E’ stato annunciato ieri 13 giugno 2019 congiuntamente dal Ministero per lo
Sviluppo Economico (MISE) e dal Ministro della Difesa un impegno di spesa
pluriennale di circa 7,2 miliardi di euro per investimenti relativi a
programmi nel settore militare e degli armamenti. Circa 2,2 miliardi di
euro saranno destinati a Iveco Defence Vehicles per la produzione di due
tipologie di automezzi militari (VBM 8×8 “Freccia” e Blindo Centauro II) dal
2020 fino al 2032. Il MISE ha sottolineato come motivazione principale di
questa scelta l’esigenza di risolvere la crisi produttiva e occupazionale
dell’azienda (e dunque non tanto un’esigenza di capacità delle Forze Armate).
A quanto è dato di sapere al momento quello annunciato sarebbe solo
un impegno politico e non di un’allocazione di fondi reale, allocazione che
dovrebbe invece essere concretizzata con la prossima Legge di Bilancio (e
dunque si andrebbe a sommare ai circa 13 miliardi di euro già previsti a favore della Difesa negli ultimi anni
dal Fondo Investimenti MEF). Secondo le informazioni fin qui raccolte
dal nostro Osservatorio Mil€x una parte delle cifre che verranno iscritte a
bilancio dovrebbe provenire dallo sblocco di vecchie partite, mentre per la
restante parte (anche se non è dato di sapere in che misura) dovrebbe trattarsi
di un rifinanziamento della Legge 808/1985. Tale norma è lo strumento
principale utilizzato negli ultimi decenni come sostegno alla ricerca e
produzione in campo aerospaziale, che ha favorito non poco l’acquisizione di
armamenti da parte della Difesa italiana. Una legge in cui entra in gioco anche
il MISE e che nel corso degli anni ha permesso il finanziamento di
aerei militari come l’Eurofighter e il Tornado e di elicotteri militari come
l’NH90, oltre che sistemi integrati per la sicurezza e la difesa
tra cui Unmanned Aircraft Systems (i cosiddetti droni) di
impiego duale. Sui fondi erogati negli anni a sostegno delle imprese pesa
la recentissima deliberazione (ottobre 2018) della Corte dei Conti che
nella dettagliata ricognzione effettuata sulle dinamiche di applicazione della
Legge 808 negli ultimi lustri ha raccomandato di “dare immediato corso ad
iniziative” volte alla definizione “in maniera conclusiva e dettagliata
dellle situazioni relative alle restituzioni scadute e non effettuate”
che secondo la Corte riguarderebbero oltre l’80% dei fondi erogati.
Tutto ciò notando esplicitamente come “l’attività di monitoraggio è
risultata, e risulta, particolarmente lacunosa e trascurata, nonostante le
relative inefficienze fossero state segnalate e stigmatizzate dalla Corte fin
dal 2003 e non permette di esprimere una completa valutazione, specie
in punto delle doverose azioni da svolgere per stimolare le restituzioni delle
agevolazioni ma, per la sua inconsistenza, induce a considerare possibili, anzi
probabili ritardi di tali adempimenti, sin qui non emersi e dunque non
affrontati e gestiti”. Inoltre “l’attività di controllo, come più volte
affermato dallo stesso Dicastero, non ha mai riguardato concrete verifiche ma
solo riscontri amministrativi documentali”. Trasparenza e controllo non
sembrano essere mai di casa quando si tratta di ricerca e produzione militare.
Secondo i dettagli diffusi dal Ministero della Difesa il fondo da 7,2
miliardi dovrebbe essere destinato, oltre che ai già ricordati automezzi
militari, a programmi di ammodernamento e adeguamento degli equipaggiamenti
delle Forze Armate come F2000 (il caccia Eurofighter), TORNADO MLU, M345, NH90,
N-ESS, HH101, FREMM E FSAF/AAMS B1-NT nonché all’avvio del programma
Cosmo-SkyMed 2nd generation e a sostegno dell’acquisizione di sommergibili U212
NSF, del sistema SICOTE per l’Arma dei Carabinieri ed il sistema Teseo Mk2.
Maggiori informazioni e la reale allocazione delle risorse oltre
che la distribuzione delle provenienze finanziarie (dato importante per
capire di che tipo e dimensione sarà l’aumento di spesa militare di cui stiamo
parlando) dovrebbero essere riportate nel Documento
Programmatico Pluriennale della Difesa in corso di pubblicazione (con
ormai l’usuale e grave ritardo rispetto alla scadenza del 30 aprile prevista
per legge).
La missione militare italiana in Afghanistan (impegno portato avanti dal
2001 nell’ambito di interventi internazionali di diversa natura) è tornato
all’attenzione delle cronache dopo l’annuncio della Ministro della Difesa
Elisabetta Trenta di aver commissionato allo Stato Maggiore della Difesa uno studio per un
possibile ritiro delle truppe entro un anno.
Riteniamo quindi utile riproporre la nostra analisi (inserita nel Rapporto
Mil€x 2018) dei costi complessivi che il nostro Paese ha sostenuto in questi 17
anni di iniziativa militare. Non è al momento possibile nemmeno stimare
l’impegno previsto per il 2019, che è stato sicuramente votato con la Legge
di Bilancio ma che non è determinabile in quanto il Governo non ha ancora inviato al
parlamento (come sarebbe previsto per legge entro il 31 dicembre) la “Relazione
analitica sulle missioni internazionali in corso” e i documenti finanziari
necessari al voto di proroga e rifinanziamento.
Per una valutazione dei risultati e degli impatti della missione italiana
e, in generale, dell’intervento occidentale nel paese asiatico rimandiamo anche
al Report da noi pubblicato nell’ottobre 2017 (che ovviamente
non contiene gli aggiornamenti degli ultimi 15 mesi).
Calcolare in modo preciso ed esaustivo il costo finanziario di una campagna
militare all’estero è molto difficile, dato che ai costi ufficiali “diretti” si
aggiungono costi “indiretti” che non sono riportati nei documenti pubblici e
che sono quindi impossibili da quantificare. Ci riferiamo a costi di tipo
sistemico (acquisizione nuovi mezzi da combattimento e nuovi armamenti,
aggiornamento sistemi d’arma esistenti in relazioni alle esigenze emerse nel
corso dell’impiego in teatro operativo, ripristino scorte munizioni,
addestramento specifico del personale e costi sanitari delle cure per i reduci
feriti e mutilati) che l’apparato della Difesa e altre amministrazioni
pubbliche devono sostenere per esigenze direttamente connesse alle operazioni
in corso, ma che non figurano come tali e che quindi non sono computabili.
Tralasciando tutti questi costi indiretti, il costo ufficiale della
partecipazione alle missioni militari in Afghanistan a partire dal novembre
2001 (Enduring Freedom fino al 2006, ISAF fino 2014, Resolute Support dal 2015)
è di 6,5 miliardi di euro, vale a dire oltre un milione di euro al giorno in
media. Agli stanziamenti vanno aggiunti tutti i costi extra delle
missioni, e cioè l’esborso di 480 milioni a sostegno delle forze armate afgane
(120 milioni l’anno a partire dal 2015) e circa 900 milioni di spese aggiuntive
relative al trasporto truppe, mezzi e materiali da e per l’Italia, alla
costruzione di basi e altre infrastrutture militari in teatro, al supporto
operativo della Task Force Air (Emirati, Qatar e Bahrein) e degli ufficiali di
collegamento distaccati presso Comando Centrale USA di Tampa, Florida, al
supporto d’intelligence degli agenti AISE, della protezione attiva e passiva
delle basi, al supporto sanitario del personale della Croce Rossa Italiana,
alla protezione delle sedi diplomatiche nazionali e alle attività umanitarie militari
strumentali (CIMIC, ovvero “attività a immediato impatto sulla dimensione
civile, volti ad acquisite, mantenere, incrementare il consenso nei confermi
del contingente militare nazionale”). Si arriva così a oltre 7,8 miliardi in
16 anni, a fronte di 280 milioni investiti in iniziative di cooperazione civile.
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