Come si
costruisce un nemico? La narrativa che si vuole fa passare è che Teheran è una
minaccia e gli Stati Uniti, con i loro alleati, Israele e Arabia Saudita,
difendono, oltre al petrolio, il mondo libero. Come ai tempi in cui gli Usa
montarono l’Operazione Aiace, il colpo di stato in Iran del ‘53 contro
Mossadeq.
Ma da dove
prendono le idee Pompeo, Bolton, Pence, gli uomini di Trump? Vennero forgiate
più di 40 anni fa, prima della caduta dello Shah nel’79. Pompeo dichiara di
rifarsi a Bernard Lewis, lo studioso di islam, ex agente dei Servizi britannici
al Cairo negli anni’40, l’ispiratore dell’attacco all’Iraq nel 2003 per mano di
Bush junior e di Dick Cheney.
Uno degli
aspetti forse più interessanti della vicenda è ricostruire cosa accadde allora
a Washington e come il copione si replica ora. Quando alla fine del ’78 si capì
che era probabile a Teheran l’ascesa del fronte clericale, il presidente Carter
nominò il diplomatico George Ball capo di un task force incaricata di elaborare
un rapporto sull’Iran. George Ball, in realtà, ricalcò uno studio sul
fondamentalismo islamico di Bernard Lewis, professore emerito all’Università di
Princeton. Il piano di Lewis, reso noto nell’incontro del Bilderberg Group
nell’aprile del 1979 in Austria ma elaborato mesi prima della rivoluzione,
appoggiava i movimenti radicali islamici dei Fratelli Musulmani e di Khomeini
per promuovere la balcanizzazione dell’intero Medio Oriente lungo linee tribali
e religiose. Un piano già auspicato anche da Ben Gurion.
Per Lewis
l’Occidente doveva incoraggiare gruppi indipendentisti come curdi, armeni,
maroniti libanesi, copti etiopi, turchi dell’Azerbaijan: il disordine sarebbe
sfociato in un «Arco di Crisi», per poi diffondersi nelle repubbliche musulmane
dell’Urss. L’espressione «arco della crisi» ebbe enorme fortuna, fu ripresa da
Brzezinski con la teoria di utilizzare l’islam in funzione antisovietica e si
diffuse sui media. E fu lo stesso Lewis a parlare di «scontro di civiltà»,
ancora prima di Samuel Huntington.
L’Iran si
rivelò un problema più per gli Usa che per Mosca ma l’invasione
dell’Afghanistan da parte dell’Armata Rossa nel dicembre ’79 diede un impulso
straordinario alla teoria di Lewis: gli Usa con l’appoggio militare del
Pakistan e quello finanziario dell’Arabia Saudita armarono migliaia di
mujaheddin che inchiodarono i russi nel Jihad, una «guerra santa» devastante
che nell’89 costrinse i sovietici a ritirarsi.
Con la fine
dell’Urss, Washington abbandonò l’islam radicale al suo destino, fino all’11
settembre 2001. Ma lo riprese come strumento di politica estera con la guerra
in Siria del 2011 per abbattere Bashar Assad con l’avanzata di jihadisti e Isis
sotto la direzione della Turchia e con gli stessi soldi delle monarchie del
Golfo. Era il «caos creativo» che piaceva a Hillary Clinton. Vent’anni dopo la
rivoluzione iraniana, Bernard Lewis è stato l’intellettuale più influente nella
decisione americana di invadere l’Iraq nel 2003. Bush jr. circolava con i suoi
saggi sottolineati dai collaboratori. Nel ’78 Lewis pensava di usare gli
islamici in funzione anti-sovietica, poi fu il più strenuo sostenitore della
necessità di rovesciare Saddam Hussein: lo definì «un passo decisivo per una
spinta modernizzatrice a tutto il Medio Oriente».
Tutti i neo-
con andarono a lezione da lui e nel 2007, all’American Enterprise Institute,
Lewis, ormai novantenne, fu accolto da una standing ovation guidata dal
vicepresidente Cheney. «Se avremo successo nell’abbattere il regime iracheno e
iraniano – aveva scritto Lewis nel 2002 – vedremo a Baghdad e Teheran scene di
giubilo maggiori di quelle seguite alla liberazione di Kabul». Ma né a Kabul né
a Baghdad ci furono le scene gioiose immaginate dal professore. Le cose sono
andate diversamente. Ma oggi Pompeo e Bolton tornano al «Piano Lewis» per
sostenere operazioni coperte in Iran, accompagnate da sanzioni giugulatorie,
per disgregare il Paese dall’interno, puntando sulle divisioni etniche e
settarie, sui Mujaheddin Khalk (3mila ospitati in Albania) e sugli esiliati
all’estero.
L’obiettivo
è convincere – e auto-convincersi – che «in Iran nessuno uomo o donna moderna
sostiene gli ayatollah» e che se ci sarà un intervento militare gli americani
verranno accolti con mazzi di fori. Naturalmente non c’è nessun esperto che
avalli questa visione e Putin lo ha reso chiaro a Pompeo due giorni fa. Ma non
importa. La cerchia di Washington ha in mano una sfera di cristallo che guarda
il mondo attraverso il prisma degli evangelici e della Grande Israele. Ecco in
che mani siamo.
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