martedì 18 giugno 2019

La corruzione del linguaggio - Gustavo Esteva




E’ senza dubbio la più grave. Ma non ne parliamo quasi mai. Noi sperimentiamo il mondo in base alle parole che usiamo. Non possiamo separare il linguaggio dalla condizione umana. Alludere alla corruzione del linguaggio significa quindi parlare di un danno profondo alla nostra esistenza. Denunciare, come faccio qui, che questa corruzione è diventata lo stile dell’attuale governo messicano è soltanto un modesto tentativo di richiamare l’attenzione su uno dei mali più gravi che gravano su di noi.
Il controllo del linguaggio è sempre stato uno strumento di dominio. Il capitalismo ha semplicemente approfondito ed esteso pratiche precedenti. Questo esproprio ha assunto un significato particolarmente pernicioso dopo la seconda guerra mondiale.
Il linguista tedesco Uwe Pörksen ha documentato il modo in cui è stata imposta al linguaggio vernacolare [ndt: dal vocabolo latino vernaculum, che si riferisce a tutto ciò che è indigeno e casalingo – fatto in casa, allevato, coltivato o prodotto sul posto] la tirannide di un linguaggio modulare fatto di parole che egli chiama ‘di plastica’ [ndt: parole che hanno molte accezioni e incutono rispetto, ma non hanno nessun significato chiaro e concreto]. Il suo studio è affascinante ma molto deprimente. Fa vedere come siamo stati spogliati di parole buone e solide, con cui davamo pieno significato alle interazioni fra di noi. Al loro posto ci sono oggi termini vuoti che non significano nulla ma sono pieni di connotazioni. Quelli che le usano credono di star dicendo qualcosa di molto importante e possono ricevere segnali di approvazione da parte di chi li ascolta, ma si stupirebbero se un esperto spiegasse loro il significato del termine: non ha nulla a che vedere con ciò che credono di stare dicendo.
Pörksen spiega il modo in cui si è instaurata questa tirannide: quando la scienza si impadronisce di una parola vernacolare per costruire una metafora, questa parola, tornando sul terreno vernacolare, perde il suo significato tecnico ma porta con sé uno straordinario potere colonizzatore, diventa di uso comune e distrugge la conversazione, riempiendola di parole vuote.
Il linguaggio, spiega Pörksen, cristallizza la coscienza e costituisce un mondo che svolge un ruolo di intermediazione. Probabilmente non è quello che volevano i romantici, lo spirito di un popolo, ma è chiaro che questo mondo che fa da intermediario istituzionalizza e impone pratiche sociali e storiche. Secondo Pörksen, la parole di plastica che egli studia non sono in se stesse il male, ma mascherano la brutalità. «Con una parola come ‘sviluppo’ è possibile mandare in rovina un’intera regione» (Plastic Words, Pennsylvania State University, p. 7).
Sul terreno minato dalle parole di plastica circola ora la corruzione del linguaggio, rivolta a dissimulare la rapina patrocinata dal capitale e dal governo. Si usano parole che conservano ancora un certo prestigio, come la parola ‘scienza’, per nascondere sotto la sua veste l’intenzione atroce.
Alcuni anni or sono venne denunciata la ricerca che alcuni scienziati statunitensi realizzavano nella Sierra Norte dello Stato di Oaxaca, finanziata dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Uno studio di notevole importanza documenta ora la spoliazione che si prepara nella Sierra Mazateca. Sotto la maschera legittima della speleologia, lo studio delle grotte, le corporation e il governo scavalcano la volontà delle popolazioni per organizzare la loro spoliazione e il saccheggio dei loro tesori. Un accurato articolo di Saraí Piña e Federico Valdés documenta il modo in cui «grandi progetti stranieri stanno esplorando le estese e profonde grotte della regione mazateca (…) in assenza di etica, in modo menzognero e con poca trasparenza».
Si potrebbero elencare molti esempi di questo tipo, in cui il governo e gli scienziati sono complici del saccheggio messo in atto dalle corporationAncora più grave è l’uso di termini come ‘sviluppo’. Sotto questo ombrello, il governo prepara azioni che rovineranno regioni intere, come segnalava Pörksen.

Il linguaggio politico, diceva Orwell, è ideato per far sì che le menzogne sembrino verità e che l’assassinio appaia rispettabile. La menzogna come forma di governo si estende di giorno in giorno, come dimostra bene il signor Trump. In Messico, l’esempio migliore è la parola ‘consultazione’. Si pretende di legittimare decisioni che incontrano un’immensa resistenza con sondaggi di opinione che vengono presentati come consultazioni dei cittadini. Le convocazioni di consultazioni dei popoli indigeni sono un esempio in perfetto stile Trump: nella prima parte affermano il loro diritto a una consultazione previa, libera e informata, e nella seconda parte descrivono come questo diritto sarà violato. Il suo esercizio non è previo (la decisione è già stata presa, come il governo riconosce), non è libero (le consultazioni sono manipolate) e non è neppure informato (la presentazione è ingannevole e insufficiente).
Si adotta così il ‘modello Orbán’ di governo, che presenta la consultazione dei cittadini come democrazia diretta per dissimulare la tirannide ungherese, denunciata dalla Commissione Europea per i Diritti dell’Uomo e celebrata dal signor Trump.

Per il nostro bene, per alleviare la povertà e proteggere la natura, dice il governo, dobbiamo accettare atrocità come il Corridoio Transistmico o il Treno Maya. Poche spoliazioni sono più gravi della corruzione del linguaggio, quando le parole si usano per manipolare e dare sembianze democratiche a un esercizio tirannico.

Fonte: “La corrupción del lenguaje”, in La Jornada, 3 giugno 2019.
Traduzione a cura di Camminardomandando

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