il libro inizia con un bambino urlante.
urla affannato che c'è stato un omicidio, ma forse è solo la sua impressione.
esiste un ponte, che separa la cittadina dalle case sparse.
pochi personaggi hanno un nome, sarebbe un elemento di chiarezza in una storia dove tutto è incerto, insicuro, precario.
e poi ci sono i bambini, che vivono in strada, e dormono in un edificio disabitato, sono una banda, si arrangiano come possono.
la polizia appare ogni tanto, viene da lontano, e poi c'è l'uomo del censimento, deve ordinare, definire, scrivere indagare.
ma questo avviene alla fine.
si respira una qualche aria di Agota Kristof, tante cose non dette, luoghi e persone non individuabili, individui incatenati alle regole del luogo, andarsene è difficile, ma non impossibile.
è un libro di fantascienza, quella classica? direi di no, piuttosto un libro di misteri.
China Miéville sa, anche questa volta, come tenere il lettore legato alle pagine, alla storia, alla ricerca di una verità.
in confronto ai precedenti romanzi di centinaia di pagine questo è solo un racconto lungo che si fa leggere bene.
…Di etichette gliene sono
state attaccate molte, da quella dello scifi a quella del new weird, ma non
siamo molto sicuri che il suo ultimo romanzo breve – o racconto lungo, L’uomo
del censimento, possa davvero essere definito da un’etichetta. Tra horror
e noir, grottesco e mistery, fantascienza e urban fantasy, L’uomo del
censimento è un esempio magistrale di come il contenuto possa, alla
fine, avere il potere di distruggere qualsiasi forma di narrazione conosciuta…
…La
vera rivoluzione di questo romanzo, però, non sta né nella storia narrata, né
nell’ambientazione post-apocalittica e iper-realistica, né nella denuncia
sociale che ben conosciamo in Miéville. La grande originalità de L’uomo
del censimento è, prima di tutto, formale: in un testo in cui domina
la precarietà, Miéville mima stilisticamente l’ambiguità, l’incertezza, i
“forse” e i “vedremo” dell’universo cui ha dato vita. A questo scopo ‘rompe’ la
forma narrativa della prima persona e sin dalla prima pagina ci ritroviamo
sbalzati dall’io narrante alla terza persona, passando anche da
un tu generico in cui il narratore sembra voler parlare
direttamente al “sé” bambino.
Rincorriamo,
così, la narrazione tra il presente di chi sta narrando e i suoi ricordi che
oscillano essi stessi, tra quelli dei giorni immediatamente successivi al
tragico evento che ha segnato la sua esistenza, ad altri, precedenti allo
stesso, con cui cerca di ricostruire, in un quadro più generale, la sua vita e
quella dei genitori. Come in una lunga seduta psicanalitica, China Miéville fa
confluire nelle sue pagine tutta la vita, i pensieri, i ricordi, i timori e le
paure del suo protagonista, lasciandole libere di essere, semplicemente,
narrazione soggettiva…
…La narrazione
passa dalla terza alla prima persona all’interno della stessa frase, spostando
in modo spericolato e affascinante il punto di vista da osservatore esterno
fintamente oggettivo a osservatore interno estremamente soggettivo.
Molte cose nel
romanzo rimangono non dette e non spiegate, ma il fascino della vicenda, i
livelli di lettura stratificati e la complessità interiore del protagonista
rendono la lettura estremamente appagante.
Non è un romanzo
che piacerà a tutti, ma a chi saprà apprezzarlo regalerà ottime sensazioni e
spunti di riflessione…
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