende i diritti di tutti gli abitanti di Gerusalemme, ndtr.]
afferma che le espulsioni sono fondamentali per “una rapida diffusione di nuovi
fatti sul terreno”.
In base a qualunque ragionevole definizione del
termine, qui Israele sta portando avanti la pulizia etnica: l’uso di misure
amministrative e della violenza da parte di forze statali e di coloni per
cacciare i palestinesi dalle loro terre ed infine produrre una trasformazione
demografica irreversibile di diverse località.
Così, il governo israeliano – da tempo abituato
all’assenza di una chiamata alla responsabilità a livello internazionale per
queste prassi – sarà solo molto felice non solo dei contenuti del “piano di
pace” USA, ma anche dall’opportuna distrazione che esso fornisce riguardo alla
terribile realtà che sta dietro ad ancor più numerosi “fatti sul terreno.”
Ben White
Ben White è l’autore di “Israeli Apartheid: A
Beginner’s Guide” [Apartheid israeliano: una guida per principianti] e di
“Palestinians in Israel: Segregation, Discrimination and Democracy”
[Palestinesi in Israele: segregazione, discriminazione e democrazia]. Scrive
per Middle East Monitor e i suoi articoli sono stati pubblicati da Al Jazeera,
al-Araby, Huffington Post, The Electronic Intifada, The Guardian e altri.
(Traduzione di
Cristiana Cavagna)
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