ATTENZIONE:
Questo breve articolo racconta una storia ancora aperta, il cui esito potrebbe
dipendere anche dalla nostra capacità di creare pressione sugli attori in campo,
in primis sulla Città Metropolitana di Milano.
I nostri
contratti in somministrazione scadranno il 31 maggio. Dunque, ad oggi, e fino
alla fine di maggio, siamo lavoratori “somministrati” ad Afol. Dal prossimo
anno invece Afol ci vuole prendere in “leasing”. Se – come dicono – le parole
sono importanti, appare evidente come in queste formule contrattuali il
lavoratore sia niente più che un semplice bene strumentale, un oggetto, che si
prende e che si dà in prestito. Una semplificazione a cui questa volta abbiamo
detto no. Abbiamo detto no al disconoscimento del nostro valore professionale,
abbiamo detto no alla continuazione della mortificante esperienza del lavoro in
somministrazione, abbiamo detto no all’ennesimo contratto legale che però
aggira la legge; abbiamo invece detto sì alla nostra dignità di lavoratori e di
persone, abbiamo detto sì ai ragazzi che incontriamo a scuola tutti i giorni e
che meritano docenti sereni, tutelati, competenti e appassionati.
Milano,
2019. Siamo a Milano nel 2019, nella
capitale del buon governo riformista. Questo è un passaggio del comunicato
scritto dai docenti interinali che lavorano nei Centri di Formazione
Professionale di Afol (Agenzia di formazione e orientamento al lavoro)
Metropolitana di Milano, azienda consortile della Città Metropolitana che
organizza e gestisce corsi professionali triennali per giovani in età di
obbligo scolastico: corsi per estetista, parrucchiere, meccanico, sarto e altri
ancora. Con le stesse parole i docenti si sono rivolti anche a chi governa il
Comune di Milano e la Città Metropolitana chiedendo che non si mascherino
dietro la formale autonomia aziendale di Afol, nonché alla Regione Lombardia,
che ha il potere legislativo in materia di istruzione, formazione e lavoro e
che ha creato e governa il sistema di competizione attraverso l’accreditamento,
sistema che ha messo in concorrenza i diversi “erogatori” pubblici e privati di
servizi formativi e di cui la condizione di questi lavoratori è conseguenza.
Secondo i
dati aziendali del 2018, circa 110 lavoratori – sparsi in diversi istituti nel
territorio metropolitano della città, lavorano in Afol come “somministrati”
ovvero sulla base di un contratto con l’agenzia interinale Oasi Lavoro (che fa
parte di una rete di aziende che girano intorno alla cooperativa sociale Punto
Blu e opera in diverse regioni italiane): i loro contratti vanno da settembre a
maggio per poi essere nuovamente stipulati all’inizio dell’anno scolastico
successivo. Si tratta del 20,4% del personale in servizio, una percentuale
quasi triplicata in due anni (nel 2016 erano il 7,5%). Nel bilancio di
previsione del 2018 l’azienda annuncia poi la cessazione del turn-over: da
domani entreranno a lavorare nell’ente solo lavoratori interinali[1].
Si tratta di una forma di lavoro particolarmente apprezzata dai vertici di Afol
Metropolitana perché questa tipologia di contratto è strutturalmente
più flessibile ed ha consentito di incaricare le persone solo per le ore
effettive di erogazione del servizio. Si è stimato su anno formativo un
risparmio prossimo al milione di euro (Relazione del Direttore
Generale per l’anno 2017). Dunque nemmeno un’ora riconosciuta per programmare
il lavoro da fare con gli studenti, per rielaborarlo, per condividerlo in modo
adeguato con i colleghi, le famiglie, la rete di servizi che spesso segue gli
studenti.
Un mese di
passione. Nell’ultimo
mese il ritmo degli avvenimenti è stato frenetico: prima di Pasqua i lavoratori
vengono avvisati dall’azienda che in base al cosiddetto Decreto Dignità i
contratti che attualmente vincolano la loro prestazione per conto di Oasi al
lavoro presso Afol, non può più essere loro riproposto: troppi rinnovi già
compiuti. Giustizia vorrebbe fossero assunti direttamente da Afol, ma come
vedremo l’azienda ha idee diverse e li informa che una trattativa è in corso
con i sindacati. Ma quale capacità di rappresentanza esprimono oggi i sindacati
confederali rispetto alla precarietà che caratterizza molti settori del lavoro?
Per esempio: quale capacità di rappresentanza esprimono dentro Afol rispetto
alla condizione dei lavoratori interinali? Come la costruiscono? Cosa impedisce
loro di assumere in modo più serio e profondo la rappresentanza di questi
settori? Domande che restano aperte. Domande cui rispondere per porre un limite
allo sfascio del mondo del lavoro in corso da decenni. Il discorso merita altro
spazio e sarà forse possibile ritornarci.
Ai primi di
maggio, un pre-accordo tra sindacati e azienda è raggiunto. Non senza
difficoltà, i lavoratori ottengono un’assemblea in cui i sindacati ne
presentino i contenuti e raccolgano la loro posizione. Durante l’assemblea
viene presentata e difesa a lungo come la migliore possibile la seguente
proposta: assunzione da parte di Afol per il 10% dei lavoratori; per il
restante 90% un contratto in staff leasing, ovvero l’assunzione a
tempo indeterminato presso l’agenzia interinale, con un monte ore settimanale
di 12 ore e uno stipendio inferiore a 500 euro. In questo modo i docenti
vedrebbero ridotto (in alcuni casi anche di un due terzi) il proprio orario di
lavoro e sarebbe seriamente minacciata la continuità didattica per gli
studenti. Inoltre, il ruolo di datore di lavoro dell’agenzia interinale sarebbe
rafforzato, e ridotta la possibilità dei lavoratori di avere voce su modi e
tempi del proprio lavoro. Ciononostante la scelta è difficile: molti non
possono rinunciare a un salario e sono tentati di accettare: “meglio della
disoccupazione” pensano; altri possono permettersi di lavorare poche ore perché
hanno un secondo impiego; per tutti è comunque una situazione umiliante, anche
per i modi e i tempi strettissimi in cui viene chiesto loro di prendere una
decisione.
Al termine
di una discussione molto tesa, la maggioranza dei lavoratori boccia l’accordo e
spinge la CGIL a dichiarare lo “stato di agitazione”. Nei giorni immediatamente
successivi circolano nelle chat dei lavoratori strane lettere con cui diversi
lavoratori che avevano votato a favore dello stato di agitazione dichiarano di
aver cambiato la propria posizione nel giro di una notte. I lavoratori
informano i sindacati di questi strani e improvvisi cambi di opinione e
chiedono di vigilare rispetto al rischio di indebite pressioni.
Seguono due
incontri di mediazione presso la Prefettura, il cui esito verrà comunicato ai
lavoratori in un’assemblea il giorno 22 maggio: domani.
Un passo
indietro, una storia più grande. Ma che cosa è Afol? Afol è una delle tante aziende
pubbliche create dagli enti locali negli ultimi decenni e racconta una storia
più grande e importante. Gli elementi cui prestare attenzione sono almeno tre.
In primo luogo, a livello di Comuni, Consorzi e Province (e ora Città
Metropolitane) c’è la scelta – fortemente influenzata dai vincoli di bilancio
nazionali ed europei – di ridurre la propria spesa, creando soggetti giuridici
formalmente autonomi cui far gestire servizi pubblici in forma di azienda,
aggirando così i vincoli fiscali in essere.
Tuttavia,
ecco la seconda questione, queste aziende hanno evidentemente bisogno di un
finanziamento considerevole: pensiamo a scuole professionali con costi di
struttura, di personale (docente, amministrativo, Ata), laboratori, materiali
di consumo, ecc. Gli enti locali però hanno creato le aziende esattamente per
non dover più finanziare totalmente, restando al caso di Afol, il funzionamento
di quelle scuole. Dunque chi paga?
E così
arriva il terzo passaggio: le Regioni costruiscono un sistema di concorrenza
regolata tra gli enti, pubblici o privati poco importa, che “erogano” corsi di
formazione professionale. L’azienda pubblica a quel punto si trova a competere
con aziende di diversa natura che operano nel settore. Intanto, in ottica di
riduzione dei costi, i finanziamenti pubblici diretti si restringono e vengono
solo parzialmente sostituiti altri finanziamenti, pubblici ma gestiti
attraverso il mercato regolato dell’accreditamento. È il sistema delle “doti”,
nel nostro caso la Dote Scuola – secondo il quale, in nome della “libertà di
scelta delle famiglie”, queste ricevono il finanziamento pubblico per iscrivere
i figli in una scuola tra le tante in competizione.
Con la
combinazione di queste tre mosse l’azienda pubblica si trova a competere con
aziende private, non-profit e for-profit e ad adattare il proprio sistema di
management, a partire dalla gestione delle risorse umane che rappresentano la
principale uscita di bilancio, ai parametri e ai valori dei propri
“competitor”. Aumentano così le assunzioni a tempo determinato prima e quelle
tramite agenzie interinali poi.
Mentre
rimandiamo alla cronaca della recentissima inchiesta della DDA di Milano per
quanto riguarda le accuse che pendono sul top management di un’azienda tanto
attenta a ridurre il costo del personale, è da notare che il Direttore Generale
e il CDA riferivano e riferiscono tutt’ora a un’assemblea consortile (“organo
di indirizzo e controllo politico amministrativo dell’azienda” secondo lo
Statuto di Afol) composta da sindaci e delegati dei 68 Comuni della Città
Metropolitana di Milano. Tutti questi organismi esprimono al momento una
maggioranza di Centrosinistra, del Partito Democratico in particolare, e ai
loro rappresentanti i lavoratori hanno scritto, chiedendo di pronunciarsi e
intervenire sulla vicenda. Aspettano una risposta e intanto preparano nuove
iniziative.
Un lavoro
degno La richiesta
dei lavoratori è semplice e radicale assieme: “stesso lavoro, stesso salario”.
Chiedono in altre parole all’azienda di invertire totalmente l’orientamento al
lavoro somministrato e in staff leasing e di riassumere il
ruolo di servizi pubblico negli scopi e nei mezzi, a partire dall’offerta di un
“lavoro degno”, tanto per parafrasare una delle tante iniziative roboanti
promosse dal Centrosinistra milanese:
Nei giorni
scorsi, la città di Milano ha partecipato all’iniziativa “Decent Work Cities”,
rete di città per un lavoro degno. Ci siamo quindi domandati quale sarebbe un
lavoro degno nei CFP di Afol. Crediamo che Afol dovrebbe rivedere in profondità
la sua politica di gestione del personale alla luce di un principio semplice:
per svolgere un buon lavoro ci vogliono buone condizioni di lavoro. Questa è la
nostra richiesta: Afol stimi il personale necessario al funzionamento della
formazione e lo assuma stabilmente, garantendo a tutti un “decent work”, un
lavoro degno.
La lotta è
in corso, ci sarebbero ancora tante cose da raccontare, tante domande da
aprire. Per ora, quanto raccontato basta a farne una vicenda importante per la
città, con un significato nazionale e perfino europeo, alla vigilia delle
prossime elezioni. Candidati alle elezioni europee: che lavoro avete in mente
per noi?
Facciamo
sentire la voce dei lavoratori somministrati di Afol Metropolitana!
E state
connessi, che l’ultima parola non è detta!
Note
[1]Tutti i dati e i documenti citati sono reperibili nel sito di Afol
Metropolitana o nei siti degli enti inglobati dall’azienda: www.afolmet.it/index.php/amministrazione-trasparente/;www.afolsudmilano.it; http://www.agenziaestmilano.it/
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