Era il 19 giugno 2024 quando Satnam Singh, giovane bracciante indiano, moriva dissanguato a Latina, dopo essere stato abbandonato dal suo datore di lavoro, con un braccio amputato, davanti alla casa in cui viveva. L’uomo che lo aveva assunto in nero, Antonello Lovato, preferì non accompagnarlo in ospedale per timore di conseguenze legali. Quel gesto crudele sollevò un’ondata di indignazione in tutta Italia, portando per un breve periodo al centro dell’agenda pubblica il tema dello sfruttamento agricolo.
Poco più di un anno
dopo, il clima d’indifferenza è tornato a coprire il rumore dei campi. Lo
stesso caporalato, gli stessi meccanismi, le stesse omissioni. E nuove vittime.
Un’altra mattina tra i filari: il blitz a
Sermoneta
A un anno dalla morte di Satnam Singh,
lo scorso 12 giugno 2025, all’alba, alcuni ispettori del lavoro hanno fatto
irruzione in un appezzamento di terra a Sermoneta, in provincia di Latina.
Dieci lavoratori indiani erano intenti a preparare la raccolta delle zucchine.
Solo uno risultava assunto, ma con un’azienda di Terracina, a chilometri di
distanza. Gli altri erano tutti impiegati in nero. Il
proprietario ha provato a giustificarsi, dicendo che era il primo giorno di
lavoro per quei ragazzi e che non aveva ancora avuto il tempo di
regolarizzarli.
Gli ispettori hanno però verbalizzato
l’infrazione e contattato la polizia per controlli sui documenti dei
lavoratori. È stato in quel momento che uno di loro ha inviato un messaggio in
preda al panico a Laura Hardeep Kaur, segretaria della
FLAI CGIL di Latina.
Kaur, nata in Italia da genitori
indiani, è una figura di riferimento per centinaia di braccianti stranieri
nella provincia. Parla la loro lingua e il suo numero gira di mano in mano tra
chi lavora nei campi. Quando è arrivata sul posto, la polizia aveva già identificato i lavoratori. Solo
due avevano un permesso di soggiorno regolare. Gli altri otto avevano mostrato
documenti falsi, con nomi e impronte digitali che non corrispondevano.
Permessi speciali e memoria corta
Gli agenti volevano trasferire i
lavoratori nel CPR di Brindisi per avviare le pratiche di espulsione, ma la
sindacalista si è opposta ricordando l’esistenza di un protocollo
firmato a gennaio da varie istituzioni, tra cui procura, polizia e
ASL, per proteggere chi è vittima di sfruttamento lavorativo. Grazie
a quella misura speciale, una ventina di permessi di soggiorno erano già stati
rilasciati nei mesi precedenti.
Quel protocollo nacque proprio in
seguito alla morte di Satnam Singh, che aveva acceso i riflettori su una realtà
fin troppo trascurata. Eppure, a distanza di un anno, la sindacalista denuncia
che tutto è ripiombato nella negligenza e nell’indifferenza verso lo
sfruttamento sul lavoro.
Le vite dietro i numeri
La storia di Satnam Singh e della sua
compagna Soni racconta in modo vivido cosa si nasconde dietro il lavoro nei
campi. Dopo essere arrivati in Italia passando per i Balcani, trovarono lavoro
in un allevamento di bufale in Campania, svegliandosi alle 2:30 del mattino per
700 euro al mese. Successivamente si trasferirono a Latina, dove furono assunti
in nero dalla Agrilovato per 5,50 euro all’ora.
Lovato segnava le ore su un quaderno e i
due percorrevano ogni giorno in bicicletta 15 chilometri per arrivare ai campi.
Poi l’incidente, il silenzio, la fuga. A dare l’allarme fu un altro lavoratore,
inviando una foto agghiacciante del braccio amputato in una cassetta di
plastica. Soni, ora ospitata in una casa rifugio, riceverà metà dei fondi
raccolti dalla CGIL in memoria del compagno.
Giustizia e tentativi di risarcimento
Il processo contro Antonello Lovato è
cominciato il 1° aprile 2025 a Latina. L’uomo è accusato di omicidio
volontario. Durante le prime udienze, il proprietario della casa in cui viveva
Singh ha testimoniato che Lovato abbandonò il ragazzo con calma glaciale,
spiegando che «non era in regola». Soni ha
raccontato in sede di incidente probatorio che Satnam Singh fu «buttato giù dal furgone» e batté la testa su un
cordolo di cemento.
Parallelamente, Lovato e suo padre sono
indagati per sfruttamento e intermediazione illecita per
altri sette lavoratori in nero. Intanto, tre dei braccianti impiegati con
Satnam Singh hanno ottenuto un permesso speciale e lavorano oggi regolarmente.
Numeri e illusioni
Nei primi mesi dopo la tragedia di
Satnam Singh, le assunzioni regolari nella provincia di Latina raddoppiarono: oltre 7.000 in un solo mese. Un’illusione di
cambiamento. Ma secondo il sindacato, molte aziende hanno poi ripreso le
vecchie abitudini, affidandosi a fornitori informali di manodopera, spesso
connazionali dei braccianti che mediano condizioni di lavoro senza alcun
contratto.
Nel sistema agricolo italiano, il colore
della pelle troppo spesso determina non solo il tipo di lavoro assegnato, ma
anche il trattamento ricevuto. I lavoratori neri, come molti provenienti
dall’Africa subsahariana o dall’India, sono ancora oggi visti come manodopera a basso costo, invisibile e sacrificabile. Vengono
impiegati in condizioni degradanti, spesso senza contratto, con paghe inferiori
al minimo sindacale – che in Italia neanche esiste -, con turni estenuanti e
senza tutele sanitarie o di sicurezza.
La discriminazione razziale si intreccia
in modo strutturale con il caporalato, trasformando la pelle scura in un
marchio di disponibilità illimitata e di sottomissione
silenziosa, come se la fatica, la sofferenza e persino la violazione
dei diritti umani fossero una naturale conseguenza della loro provenienza.
Molti imprenditori agricoli scelgono
deliberatamente lavoratori neri o sudasiatici perché più facilmente
ricattabili. La barriera linguistica, la fragilità giuridica e il razzismo latente li rendono bersagli ideali per lo
sfruttamento. In troppi casi, il permesso di soggiorno diventa un’arma nelle
mani del datore di lavoro: se il bracciante si ribella, denuncia o
semplicemente si infortuna, rischia l’espulsione o la detenzione in un CPR.
L’esperienza di molte donne e uomini
neri nei campi italiani racconta di umiliazioni quotidiane, insulti, minacce,
alloggi fatiscenti e isolamento. Il razzismo, spesso
non urlato ma praticato, costruisce una gerarchia della
dignità basata sul colore della pelle, che svuota di significato i
diritti sanciti dalla Costituzione e trasforma l’agricoltura in un laboratorio
di esclusione e ingiustizia sociale.
Per non dimenticare Satnam Singh e tutti
gli altri
Il 19 giugno 2025, a un anno esatto
dalla morte di Satnam Singh, la Prefettura di Latina ha organizzato un incontro
per fare il punto sulle misure contro lo sfruttamento nei campi. Mentre il
processo contro il suo datore di lavoro va avanti e la compagna cerca di ricostruire
una vita, in troppi tornano a essere invisibili tra i filari.
Il rischio più grande non è solo quello
di dimenticare Satnam Singh, ma di accettare che la sua morte
non abbia insegnato nulla.
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