Julian Assange è stato arrestato, imprigionato, minacciato di estradizione negli US dove potrebbe dover affrontare l’isolamento permanente o la morte. Sembra che venga considerate estremamente pericoloso dagli US e loro alleati. Perché? Perché ha svelato la debolezza della cultura di guerra – la sua segretezza e le sue menzogne.
Come abbiamo analizzato in precedenza, c’è stato un tale progresso nella democrazia come nella consapevolezza antibellica nei secoli [sic] più recenti che lo stato ha trovato sempre più difficile ottenere un sostegno diffuso per le sue guerre, aperte e segrete, e per le sue minacce di guerra. La gente non voterà più per cose del genere. Per aggirare il problema e continuare la propria cultura di Guerra, lo stato è ricorso sempre più alla guerra segreta, a minacce segrete, e ad autentiche menzogne al fine di giustificare la sua dichiarata bellicosità. La guerra contro il Vietnam fu giustificata da un attacco inventato nel golfo del Tonkino. La guerra contro l’Iraq fu giustificata dalle “armi di distruzione di massa” inventate.
Il controllo dell’informazione è diventato un mezzo cruciale per la cultura dei guerra – senza il quale non può sostenersi.
In passato, solo alcuni dei segreti e delle bugie degli US e dei loro alleati sono state rivelate, come appunto il golfo del Tomkino e le “armi di distruzione di massa”. Ma grazie a Julian Assange e alla sua organizzazione WikiLeaks, ne abbiamo appreso molti di più negli ultimi pochi anni.
Come reagiscono i governi? Di certo non si scusano né promettono di dire la verità! Cercani invece di controllare i media. Come descritto in CPNN questo mese, la libertà di stampa è sotto attacco. E mentire da parte dei governi è diventato così scontato che l’attuale president US racconta bugie ovvie quasi ogni giorno e si è circondato di consiglieri che faranno lo stesso. Di fatto, il ripetuto mentire del presidente US e dei suoi consiglieri è negli US una delle poche conclusioni del lungamente atteso “rapporto Mueller”. Ma facendo un passo in più: il rapporto Mueller dice la verità? Benché questo è quanto paiono pensare i media commerciali, ci sono osservatori indipendenti che pensano che il rapporto Mueller, come il rapporto Warren dopo l’assassinio di [JF] Kennedy, possa risultare una copertura elaborata. Data la corrente pletora di bugie governative, dovremmo restare scettici.
E come reagiscono i media commerciali? Criticano i governi su molti temi, ma quando si tratta di faccende di guerra e pace ripetono senza esitazione le bugie dei governi. Un caso a proposito è la trattazione mediatica degli avvenimenti in Venezuela dei pochi mesi scorsi. Come recentemente dimostrato in CPNN, è quasi impossibile venire a sapere dai media commerciali che cosa stia davvero accadendo in Venezuela. E recentissimamente le fandonie del governo US sul tentato colpo di stato sono diventate altrettanti titoli senza batter ciglio, non solo da parte di Fox News, ma del New York Times, Washington Post, Guardian, BBC, etc. Questo non è sostenibile: come in un detto famoso di Abraham Lincoln: “Si può buggerare tutti quanti per qualche tempo e qualcuno sempre, ma non tutti sempre”. La gente non crede più al proprio governo.
Uno degli effetti è il suo andamento elettorale sempre più erratico. Adesso si vota per i candidati più anti-establishmentcome Trump e Bolsonaro. Di conseguenza, le politiche governative risultanti sono divenute a loro volta sempre più erratiche, sconvolgendo gli equilibri e le strutture tradizionali delle relazioni internazionali.
La gente adesso comincia a non credere più nemmeno ai mass media. Quale ne sarà l’effetto?
Una cosa possiamo dire per certa. Questi andazzi non sono sostenibili!
E arrivano in un momento in cui ci sono altre tendenze non sostenibili: il divario crescent fra ricchi e poveri, la distruzione dell’ambiente, il cambiamento del clima, la struttura della finanza globale basata sul debito e sulla speculazione che supera ampiamente l’effettiva produzione, produzione e vendite militari in pieno sviluppo, e la gara agli armamenti nucleari sempre più fuori controllo.
Analizzando l’accumulo di tali contraddizioni insostenibili nell’Unione Sovietica del 1980, Johan Galtung predisse il crollo dell’impero sovietico entro il 1990. Aveva ragione. E analizzando l’accumulo di tali contraddizioni insostenibili nell’impero americano, ne ha predetto il crollo per il 2020 – sì, l’anno prossimo!
E parlando del crollo dell’impero, dobbiamo considerare il ruolo chiave della fiducia e della mancanza di fiducia della gente nei propri governi e media.
Questo l’ho visto dal vivo di tanto in tanto in Unione Sovietica negli anni prima del suo crollo. La gente non credeva più al suo governo o ai suoi media. Come dicevano, non si trovava alcuna verità nella Pravda [=verità] e niente informazioni veritiere nell’Izvestia [=informazioni]. Il presidente Gorbaciov tentò di correggere questo stato di cose con le sue “glasnost [=trasparenza] e perestroika [=conversione]” ma gli riuscì troppo poco troppo tardi. Quando l’economia sovietica si fracassò, la gente non uscì per strada per sostenere il governo o ricostruirlo, lavandosene anzi le mani, dicendo di fatto “che si schianti, non val la pena di salvarla”.
Se l’ economia globale si schianta (l’anno prossimo?), chi scenderà per strada per salvarla?
Quando l’economia globale e i governi nazionali si fracassarono negli anni 1930, che successe? Ricademmo nella cultura di guerra nella sua forma estrema. Il fascismo; e per concludere, nella guerra mondiale.
Non permettiamo che questo riaccada! Prepariamoci invece per una transizione alla cultura di pace.
In blog precedenti abbiamo esplorato le varie tendenze che potrebbero potenzialmente contribuire a una tale transizione:
- un movimento studentesco globale
- un “continuum rural-urbano” basato sull’energia solare e su veicoli elettrici
- la preparazione per una ONU gestita da rappresentanti diretti della gente anziché degli stati-nazione.
Non abbiamo bisogno di un proverbio cinese che ci dica che una crisi è un’opportunità quanto un pericolo.
Non facciamoci distrarre dalle bugie dei governi e dei loro sostenitori mediatici, ma continuiamo a lavorare positivamente su queste e altre potenziali “opportunità” che possono emergere dall’attuale crisi.
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