di Emiliano Gentili e Federico Giusti
Il Rapporto Annuale ADAPT
sulle dinamiche contrattuali indica un quadro per nulla confortante, in cui il welfare
aziendale cresce[1] e i
salari reali calano. Una lettura diversa rispetto alla consueta narrazione
della Cgil, autentico Giano bifronte del panorama sindacale, che conferma di
muoversi all’interno di perenni contraddizioni.
Veniamo ad
evidenziarne le principali:
·
è fin troppo facile parlare del ritorno a una
buona regolarità nei rinnovi contrattuali rispetto al decennio precedente, se la
firma di tanti contratti conviene alla parte datoriale e avviene con il
sostegno di un Governo che mira direttamente alla pacificazione dei luoghi di
lavoro. Inoltre, ogni Ccnl rinvia alla contrattazione decentrata sia parti
economiche piuttosto rilevanti che la definizione e l’applicazione di un vasto
sistema di deroghe. In tutto ciò l’atteggiamento della Cgil non è limpido: da
un lato va a sottoscrivere intese deprecabili che comportano erosione del
potere di acquisto e della capacità di contrattazione, mentre gestisce
previdenza e sanità integrative con la Cisl, ma dall’altro vorrebbe ergersi a
sindacato diverso, conflittuale e dalla parte dei salariati;
·
in merito ai contenuti della Legge delega sulla
contrattazione decentrata, registriamo una incredibile attinenza tra i temi
trattati nei tavoli della contrattazione nazionale e i punti salienti della
stessa legge… come se la contrattazione decentrata, anche per volere della
Cgil, seguisse pedissequamente i dettami del Governo attraverso la mediazione
delle associazioni datoriali.
Stando ad una ricerca Adapt, il lavoro a tempo
determinato è stato trattato nel 35% degli accordi, facendo particolare
attenzione alle causali (che giustificano l’utilizzo del contratto precario),
che non a caso vorrebbero rimuovere; nel 20% dei rinnovi considerati si è
parlato della retribuzione degli apprendisti e della loro formazione, tirando
sempre in ballo gli Enti bilaterali; nel 36% degli accordi di rinnovo si è
parlato di orari di lavoro all’insegna della flessibilità e degli interessi
aziendali; in 8 casi su 10 esiste un Capitolo del Contratto appositamente
dedicato a salute e sicurezza, anche se poi tutto si riduce a tutele
individuali per gli ammalati a lungo termine o alla gentil concessione di uno smart
che sovente è pure accompagnato da carichi di lavoro aggiuntivi; e, per
chiudere, la formazione, che dovrebbe essere tra i capitoli più gettonati da
imprese che lamentano di non trovare professionalità sul mercato… ebbene, solo
nel 20% dei contratti il capitolo formativo ha trovato spazio; solo in pochi
casi si è parlato di inquadramento e di professionalità, come se da questi elementi
non dipendesse anche la corretta attribuzione di adeguati livelli in base alle
prestazioni erogate e alle conoscenze acquisite. Ancora una volta è evidente
quali siano gli interessi delle aziende: abbattere il costo del lavoro,
ottenere aiuti fiscali generosi dallo Stato, accrescere la flessibilità e le
deroghe, rinviare gran parte delle decisioni alla contrattazione di secondo
livello, dove hanno maggiore forza;
·
è emblematica l’esclusione della disabilità da
quasi tutti i nuovi contratti stipulati. Prima si diceva che una certa sinistra
privilegiasse i diritti civili al posto di quelli sociali, ma oggi non tutela più
nemmeno quelli;
·
il tema in assoluto più gettonato è il welfare
aziendale. Questo conviene sia alle aziende che allo Stato, perché permette di
ridurre il welfare universale, favorisce la privatizzazione con
pacchetti di servizi offerti nelle strutture sanitarie private, agevola la
contrattazione di secondo livello (che porta con sé tutte le agevolazioni
fiscali possibili e deroghe peggiorative rispetto ai Ccnl);
·
in quasi la metà dei contratti nazionali siglati
si parla di coinvolgimento dei lavoratori sui processi decisionali. Insomma, il
modello Cisl – che è stato avallato, fino a questo punto, anche dalla Cgil – è
già vigente; bisogna solo perfezionarlo e migliorarlo, cercando di pettinarlo
al punto giusto per scongiurare sul nascere ogni elemento di conflittualità e
di estenderlo – cosa ancor più difficile – dalle grandi alle piccole aziende,
dove il padroncino non è avvezzo a discutere ma solo ad imporre le proprie
decisioni. Parleremo in un altro articolo della Legge sulla partecipazione dei
lavoratori (L. 76/2025), che sul tema introduce molte novità.
In
conclusione, leggendo il Rapporto ADAPT non serve essere un fine giuslavorista
o un analista di altro tipo per rendersi conto di come il nodo focale sia lo
scambio tra aumenti contrattuali e benefit. Uno scambio che conviene
alla parte datoriale sia sotto il profilo fiscale e sia perché in molti casi il
datore – quando non anche il sindacato – ha anche degli interessi specifici
nell’ambito di elargizione dei benefit stessi (strutture sanitarie
“amiche” e via dicendo…). E, dunque, «Focalizzando l’attenzione sulle dinamiche
salariali, si nota come la quasi totalità degli accordi in materia retributiva
affronti il tema dalla prospettiva del salario premiante. Tra gli obiettivi più
ricorrenti per la retribuzione di risultato si rilevano la produttività e
l’efficienza economica, che rappresentano il criterio predominante insieme alla
redditività e, in misura minore ma comunque significativa, alla qualità. Più
della metà degli accordi in materia di premio di risultato prevede l’opzione di
welfarizzazione del premio»[2].
Amen.
[1] Cfr. F. Giusti, Il welfare aziendale non
compenserà la distruzione dello stato sociale, 05 Giugno 2025, https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-il_welfare_aziendale_non_compenser_la_distruzione_dello_stato_sociale/42819_61235/.
[2]
La contrattazione collettiva in Italia (2022), XI Rapporto ADAPT. Adapt
University Press, 2023, p. XXIII.
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