Che genere di sistema economico è più tendente al benessere umano? La
domanda è giunta a definire l’era attuale perché, dopo 40 anni di neoliberismo
negli US e in altre economie avanzate, sappiamo che quello non funziona.
L’esperimento neoliberista – minori tasse ai ricchi, deregolamentazione del
lavoro dipendente e dei mercati di prodotti [e servizi?], finanziarizzazione, e
globalizzazione – è stato uno spettacolare fallimento. La crescita è minore che
nel quarto di secolo dopo la 2^ Guerra mondiale, e perlopiù concentrata
all’estremità superiore della scala dei redditi. Dopo decenni di redditi stagnanti
o addirittura calanti per coloro più in basso, il neoliberismo dev’essere
pronunciato morto e sepolto.
In lizza per succedergli sono almeno tre grosse alternative politiche:
nazionalismo d’estrema destra (e in rappresentanza del fallimento neoliberista),
riformismo di centro-sinistra, e la sinistra progressista; ad eccezione della
quale ultima, alternative che restano debitrici di una qualche forma ideologica
che è (o dovrebbe essere) scaduta. Il centro-sinistra, per esempio,
rappresenta un liberismo col volto umano, il cui obiettivo è portare nel
ventunesimo secolo, con lievi revisioni alle modalità prevalenti di
finanziarizzazione e globalizzazione, alle politiche dell’ex-presidente US Bill
Clinton e del’ex-premier britannico Tony Blair.
Frattanto, la destra nazionalista ripudia la globalizzazione, incolpando
migranti e stranieri di tutti i problemi odierni, pur mantenendosi del tutto
impegnata – almeno nella variante americana, come mostra la presidenza Donald
Trump – a riduzioni fiscali per i ricchi, alla deregulation, e alla
restrizione o eliminazione dei programmi sociali.
Per contro, il terzo campo è per quello che chiamo capitalismo progressista,
che prescrive una agenda economica radicalmente differente, basata su quattro
priorità. La prima è restaurare equilibrio fra i mercati, lo stato, e, la
società civile. Crescita economica lenta, disuguaglianza crescente, instabilità
finanziaria, e degrado ambientale sono problemi nati dal mercato, tali quindi
da non poter essere superati dal mercato stesso; i governi hanno il dovere di
limitare e plasmare i mercati mediante regolamentazioni ambientali,
sanitarie, occupative e di sicurezza, e d’altro genere ancora; nonché di fare
ciò che i mercati non sanno o vogliono fare, come investire attivamente nella
ricerca di base, nella tecnologia, nell’istruzione, e nella sanità dei propri
elettorati.
La seconda priorità è riconoscere che la “ricchezza delle nazioni” è il
risultato d’indagine scientifica –
imparare sul mondo intorno a noi – e d’organizzazione sociale che permette a
vasti gruppi di persone di collaborare per il bene comune. I mercati hanno
tuttavia un ruolo cruciale nel facilitare la cooperazione sociale, ma servono
allo scopo solo se governati dalle norme del diritto e soggetti a controlli
democratici; altrimenti, singoli possono arricchirsi sfruttando altri,
estraendo ricchezza da ricerche di rendita anziché creazione di ricchezza
mediante autentico ingegno. Molti ricchi odierni sono arrivati dove sono
attraverso percorsi di sfruttamento; magari, ben serviti dalle politiche di
Trump, che hanno appunto incoraggiato la ricerca di nicchie di rendita
distruggendo intanto le fonti sottostanti di creazione di ricchezza. Un
capitalismo progressista cerca di fare esattamente il contrario. Col che
arriviamo alla terza priorità: affrontare il problema crescente del potere di
mercato concentrato. Sfruttando vantaggi informativi, assorbendo con l’acquisto
potenziali competitori, e creando barriere d’ingresso, le aziende dominanti
sono in grado d’impegnarsi in una ricerca di rendita su vasta scala a
detrimento di chiunque altro, salendo in potere aziendale, combinato col
declino del potere contrattuale dei dipendenti. Il che spiega molto delle
grandi disuguaglianze e della crescita così modesta. A meno che i governi
assumano un ruolo più attivo di quanto prescritto dal neoliberismo, questi
problemi peggioreranno probabilmente molto, grazie ai progressi nella
robotizzazione e nell’intelligenza artificiale.
Il quarto elemento chiave nell’agenda progressista è recidere il
collegamento fra potere economico e influenza politica. Potere economico e
influenza politica si rafforzano e auto-perpetuano reciprocamente, specialmente
dove, come negli US, individui e aziende ricche possano spendere senza limite
nelle elezioni. Mentre gli US s’avvicinano sempre più a un Sistema fondamentalmente
non-democratico di “un dollaro, un voto,” il sistema di contrappesi così
necessario alla democrazia è probabile non possa tenere: nulla potrà contenere
il potere dei ricchi. Questo è un problema non solo morale e politico: le
economie con meno disuguaglianza effettivamente hanno prestazioni migliori.
Pertanto le riforme verso un capitalismo progressista devono cominciare
riducendo l’influenza del denaro in politica e le disuguaglianze patrimoniali.
Non c’è bacchetta magica che possa invertire il danno fatto da decenni di
neoliberismo. Ma una agenda esauriente su queste basi decisamente lo può. Molto
dipenderà dalla risolutezza dei riformatori nel combattere problemi come
l’eccessivo potere del mercato e la disuguaglianza, almeno altrettanta che quella
del settore privato nel crearli.
Un’agenda ben articolata deve porre attenzione all’istruzione, alla
ricerca, e all’altra vera fonte di ricchezza – l’ambiente. Deve proteggerlo e
combattere il cambiamento climatico con la stessa vigilanza dei promotori del New
Deal Verde negli US e della Ribellione all’Estinzione nel
Regno Unito. E deve fornire programmi pubblici per far sì che a nessun
Cittadino vengano negati i requisiti base di una vita decente, che comprendono
la sicurezza economica, l’accesso al lavoro e a un compenso che dia da vivere,
l’assistenza sanitaria e un’abitazione adeguata, una quiescenza sicura e
un’istruzione di qualità per i figli.
Ci si può decisamente permettere una tale agenda, piuttosto non ci si può
permettere di non attuarla. Le alternative offerte dai
nazionalisti e dai neoliberisti garantirebbero più stagnazione, più
disuguaglianza, più degrado ambientale, più acrimonia politica, potenzialmente
foriera di esiti che non vorremmo neanche immaginare.
Un capitalismo progressista non è un ossimoro. È anzi la più efficace e
vibrante alternativa a una ideologia chiaramente fallimentare. Come tale,
rappresenta la migliore opportunità che abbiamo di sfuggire al nostro attuale
malessere economico e politico.
da qui
Nessun commento:
Posta un commento